LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23610/2015 proposto da:
C.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Cesi 30, presso lo studio dell’avvocato Antonino Ilacqua, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Alberto Marolda, in forza di procura speciale su foglio separato allegato al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza San Lorenzo in Lucina 26, presso lo studio dell’avvocato Sergio Marullo Di Condojanni, e rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Concetta La Delfa, in forza di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
Comune Monreale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Gracchi 187, presso lo studio dell’avvocato Marcello Magnano di San Lio, rappresentato e difeso dall’avvocato Girolamo Rizzuto, in forza di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1029/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 15/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/11/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto ingiuntivo del 29/9/2006, notificato il 23/10/2006 il Tribunale di Catania, accogliendo il ricorso dell’architetto P.F., ha intimato al Comune di Monreale il pagamento della complessiva somma di Euro 19.139,53, oltre accessori, a titolo di compensi professionali per la redazione del progetto di riqualificazione e valorizzazione della Cattedrale di ***** e delle aree esterne con illuminazione artistica.
Ha proposto opposizione il Comune di Monreale sostenendo la nullità del disciplinare di incarico per carenza della necessaria forma scritta e comunque per la mancanza di copertura finanziaria e addebitando l’opera alla responsabilità dell’allora Sindaco del Comune, C.S..
Si è costituito in giudizio P.F., chiedendo il rigetto dell’opposizione e instando in subordine per la chiamata in giudizio di C.S. e la sua condanna al pagamento delle somme richieste, chiedendo in estremo subordine la condanna del Comune per ingiusto arricchimento.
La chiamata del terzo è stata autorizzata e il Tribunale, procedendo in contumacia di C.S., non costituitosi, con sentenza del 3/7/2009 ha accolto l’opposizione dispiegata dal Comune di Monreale, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale del convenuto opposto, ha rigettato la domanda del P. verso il C., ha condannato il P. a rifondere le spese del Comune, rigettando la domanda ex art. 96 c.p.c., proposta dal Comune.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello P.F., a cui ha resistito l’appellato Comune di Monreale, mentre è restato contumace l’appellato C..
La Corte di appello di Catania con sentenza del 15/6/2015 ha respinto il gravame del P. nei confronti del Comune di Monreale, con favore di spese per il Comune, ma ha accolto l’appello proposto dal P. nei confronti del C., condannando quest’ultimo al pagamento in suo favore della somma oggetto di ingiunzione e delle spese del doppio grado di giudizio.
3. Avverso la predetta sentenza del 15/6/2015, notificata in data 29/6/2015, con atto notificato il 25/9/2015 ha proposto ricorso per cassazione C.S., svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 10/11/2015 ha proposto controricorso P.F., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione e in via condizionata, per il caso di accoglimento dell’avversaria impugnazione, ha insistito per l’accoglimento della sua domanda subordinata di arricchimento indebito nei confronti del Comune di Monreale, rimasta assorbita.
Con controricorso notificato l’11/12/2015 il Comune di Monreale ha chiesto il rigetto del ricorso incidentale condizionato del P..
Il ricorrente C.S. e il controricorrente P.F. hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare il Collegio osserva che non vi è contrasto fra le parti sul fatto che la persona del ricorrente on. avv. C.S. coincida con quella del C.S. appellato contumace, parte del giudizio di merito e condannato dalla Corte di appello di Catania al pagamento in favore di P.F. della somma di Euro 19.139,53 oltre accessori e spese, come del resto dimostra l’identità del codice fiscale “*****” riportato nelle intestazioni del ricorso e della sentenza impugnata.
2. Il controricorrente P. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c., poichè la procura conferita dal ricorrente agli avvocati Alberto Marolda e Antonino Ilacqua è stata stesa su foglio separato, privo di data e di riferimenti specifici al ricorso per cassazione avverso una determinata sentenza.
2.1. In effetti la procura in questione (effettivamente conferita sia all’avv. Marolda sia all’avv. Ilacqua e non solo al primo, come erroneamente riportato nell’epigrafe del ricorso) non è apposta in calce al ricorso, come indicato, ancora erroneamente, in epigrafe dell’atto, ma su di un foglio allegato, cosa che del resto riconosce lo stesso ricorrente nella memoria del 2/11/2020, e non reca maggiori indicazioni che il riferimento al “presente giudizio”.
2.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la procura alle liti apposta su foglio materialmente congiunto all’atto introduttivo è valida, poichè la L. n. 141 del 1997, art. 1, che ha modificato l’art. 83 c.p.c., comma 3, ha parificato tale procura a quella in calce, che, come quella a margine, è sempre speciale, riferendosi comunque al processo cui accede, non rilevando la diversità dei caratteri a stampa dei due atti, nè altri requisiti di forma nessuno dei quali è prescritto a pena di nullità (Sez. 1, n. 23777 del 14/11/2011, Rv. 620654 – 01); pertanto si è ritenuto che la procura per il ricorso per cassazione sia validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purchè materialmente unito al ricorso e benchè non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell’art. 83 c.p.c. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), si può ritenere che l’apposizione topografica della procura sia idonea salvo diverso tenore del suo testo – a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede; nè la mancanza di data produce nullità della predetta procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l’anteriorità rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso (Sez. 1, n. 29785 del 19/12/2008, Rv. 606059 – 01; Sez. L, n. 18915 del 05/11/2012, Rv. 624097 – 01; Sez. 5, n. 34259 del 21/12/2019, Rv. 656419 – 01).
3. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente C.S. denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 160,138 c.p.c. e segg., art. 291 c.p.c., nonchè dei principi regolatori del giusto processo e sostiene la inesistenza della notificazione dell’atto di citazione in appello e la illegittimità della dichiarazione di contumacia.
3.1. Il ricorrente osserva che la notificazione dell’atto di chiamata di terzo e dell’atto di citazione in appello erano state eseguite in un luogo, ***** ove l’avv. C. non aveva nè la residenza nè lo studio professionale che erano invece dislocati rispettivamente al n. ***** e al n. ***** della stessa via *****.
3.2. Il motivo appare manifestamente infondato.
L’atto di citazione per chiamata di terzo è stato notificato per posta all’indirizzo di via *****; dalla relata di notifica risulta che l’ufficiale postale ha sbarrato la casella riferita alla dicitura “immesso avviso cassetta corrisp. dello stabile in indirizzo” e poi quella “per irreperibilità del destinatario” e infine quella “plico depositato presso l’ufficio”, e ha quindi spedito la comunicazione di avvenuto deposito a mezzo raccomandata (c.a.d.). E’ quindi evidente che l’ufficiale postale ha rinvenuto in loco precisi riferimenti alla presenza del destinatario della notifica e della sua cassetta per la corrispondenza.
L’atto di appello è stato notificato per posta allo stesso indirizzo di via *****; dalla cartolina di ricevimento allegata alla relata di notifica risulta che l’atto è stato ritirato da una persona “ivi addetta”, che ha firmato per ricevuta l’avviso di ricevimento; anche in questo caso è stata spedita la raccomandata integrativa.
E’ quindi innegabile che il luogo della notificazione costituiva un domicilio dell’avv. C., dotato di riferimento nominativo esterno e di una cassetta di posta a suo nome e in cui operavano soggetti alle sue dipendenze.
Infine la sentenza della Corte di appello di Catania oggetto di impugnazione è stata notificata al ricorrente allo stesso indirizzo e regolarmente ritirata (doc. 18 bis del controricorrente) come del resto riconosce il ricorrente.
E’ quindi del tutto superfluo rilevare che il ricorrente nega che in via ***** si trovi il suo studio professionale, limitandosi ad affermare che il suo studio legale si troverebbe nella stessa via ***** ma al n. ***** solo sulla base di un contratto di locazione con tale Dott. G., senza dar conto del contenuto di tale contratto e soprattutto senza dimostrare l’incompatibilità – evidentemente insussistente – fra tale rapporto locatizio con un terzo e l’esistenza di un suo recapito professionale al civico *****.
Occorre infine dar atto della produzione da parte del controricorrente del certificato dell’Ordine degli Avvocati di Palermo che indica in via ***** la sede dello studio legale dell’avv. C. (doc. 19 controricorrente).
4. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di diritto relative alla forma dei contratti della pubblica amministrazione e alla responsabilità del funzionario in caso di mancanza di idonea copertura finanziaria.
4.1. Il ricorrente sostiene alla luce del R.D. 2440 del 1923, art. 17, che i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche quando essa agisca iure privatorum, debbono rivestire la forma scritta ad substantiam, in assenza della quale il rapporto obbligatorio risulta radicalmente nullo.
Il documento contrattuale deve recare la sottoscrizione del titolare dell’organo tributario del potere di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi: costui ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, doveva essere individuato nel “personale dirigente la stipulazione dei contratti”, dovendosi ravvisare un vero e proprio monopolio operativo dei dirigenti dell’ente pubblico quanto alla stipulazione Di conseguenza, l’atto di affidamento promanante dal Sindaco sarebbe privo del necessario requisito della forma scritta dei contratti; il che precluderebbe l’applicabilità del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, comma 4.
Infine il requisito della forma scritta non sarebbe comunque configurabile con riferimento allo stralcio funzionale richiesto con il fax 165 del 20/2/2004, in difetto della necessaria sottoscrizione del professionista.
4.2. Il ricorrente richiama i principi, senz’altro condivisibili, espressi da questa Corte con la sentenza della Sez. 1, 4/11/2013, n. 24679, secondo cui il contratto d’opera professionale con la Pubblica Amministrazione ancorchè quest’ultima agisca iure privatorum, deve rivestire, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex artt. 16 e 17, la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, ed agevola l’espletamento della funzione di controllo; esso, pertanto, deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo titolare del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo, altresì, escludersene la possibilità di conclusione tramite corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente.
4.3. Non convince però la tesi che escluderebbe la forma scritta del contratto, sol perchè esso è stato sottoscritto dal Sindaco – in tesi privo del potere di rappresentanza generale dell’Ente, nonostante il disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, comma 2 – e non già dall’organo competente e titolare del potere, che, secondo il ricorrente, sarebbe il dirigente responsabile della stipulazione dei contratti, ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107.
Secondo tale norma è attribuita ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo; inoltre spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 108; infine sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente (comma 3, lett. c)) la stipulazione dei contratti.
Non vi è infatti consequenzialità logica fra la tesi del difetto di potere di rappresentanza del Sindaco e la conseguenza che ne viene desunta del difetto di forma scritta dell’atto.
4.4. In secondo luogo, il disciplinare di incarico con l’arch. P. sottoscritto dall’allora Sindaco avv. C. in attuazione della determinazione sindacale 22/2003 è stato successivamente approvato dalla Giunta Municipale con la Delib. 17 aprile 2003, n. 158.
Il motivo pertanto non si confronta con il rilievo attribuito (pag.5 della sentenza impugnata) alla citata deliberazione di Giunta in termini di formale atto di ratifica direttamente riconducibile all’Ente conferente: il che vizia, in questa prospettiva di inammissibilità la censura, priva di specificità rispetto alla rammentata concorrente ratio decidendi.
4.5. In terzo luogo e in ogni caso, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 191, dopo aver affermato che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’art. 153, comma 5, al comma 5, prevede che nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
Ciò che rileva ai fini dell’insorgenza dell’obbligazione prevista da tale disposizione è l’acquisizione di beni e servizi in difetto di impegno contabile e di attestazione di copertura finanziaria da parte del soggetto (amministratore, funzionario o dipendente) che abbia consentito la fornitura e non già la stipulazione del contratto con il privato fornitore.
Vengono quindi in diretta considerazione, ai fini della responsabilità imposta dalla norma in questione, solo i fatti oggettivi dell’acquisizione di beni e servizi e di consenso alla fornitura.
Infatti, in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni siano state assunte senza un previo contratto e senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, al di fuori delle norme ad evidenza pubblica, insorge un rapporto obbligatorio direttamente tra chi abbia fornito la prestazione e l’amministratore o il funzionario inadempiente che l’abbia consentita (Sez. 1, n. 30109 del 21/11/2018, Rv. 651591 – 01).
4.6. L’ultima parte della censura, relativamente alla mancanza della firma del professionista con riferimento allo stralcio funzionale richiesto con il fax 165 del 20/2/2004, è palesemente inammissibile innanzitutto perchè attiene a una questione nuova, del tutto estranea ai temi in discussione nella controversia e alla sentenza impugnata che non ne fa cenno.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01).
Infatti il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Sez. 3, n. 15196 del 12/06/2018, Rv. 649304 – 01).
In secondo luogo, la censura è priva di specificità e autosufficienza nel suo riferirsi ad alcuni documenti (fax del 20/2/2004, fattura presentata al Comune) senza dar conto di quando e come siano stati sottoposti al giudice del merito e alla dialettica del contraddittorio e senza trascriverne o almeno sintetizzarne nei passi rilevanti il contenuto.
5. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per contrasto fra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1399 e 1418 c.c..
5.1. Il ricorrente ravvisa una flagrante contraddittorietà fra le affermazioni inconciliabili contenute a pagina 5 della sentenza impugnata (“deve ritenersi direttamente riconducibile all’ente conferente l’incarico per effetto della detta deliberazione di approvazione che essendo intervenuta in epoca successiva alla formalizzazione dell’accordo, si appalesa come formale atto di ratifica”) e quella successiva di pag. 7, secondo cui si sarebbe verificata “una sorta di frattura (o scissione ope legis tra detti soggetti e l’amministrazione e quindi, escludendo la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori dello schema procedimentale previsto”.
Sarebbero quindi inconciliabili le affermazioni della Corte etnea che ha accertato l’esistenza di una Delibera della Giunta Municipale di approvazione dell’attività negoziale del Sindaco con idoneità di ratifica e validazione della rappresentanza dell’amministratore e il diniego che l’atto potesse spiegare effetti nella sfera del Comune.
5.2. Il motivo è infondato e presuppone una incompleta ed erronea lettura della sentenza impugnata, invece basata su di un diverso rilievo, in particolare relativo alla mancanza nella Delibera di ratifica da parte della Giunta dell’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della relativa copertura finanziaria, secondo la rigorosa procedura diretta a regolare gli impegni di spesa e il pagamento dei servizi da parte degli enti locali.
La Corte catanese ha anche osservato che non era a tal fine sufficiente il richiamo della Delib. Consiliare n. 35 del 2003, che non prevedeva affatto una specifica provvista, ma autorizzava solo a richiedere alla Cassa Depositi e Prestiti la concessione dell’anticipazione del fondo di progettazione di cui alla L. n. 549 del 1999 e lasciava del tutto incerti i concreti mezzi per fra fronte alla spesa con specifica copertura finanziaria.
5.3. In altre parole, la Corte di appello ha dato rilievo ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, comma 4, alla mancanza di copertura finanziaria dell’impegno di spesa comportato dalla stipulazione del contratto d’opera professionale pur ratificato dalla Giunta.
Come si è detto, secondo l’art. 191, predetto comma 4, nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
La motivazione è esistente, chiara e non contraddittoria e non specificamente e puntualmente censurata dal ricorrente.
6. Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Resta assorbito il tema della domanda ulteriormente subordinata del controricorrente arch. P. verso il Comune di Monreale, semplicemente riproposta per il denegato, e non verificatosi, caso dell’accoglimento del ricorso principale.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo, nei rapporti fra il ricorrente e il controricorrente arch. P..
L’assorbimento del tema della domanda ulteriormente subordinata giustifica la compensazione nei rapporti fra P.F. e il Comune di Monreale.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente P.F., liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge;
compensa le spese fra il controricorrente P.F. e il controricorrente Comune di Monreale.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021