Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.392 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRICOMI Laura – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13774/2018 r.g. proposto da:

COMUNE DI TAORMINA, (cod. fisc. *****), in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Prof.

Giovanni Giacobbe, e dall’Avvocato Andrea Scuderi, con cui elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma, alla via Lungotevere dei Mellini n. 24.

– ricorrente –

contro

S. IMPREGILO S.P.A., (cod. fisc. *****), – oggi, a seguito di denominazione sociale, Webuild s.p.a. – con sede in *****, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, Dott. S.P., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Prof.

Bruno Capponi, e dall’Avvocato Giuseppe Giuffrè, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via degli Scipioni n. 288.

– controricorrente –

e IMPREPAR – IMPREGILO PARTECIPAZIONI S.P.A., (cod. fisc. *****), –

in proprio e nella qualità di capogruppo e mandataria dell’Associazione Temporanea di Imprese costituita tra la medesima e le mandanti I.C.L.A. s.p.a., COMIL s.p.a. e Studi Progetti Costruzioni s.p.a. – con sede in *****, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, rag. L.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Prof. Bruno Capponi e dall’Avvocato Giuseppe Giuffrè, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via degli Scipioni n. 288.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MESSINA depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 30/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

FATTI DI CAUSA

1. Con lodo arbitrale del 21 ottobre 1997, il Comune di Taormina fu condannato a corrispondere all’Associazione Temporanea di Imprese costituita tra la s.p.a. Impregilo, la s.p.a. I.C.L.A., la s.p.a. COMIL e la s.p.a. Studi Progetti Costruzioni, cui l’amministrazione comunale, con contratto del 28 dicembre 1989, aveva affidato in appalto l’esecuzione dei lavori di collegamento sotterraneo tra i versanti nord e sud del centro storico della città, nonchè di parcheggi sotterranei, le somme di Lire 17.767.37.000, a titolo di risarcimento danni per l’anomalo andamento dell’appalto, di Lire 521.189.780, per prospezione dei terreni, di Lire 1.084.331.602, per ristoro degli oneri sostenuti per la progettazione esecutiva, nonchè altre somme per importi revisionali ed accessori.

2. Sull’impugnazione di quel lodo promossa dal menzionato comune si pronunciò la Corte di appello di Messina, che, con sentenza del 4 agosto 2003, n. 323, la respinse, assumendo, tra l’altro, che la liquidazione del danno era stata esaustivamente motivata, essendo fondata su di una perizia giurata redatta in conformità di un’ampia documentazione contabile depositata in giudizio, e che, d’altra parte, la violazione dell’art. 1227 c.c., era esclusa dal fatto che l’appaltatrice aveva eseguito numerosi e cospicui lavori addirittura in anticipo sui tempi contrattuali.

3. Decidendo sul ricorso per cassazione proposto dal medesimo ente contro quella decisione, questa Corte, con sentenza del 16 giugno 2010, n. 14574, ne accolse i motivi quarto (che aveva denunciato la violazione degli artt. 2697 e 1223 c.c., perchè la sentenza impugnata aveva tratto la prova dei danni per la sospensione dei lavori ed il prolungamento dei tempi dell’appalto esclusivamente da una perizia giurata prodotta dall’impresa, nonchè da una imprecisata documentazione in atti, senza considerare che esso ente aveva contestato in radice che durante detto periodo l’ATI appaltatrice avesse collocato e mantenuto macchinari ed attrezzature in cantiere, fermi ed inutilizzati; e che avesse corrisposto stipendi ai propri dipendenti per anni senza far nulla e senza utilizzarli per altri lavori), quinto (che aveva prospettato altra violazione di dette norme, nonchè omessa e contraddittoria motivazione, laddove la sentenza predetta aveva ritenuto sufficiente al riguardo l’utilizzazione di una perizia stragiudiziale; e non aveva considerato, come evidenziato da esso ente, che, nello stesso periodo, vi erano altresì altre categorie di lavori che avrebbero potuto essere eseguiti e completati dalle maestranze asseritamente inutilizzate, a nulla rilevando che l’appaltatrice avesse osservato puntualmente i tempi previsti dal contratto per lo svolgimento dell’opera e li avesse anzi, per certe categorie di lavori, anticipati) e sesto (con cui il Comune di Taormina, deducendo violazione dell’art. 1362 c.c., aveva censurato la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile il motivo di impugnazione con cui esso comune era stato condannato al pagamento degli oneri di prospezione dei terreni e di progettazione esecutiva senza considerare che il lodo aveva pretermesso l’esame dell’art. 21 del Capitolato Speciale di appalto che disponeva esattamente il contrario, ponendoli a carico dell’imprenditore, e comunque senza interpretarlo in base al fondamentale canone di ermeneutica rivolto a privilegiare il contenuto letterale delle parole usate dal legislatore che deponeva in tali sensi), rigettando gli altri. Cassò la sentenza impugnata e rinviò, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Messina (così corretta, in data 12.10.2011, l’originaria erronea indicazione della Corte di appello di Roma), in diversa composizione.

4. Quest’ultima, con sentenza del 26 febbraio 2018, n. 192, ha rigettato l’impugnazione principale del Comune di Taormina e dichiarato assorbita quella incidentale condizionata delle appellate; ha confermato il regime delle spese processuali disposto nel primo giudizio innanzi alla Corte di appello di Messina; ha compensato quelle relative al giudizio di Cassazione ed ha condannato il suddetto comune al pagamento di quelle del giudizio di rinvio.

4.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice ha ritenuto che: i) pur escludendosi efficacia probatoria esaustiva alle due perizie giurate allegate dall’ATI appaltatrice, tuttavia “esse non possono essere trattate alla stregua di una documentazione del tutto irrilevante e la relativa allegazione non può ritenersi tamquam non esset. Alle indicate produzioni, invece, va riconosciuto il valore di indizio, ossia di fatto noto dal quale il giudice può trarre una presunzione semplice secondo il suo prudente apprezzamento… Ciò che si vuole evidenziare è che una decisione – sia essa di un giudice o di arbitri – può essere fondata su di una perizia stragiudiziale ma, in questo caso, devono essere chiaramente spiegate le ragioni per le quali è stata ritenuta attendibile e convincente. Ed in tale prospettiva gli arbitri hanno chiaramente correlato la relazione peritale alla documentazione contabile della società Taormina, società costituita dalle imprese associate con l’unico scopo di procedere alla totale esecuzione dei lavori di cui all’appalto in oggetto. La documentazione indicata, quindi, è esclusivamente inerente ai lavori in questione e non si presta a confusione, nè a fraintendimenti. In conseguenza, la valenza probatoria delle scritture in esame è stata apprezzata dagli arbitri che hanno ritenuto pienamente attendibili le risultanze contabili e le fatture passive dei noli. Lo stesso comune, del resto, non ha opposto, sia nel procedimento arbitrale, sia successivamente, alcuna specifica contestazione sulla documentazione contabile depositata… Deve, quindi, ritenersi che l’Associazione (l’ATI appaltatrice. Ndr), già con il deposito della documentazione contabile non contestata e con la perizia giurata in atti avesse assolto all’onere probatorio relativo all’esistenza del danno e alla sua quantificazione”; ii) “quanto indicato nelle perizie giurate ha trovato… un ulteriore conferma – ove ve ne fosse la necessità – nelle dichiarazioni dei testi, dalle quali emerge chiaramente che, nei periodi interessati, l’Impresa (l’ATI appaltatrice. Ndr) aveva fermi presso il cantiere sia dipendenti che mezzi”; iii) “gli arbitri hanno rilevato che, “a prescindere dalla esistenza di formali sospensioni della durata effettiva di quasi due anni, risulta che l’Impresa (l’ATI appaltatrice. Ndr) ha in corso d’opera tentato di contenere i ritardi ed accelerare le opere, addirittura anticipando l’esecuzione di molti miliardi di opere, non ancora approvate, subendo, poi, il grave impatto di reiterate sospensioni dei pagamenti. Deve pertanto concludersi per il diritto dell’Impresa a vedersi compensati gli oneri indotti dal prolungamento dei tempi dell’appalto” (..). Ritiene, quindi, questo collegio che gli arbitri abbiano dato una puntuale ed esauriente motivazione del comportamento dell’ATI, che, lungi dal porre in essere una ostruzionistica inattività, si è mostrata collaborativa, pur davanti alla particolarità e complessità dell’opera, nonchè alla complessità della situazione geologica dei luoghi che ha richiesto l’espletamento di numerose indagini a carico dell’ATI, dei ritardi costanti nei pagamenti da parte del committente… L’inutilizzazione del cantiere, quindi, non può essere letta come una mancata collaborazione dell’impresa, che è stata – invece – volutamente attiva, ma va correlata ed anzi è direttamente dipendente dalla sospensione dei lavori generata… dalla obbiettiva presenza di numerose variazioni al progetto esecutivo e dalla abnorme protrazione dei tempi per la revisione del progetto”; iv) infine, “l’interpretazione dell’art. 21, lett. p), del CAS (Capitolato Speciale di Appalto. Ndr), offerta dagli arbitri appare corrispondente al tenore letterale della disposizione in cui viene posto – in chiara evidenza – l’onere a carico dell’Associazione di redigere “i progetti costruttivi che dovranno corrispondere ai progetti esecutivi od ai tipi predisposti dall’ente appaltante oltre a tutte le vigenti disposizioni di legge e norme ministeriali in materia ed altre eventuali che venissero emanate in futuro. Le espressioni utilizzate dalla disposizione… non lasciano spazio a fraintendimenti o a dubbi sul fatto che gli oneri relativi ai progetti costruttivi, cioè quei progetti dettagliati necessari per la realizzazione in cantiere delle opere appaltate, fossero a carico dell’associazione, mentre i progetti esecutivi gravassero sul committente. Unica eccezione a tale divisione di oneri è indicata – sempre nell’art. 21, lett. p), – nella sola ipotesi in cui “l’ente appaltante decidesse, a proprio insindacabile giudizio, di non provvedere direttamente, l’appaltatore dovendo in tal caso, a proprie spese, redigere, secondo le modalità e procedure stabilite nel paragrafo B dell’art. 9 del capitolato, i progetti esecutivi e costruttivi delle varianti che egli stesso avesse eventualmente proposto”. L’Associazione era tenuta, quindi, a tutti gli oneri relativi ai progetti esecutivi e costruttivi esclusivamente nel caso di varianti da essa stessa proposte ed accettate dal committente”.

5. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Comune di Taormina, affidandosi a quattro motivi, cui resistono, con controricorsi separati ma di contenuto identico, la IMPREPAR – Impregilo Partecipazioni s.p.a., in proprio e quale capogruppo e mandataria dell’Associazione Temporanea di Imprese costituita tra la medesima e le mandanti I.C.L.A. s.p.a., COMIL s.p.a. e Studi Progetti Costruzioni s.p.a., nonchè la S. Impregilo s.p.a. (già Impregilo s.p.a., oggi Webuild s.p.a. giusta il mutamento di denominazione sociale sancito dall’Assemblea straordinaria della società del 13 maggio 2020). Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente il Collegio, quanto alle vicende che hanno interessato le società controricorrenti esposte nella loro memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. e corroborate dai corrispondenti atti notarili ritualmente prodotti ex art. 372 c.p.c., previa notifica alla controparte, che: i) il mero mutamento della propria denominazione sociale, come documentato dalla S. Impregilo s.p.a. (oggi Webuild s.p.a.), non rileva in questa sede; ii) come affermato in alcune pronunce di questa Corte, in tema di fusione, l’art. 2504-bis c.c. (come modificato dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 6, qui applicabile ratione temporis) plasma una vicenda meramente modificativa-evolutiva della medesima compagine societaria, con conservazione delle proprie identità, garantendo la prosecuzione dei rapporti anche processuali, con legittimazione attiva e passiva della società incorporante o della nuova società, ma lasciando immutata analoga legittimazione attiva e passiva della società incorporata, senza dar luogo ad una successione mortis causa ed essendo impedita l’interruzione del processo. Solo nell’ipotesi in cui la società incorporata sia cancellata dal registro delle imprese, con conseguente sua estinzione, viene meno anche la legittimazione processuale (cfr. Cass. n. 32208 del 2019; Cass. n. 3820 del 2013). Per tali ragioni, dunque, si rivela irrilevante, in questo procedimento, l’atto di fusione prodotto dalla Imprepar – Impresilo Partecipazione s.p.a. (incorporata dalla HCE Costruzioni s.p.a. con effetto dall’1 settembre 2020), atteso che, al momento (3 maggio 2018) della notificazione, nei suoi confronti, del ricorso del Comune di Taormina, nonchè a quello (5 giugno 2018) della spedizione del proprio controricorso, la stessa era ancora iscritta nel registro delle imprese, nè essendo stata allegata e documentata la data della intervenuta sua cancellazione.

1.1. Sempre in via preliminare, va disattesa la richiesta del Comune di Taormina (cfr. pag. 1-2 della sua memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.) di rimessione della presente controversia alla trattazione in pubblica udienza.

1.1.1. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, occupandosi della medesima questione, hanno recentemente avuto modo di chiarire che: “Se è vero che nel giudizio di cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’art. 380-bis.1, c.p.c. è ammissibile in applicazione analogica del comma 3 dell’art. 380-bis c.p.c., rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, nella discrezionalità del collegio giudicante e non del presidente della sezione (Cass. n. 5533/17 ord.), altrettanto indubbio è che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di tale valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza “in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie” (Cass. SSUU n. 14437/18, ord.), ed allorquando non si verta di “decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza” (Cass. n. 19115/17)” (cfr. Cass., SU, n. 8093 del 2020. In senso conforme si veda anche, in motivazione, la più recente Cass. n. 26480 del 2020).

1.1.2. Ciò è appunto quanto accade – come appresso apparirà chiaro nel caso in esame, con la precisazione che la parte istante si è limitata a motivare le ragioni dell’istanza adducendo, essenzialmente (più che il profilo nomofilattico), la particolare rilevanza della lite in ragione degli interessi pubblici coinvolti.

1.1.3. A tanto va solo aggiunto che la trattazione col rito camerale, anzichè in pubblica udienza, non concretizza alcuna lesione al diritto processuale delle parti, nè sotto il profilo del diritto di difesa, nè in relazione al diritto al contraddittorio. Essa si rivela, anzi, pienamente rispettosa di tali diritti, essendo il procedimento di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c., congegnato in modo tale da assicurare a tutte le parti la possibilità di esporre compiutamente i propri assunti, in considerazione dell’adeguatezza del termine stabilito per la comunicazione del giorno fissato per l’adunanza ed in considerazione del previo eventuale deposito finanche delle conclusioni del procuratore generale; donde non è seriamente discutibile che la generalizzazione del rito camerale sia stata disegnata dal legislatore nell’osservanza più piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale, sulle cui conclusioni è sempre consentito svolgere successive osservazioni scritte (cfr. Cass. n. 8869 del 2017).

2. Tanto premesso le censure formulate dal Comune di Taormina denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 e con riferimento agli artt. 2697 e 1223 c.c.”. Si ascrive alla corte distrettuale di avere violato i principi di diritto, stabiliti dalla Corte di cassazione con la sentenza 14574 del 16 giugno 2010, quali regulae iuris del caso concreto alle quali la stessa doveva considerarsi vincolata. In particolare, quest’ultima: a) “ha ignorato che l’appaltatore ha violato, nel procedimento arbitrale, l’obbligo di fornire la prova del necessario “nesso di causalità” in relazione ai pretesi danni”; b) “ha attribuito valenza probatoria alla documentazione unilaterale versata dall’appaltatore agli atti del procedimento arbitrale”; c) “ha ignorato che tali unilaterali elementi erano stati, nel corso del procedimento arbitrale, contestati dall’amministrazione comunale”; d) “ha illegittimamente ricavato l’ammontare di tali pretesi danni da quella unilaterale documentazione dell’appaltatore priva, come si è in precedenza detto, del necessario valore probatorio”; e) si è sottratta “al vincolo, anch’esso nascente dalla menzionata decisione del Giudice di legittimità, di procedere semmai ad un necessario accertamento tecnico mediante consulenza tecnica d’ufficio”;

II) “Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 2697 e 1223 c.c., con riferimento all’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Ferme restando le deduzioni contenute nel primo motivo, si contesta al Giudice di rinvio di essere incorso comunque, in via autonoma, nella violazione delle norme di diritto sopra indicate allorchè: a) ha rigettato l’impugnazione di nullità del lodo, ignorando che l’impresa aveva violato nel giudizio arbitrale l’obbligo di fornire la prova del necessario nesso di causalità in relazione al preteso danno; b) ha ricavato l’ammontare dei pretesi danni da una unilaterale documentazione dell’impresa, priva del necessario valore probatorio; c) si è sottratto al vincolo, necessario al fine d’una corretta decisione vuoi sul piano probatorio che in relazione al merito della controversia, di disporre consulenza tecnica d’ufficio;

III) “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si assume che la corte di merito in sede di rinvio, disattendendo le prospettazioni formulate dal Comune di Taormina ed il principio di diritto fissato da codesta Corte, ha violato, nell’interpretazione della clausola 21 del CSA, l’art. 1362 c.c., per la parte in cui, secondo la corrente interpretazione, pone come primo criterio quello letterale;

IV) “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa motivazione su fatto controverso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si sostiene che la corte territoriale è incorsa, in via autonoma, nella violazione della normativa predetta laddove – preso atto che la Cassazione, accogliendo il sesto motivo ricorso, aveva escluso l’inammissibilità del motivo di impugnazione di nullità del lodo incentrato sulla interpretazione dell’art. 21 del Capitolato Speciale relativo agli oneri di prospezione geologica – ha preso in esame il detto motivo impugnazione, rigettandolo, tuttavia, in assenza motivazione.

3. Premettendosi che l’identica eccezione di inammissibilità del ricorso, “per manifesto difetto di autosufficienza, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (…) e n. 6 (…)”, sollevata da entrambe le controricorrenti, verrà esaminate con riguardo a ciascun motivo di esso, in relazione al primo l’eccezione suddetta va disattesa: nello stesso ricorso è, infatti, presente l’esposizione sommaria dei fatti della causa, mediante gli essenziali riferimenti ai precedenti gradi di giudizio (pagine 4-7), mentre la decisione sul ricorso non suppone l’esame di documenti su cui esso sia fondato, per cui non hanno rilievo le prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Cass. n. 20721 del 2018; Cass. n. 12417 del 2017).

3.1. La complessiva doglianza di cui al medesimo motivo, poi, si rivela fondata nei limiti di cui appresso.

3.2. Giova premettere che il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento, od il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione (cfr. Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione).

3.2.1. Inoltre, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la decisione di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione (cfr. Cass. n. 12817 del 2014; Cass. n. 27337 del 2019), come, sostanzialmente avvenuto nel caso che ci occupa. Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (cfr. Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass. n. 3572 del 1987; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione); nella seconda, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente (cfr. Cass., SU, n. 18303 del 2020; Cass. n. 31901 del 2018); nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (cfr. Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019).

3.2.2. Inoltre, come ancora ribadito da Cass. n. 11202 del 2018 (cfr. in motivazione), il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015). In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019). Ciò perchè il giudizio di rinvio è un “processo chiuso”, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese nè formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (cfr. Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In senso sostanzialmente conforme si veda anche la più recente Cass. n. 5137 del 2019).

3.2.3. In definitiva, come opportunamente ribadito da Cass. n. 636 del 2019, allorquando avanti a questa Corte “…si faccia questione della “uniformazione” del giudice del rinvio al principio di diritto enunciato dalla Corte che abbia proceduto alla cassazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e sia perciò in discussione, in rapporto all’entità del petitum concretamente individuata dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di cassazione, “il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può essersi posta in contrasto” (Cass., Sez. I, 19/02/2018, f7. 3955; Cass., Sez. I, 30/09/2005, n. 19212; Cass., Sez. IV, 1/09/2004, n. 17564). Dunque le coordinate entro le quali la Corte è qui chiamata a vagliare se la sentenza impugnata abbia ottemperato o meno all’obbligo di “uniformazione” discendente dal citato art. 384 c.p.c., comma 2, ed abbia perciò correttamente tracciato il perimetro del thema decidendum demandatogli dalla sentenza cassatoria sono costituite, da un lato, dalla domanda della parte, intendendosi per tale, in rapporto alla specialità del giudizio di cassazione, l’arco delle istanze che, in guisa di censura, vengono veicolate a mezzo dei motivi di ricorso avanti alla Corte onde ottenere la cassazione della sentenza impugnata; dall’altro, dalla questione decisa ovvero dalla censura o dalle censure che tra quelle articolate dalla parte nel ricorso la Corte abbia giudicato fondate ed abbia accolto, cassando la sentenza impugnata e mandando al giudice del rinvio perchè, uniformandosi al principio di diritto enunciato, provveda a regolare la vicenda al suo esame secundum ius”.

3.3. Orbene, nel caso all’attenzione del Collegio, la statuizione di questa Corte n. 14574 del 2010, nell’accogliere il quarto ed il quinto motivo di ricorso (già riportati al p. 3 dei “Fatti di causa”, da intendersi, per brevità, qui richiamati) del Comune di Taormina contro la sentenza della Corte di appello di Messina del 4 agosto 2003, n. 303, così si espresse: “Contrariamente a quanto mostra di ritenere la Corte territoriale, il Comune di Taormina, con l’atto di impugnazione, non aveva contestato soltanto i criteri con cui gli arbitri avevano liquidato il danno sofferto dall’impresa per l’inutilizzazione dei propri dipendenti e dei propri macchinari ovvero la scelta delle acquisizioni processuali di cui il lodo si era avvalso per determinarne l’ammontare, comportante apprezzamenti di fatto riservati agli arbitri. Ma aveva ancor prima escluso in radice che un qualsiasi danno si fosse verificato per non avere l’ATI assolto all’onere della prova su di essa gravante, che uomini, impianti e macchinari fossero rimasti inutilizzati per così lungo tempo; e che quindi l’impresa avesse mantenuto fermo il proprio cantiere per la maggior durata dell’appalto e per quella della sospensione dei lavori. Per cui, conclusivamente, aveva addebitato agli arbitri l’inosservanza dei principi sull’onere della prova da parte del danneggiato tenuto, in base all’art. 2697 c.c., a dimostrare la ricorrenza di tutti gli elementi che legittimano, secondo il diritto, la sua pretesa risarcitoria. E la relativa valutazione non si esauriva in un accertamento di fatto rivolto all’individuazione delle risultanze idonee a fornire detta prova, dovendosi, invece, stabilire se il lodo aveva osservato o meno le regole di diritto sull’onere della prova gravante sul danneggiato. Di conseguenza, non soltanto l’impugnazione per nullità sotto tale profilo era ammissibile, ma la Corte di appello poteva dichiararne l’infondatezza soltanto accertando se gli arbitri avessero individuato e risolto la relativa questione; ed in caso affermativo, se la risoluzione fosse stata conforme alla disciplina legale che non consente al soggetto onerato di una prova di fondarla esclusivamente su imprecisati documenti da esso stesso predisposti; e neppure su di una perizia stragiudiziale che, ancorchè asseverata con giuramento dal suo autore, raccolto dal cancelliere, costituisce pur sempre una mera allegazione difensiva, avente peraltro per oggetto sempre e comunque questioni tecniche; e, pertanto, nel caso inidonea a dimostrare la presenza in cantiere di uomini e macchinari inutilizzati per il lungo periodo di tempo dedotto dall’impresa. Così come una tale idoneità non poteva riconoscersi a scritture o altri documenti contabili provenienti dall’impresa, pur se regolarmente tenuti, avuto riguardo alla loro formazione unilaterale ed alla loro funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un rapporto: inquadrandosi gli stessi tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, e strutturandosi secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all’altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito, onde, quando tale rapporto, per la sua natura o per il suo contenuto, sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, il documento, ancorchè annotato nei libri obbligatori, non può, attese le sue caratteristiche genetiche (formazione ad opera della stessa parte che intende avvalersene), assurgere a prova del rapporto o dell’obbligazione (Cass. 9563/2004; 812 6/2004; 3108/1996). La sentenza impugnata ha, perciò, confuso la violazione delle regole sull’onere della prova circa l’esistenza ontologica del danno, denunciata dal comune e sulla quale manca in radice qualsiasi motivazione, con la valutazione degli elementi processuali acquisiti onde determinarne il quantum ove siffatta prova fosse stata assolta, che è la sola questione esaminata in motivazione (pag. 21). E, nell’ambito di essa, ha confuso i poteri discrezionali di scelta degli elementi istruttori ritenuti idonei ed attendibili per eseguire la quantificazione suddetta, riservati al giudice di merito, con i principi giuridici sulla disciplina di quelli tra di essi cui è attribuito il valore di prova legale nei confronti della controparte: perciò non rimessa al potere discrezionale di detto giudice cui non è consentito di affidare il proprio convincimento a un materiale di prova ontologicamente inesistente. Ma la Corte di appello ha errato pure nella prospettiva che dalle risultanze dalla stessa indicata si fosse potuta trarre la prova della persistente inutilizzazione del cantiere, in quanto il comune ha dedotto che nello stesso periodo l’impresa avrebbe potuto utilizzare il gran numero di operai ed i mezzi meccanici asseritamente fermi in altre opere da eseguire non collegate alla variante che aveva condotto alla sospensione dei lavori tra le quali esemplificativamente i parcheggi “*****” ed “*****” solo successivamente completati. Si trattava, all’evidenza, non già di un addebito all’ATI di essere rimasta inadempiente alle obbligazioni assunte, e tanto meno di aver eseguito in quel periodo una quantità di lavori contrattualmente inferiore a quella convenuta nel capitolato, che poteva essere vinta dalla prova che le opere pattuite erano state puntualmente eseguite, anzi con anticipo rispetto ai tempi stabiliti. Ma della prospettazione di situazione idonea ad escludere (in tutto o in parte) il fatto costitutivo del danno lamentato dalla controparte; e comunque di circostanza rivolta a dimostrare che la dedotta inutilizzazione di maestranze e di macchinari non era dipendente dalla sospensione dei lavori in attesa della variante addebitata all’ente pubblico, bensì esclusivamente da scelte dell’impresa. Per cui non sembra al Collegio che la Corte di appello potesse sfuggire alla seguente alternativa: o esplicitare le ragioni per le quali gli arbitri avevano ritenuto sia pure con l’ausilio di accertamenti tecnici, che tali lavori non fossero in quel tempo ancora eseguibili, ovvero che dipendessero dall’esito della variante, cui erano condizionati; e valutarne la congruità sia pure nel rispetto del combinato disposto degli artt. 823 ed 829 c.p.c.. Ovvero, in caso contrario, annullare il lodo incorso in ulteriore errore di diritto per aver liquidato all’ATI il danno dalla lamentata inutilizzazione del cantiere pur in mancanza di un nesso di causalità tra di essa e la sospensione dei lavori disposta dall’ente pubblico, ed in presenza della prova che la chiusura del cantiere ed il suo protrarsi nel tempo erano dipesi dalla mera volontà dell’imprenditore, che peraltro finiva per influire negativamente perfino “sullo spropositato ritardo” con il quale si era concluso l’appalto (pag. 12 sent.)”.

3.3.1. La medesima statuizione, poi, accogliendo il sesto motivo di ricorso (anch’esso riportato al p. 3 dei “Fatti di causa”, da intendersi, per brevità, qui richiamati) del Comune di Taormina, così opinò: “Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’interpretazione degli arbitri, in ordine al contenuto di una clausola contrattuale, può essere contestata, con l’impugnazione per nullità del lodo, solo in relazione alla violazione di regole di diritto, e non anche, pertanto, tramite la mera deduzione di erroneità, ovvero la prospettazione di un’interpretazione diversa, peraltro senza la specifica indicazione di quali criteri ermeneutici gli arbitri abbiano mancato di osservare. E che la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale deve essere dedotta in sede d’impugnazione della sentenza arbitrale mediante la specificazione di dette regole violate, nonchè delle ragioni di contrasto fra di esse e le argomentazioni degli arbitri (Cass. 10131/2006; 6423/2003; 11241/2002). Proprio quest’ultima ipotesi ricorreva nel caso concreto in cui il Comune di Taormina, in relazione al capo del lodo che lo aveva condannato al ristoro dei maggiori oneri per prospezione dei terreni e progettazione esecutiva, aveva ricordato varie disposizioni contrattuali di contenuto contrario ed interamente trascritto, in particolare, l’art. 21 del C.S.A. che poneva, invece, a carico dell’appaltatore, in coerenza con la circostanza che si trattava di appalto a licitazione privata (predisposto cioè dall’appaltatore), l’obbligo di redigere a proprie spese i progetti esecutivi e costruttivi; ed addebitato agli arbitri di avere violato il fondamentale criterio posto dall’art. 1362 c.c., fondato sull’interpretazione letterale delle clausole contrattuali, capovolgendo invece il contenuto della proposizione ed attribuendole un significato opposto a quello fatto palese dal loro testo. Non si trattava quindi nè di una mera contestazione inerente al merito della ricostruzione della clausola offerta dagli Arbitri, nè della prospettazione di una interpretazione diversa e più favorevole all’ente, bensì della denuncia di un preciso error in iudicando in cui il lodo era incorso; per cui anzitutto la sentenza impugnata non poteva dichiarare inammissibile tale motivo di impugnazione perchè espressamente previsto dall’art. 829 c.c., comma 2. E, nel merito, poteva respingerlo soltanto ove gli arbitri avessero dimostrato (senza incorrere in alcun vizio di motivazione) che la clausola in esame era inapplicabile alla questione, spiegandone le ragioni; ovvero che la dedotta interpretazione letterale doveva essere contemperata con altri criteri ermeneutici che dovevano essere esplicitati unitamente ai motivi per cui erano stati preferiti. Laddove la Corte territoriale pur dando atto che l’ente pubblico aveva pedissequamente riportato “il contenuto di alcuni articoli del capitolato” ed invocato le disposizioni dell’art. 1362 c.c., gli ha addebitato di aver proposto una interpretazione dei patti contraria a quella analitica e motivatamente posta dagli arbitri a sostegno della decisione: significativamente non riportando alcuna delle argomentazioni in cui si concretava detta motivazione ed ancora una volta confondendo in tema di interpretazione di un contratto la ricerca e la individuazione della comune volontà dei contraenti costituenti tipici accertamenti di fatto riservati istituzionalmente al giudice del merito con la inosservanza dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362 c.c., che il giudice di merito è tenuto ad osservare nel compiere detta interpretazione: perciò deducibili sia in sede di impugnazione del lodo, che, conseguentemente nel giudizio di legittimità davanti a questa Corte”.

3.3.2. In quella sede, dunque, una volta rimasta accertata (per effetto del rigetto dei motivi primo, secondo, terzo e settimo) la responsabilità del Comune di Taormina in dipendenza della “abnorme ed indebita protrazione dei tempi effettivi di esecuzione dei lavori appaltati”, si è cassata la sentenza impugnata demandandosi al giudice del rinvio di provvedere ad un nuovo esame con riguardo: i) alla prova dell’esistenza del danno lamentato dall’ATI per la sospensione dei lavori ed il prolungamento dell’appalto; ii) alla sua successiva quantificazione, ove accertatane l’esistenza; iii) agli obblighi effettivamente assunti, per contratto, dall’ATI in tema di indagini geologiche e di progettazione esecutiva. Tanto, ovviamente, nel rispetto di quanto dalla Suprema Corte evidenziato circa l’erroneità, sui questi punti, della sentenza da essa cassata.

3.4. Muovendo, dunque, dai primi due profili appena descritti, la corte distrettuale, in sede di rinvio, – come si è anticipato, più ampiamente, nei p. 4.1. del “Fatti di causa” – ha innanzitutto affermato, del tutto correttamente, che “l’ambito di valutazione, rimesso oggi a questa Corte, non verte sull’esistenza, o meno, della responsabilità dell’Amministrazione in dipendenza della “abnorme ed indebita protrazione dei tempi effettivi di esecuzione dei lavori appaltati” e “delle spese improduttivamente sostenute per macchine operatrici e personale e personale ad esso addetto nei periodi di forzata inattività” (cfr. pag. 15-16 della sentenza impugnata) e che “…il punto nodale rimesso a questa Corte attiene alla prova dell’esistenza del danno per la sospensione dei lavori ed il prolungamento dei tempi dell’appalto e alla sua successiva quantificazione” (cfr. pag. 18 della medesima sentenza).

3.4.1. Ha osservato, poi, che: i) “gli arbitri hanno efficacemente motivato… sulla responsabilità del Comune di Taormina per l’andamento anomalo dell’appalto,… ed hanno quindi ritenuto esistente il danno per l’ATI in conseguenza del verificarsi di uno squilibrio nel rapporto contrattuale correlato alla sospensione e alla procedura di revisione che hanno comportato una abnorme dilazione della durata prevista in contratto per la realizzazione dell’opera, tanto che hanno ritenuto presuntivamente consequenziale l’esistenza di un pregiudizio per l’Associazione per i costi sostenuti per il prolungato vincolo dei macchinari, impianti e attrezzature impegnati nella esecuzione dei lavori, per i costi sostenuti per il personale dipendente di cantiere, per le spese generali. Quanto alle voci di danno relative ai costi (le spese generali non sono state oggetti di specifica contestazione), gli Arbitri hanno tratto la relativa prova dalla documentazione contabile allegata e dalla perizia giurata depositata” (cfr. pag. 19 della citata sentenza); ii) malgrado dovesse negarsi efficacia probatoria esaustiva alle due perizie giurate allegate dall’ATI appaltatrice, tuttavia “esse non possono essere trattate alla stregua di una documentazione del tutto irrilevante e la relativa allegazione non può ritenersi tamquam non esset. Alle indicate produzioni, invece, va riconosciuto il valore di indizio, ossia di fatto noto dal quale il giudice può trarre una presunzione semplice secondo il suo prudente apprezzamento”. In altri termini, secondo quella corte, “..una decisione – sia essa di un giudice o di arbitri – può essere fondata su di una perizia stragiudiziale ma, in questo caso, devono essere chiaramente spiegate le ragioni per le quali è stata ritenuta attendibile e convincente” (cfr. pag. 21).

3.4.2. Proprio in tale prospettiva, dunque, il giudice di rinvio ha rimarcato che: a) “…gli arbitri hanno chiaramente correlato la relazione peritale alla documentazione contabile della società Taormina, società costituita dalle imprese associate con l’unico scopo di procedere alla totale esecuzione dei lavori di cui all’appalto in oggetto. La documentazione indicata, quindi, è esclusivamente inerente ai lavori in questione e non si presta a confusione, nè a fraintendimenti. In conseguenza, la valenza probatoria delle scritture in esame è stata apprezzata dagli arbitri che hanno ritenuto pienamente attendibili le risultanze contabili e le fatture passive dei noli. Lo stesso comune, del resto, non ha opposto, sia nel procedimento arbitrale, sia successivamente, alcuna specifica contestazione sulla documentazione contabile depositata… Deve, quindi, ritenersi che l’Associazione (l’ATI appaltatrice. Ndr), già con il deposito della documentazione contabile non contestata e con la perizia giurata in atti avesse assolto all’onere probatorio relativo all’esistenza del danno e alla sua quantificazione”. Ha aggiunto, peraltro che, “quanto indicato nelle perizie giurate ha trovato… una ulteriore conferma – ove ve ne fosse la necessità nelle dichiarazioni dei testi, dalle quali emerge chiaramente che, nei periodi interessati, l’Impresa (l’ATI appaltatrice. Ndr) aveva fermi presso il cantiere sia dipendenti che mezzi” (cfr. amplius, pag. 21-24); b) “gli arbitri hanno rilevato che, “a prescindere dalla esistenza di formali sospensioni della durata effettiva di quasi due anni, risulta che l’Impresa (l’ATI appaltatrice. Ndr) ha in corso d’opera tentato di contenere i ritardi ed accelerare le opere, addirittura anticipando l’esecuzione di molti miliardi di opere, non ancora approvate, subendo, poi, il grave impatto di reiterate sospensioni dei pagamenti. Deve pertanto concludersi per il diritto dell’Impresa a vedersi compensati gli oneri indotti dal prolungamento dei tempi dell’appalto” (…). Ritiene, quindi, questo collegio che gli arbitri abbiano dato una puntuale ed esauriente motivazione del comportamento dell’ATI, che, lungi dal porre in essere una ostruzionistica inattività, si è mostrata collaborativa, pur davanti alla particolarità e complessità dell’opera, nonchè alla complessità della situazione geologica dei luoghi che ha richiesto l’espletamento di numerose indagini a carico dell’ATI, dei ritardi costanti nei pagamenti da parte del committente… L’inutilizzazione del cantiere, quindi, non può essere letta come una mancata collaborazione dell’impresa, che è stata – invece volutamente attiva, ma va correlata ed anzi è direttamente dipendente dalla sospensione dei lavori generata… dalla obbiettiva presenza di numerose variazioni al progetto esecutivo e dalla abnorme protrazione dei tempi per la revisione del progetto” (cfr. amplius, pag. 25-26).

3.5. Così opinando, però, la corte distrettuale, munita dei già descritti poteri spettanti al giudice di rinvio cui la causa sia stata rimessa per violazione di legge e vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019), ha adempiuto al doppio obbligo impostole, riguardante la nuova valutazione (i) della prova dell’esistenza del danno lamentato dall’ATI per la sospensione dei lavori ed il prolungamento dell’appalto, nonchè (ii) della sua successiva quantificazione, ove accertatane l’esistenza, osservando solo parzialmente i corrispondenti ditta fissatile dalla rescindente decisione di Cass. n. 14574 del 2010.

3.5.1. In particolare, lo ha fatto correttamente con riguardo al primo di detti profili, vale a dire relativamente all’an del danno di cui si discute. Sul punto, infatti, ha concluso per la soluzione positiva: a) valorizzando l’assunto degli arbitri secondo cui quel danno (da intendersi limitato ai soli costi per il blocco di personale e macchinari all’interno del cantiere. Le spese generali, infatti, sono rimaste prive di specifica contestazione) era la conseguenza dell’essersi verificato uno squilibrio nel rapporto contrattuale correlato alla sospensione predetta ed alle procedure di revisione che avevano comportato una abnorme dilazione della durata prevista in contratto per la realizzazione dell’opera, così da far ritenere “presuntivamente consequenziale l’esistenza di un pregiudizio per l’Associazione per i costi sostenuti per il prolungato vincolo dei macchinari, impianti e attrezzature impegnati nella esecuzione dei lavori, per i costi sostenuti per il personale dipendente di cantiere, per le spese generali”; b) riportando gli esiti della espletata prova testimoniale, dalle quali emergeva chiaramente che, nei periodi interessati, l’ATI appaltatrice aveva mantenuto fermi presso il cantiere sia dipendenti che mezzi (cfr. amplius, pag. 21-24). Possono considerarsi rispettati, dunque, i principi sull’onere della prova da parte del danneggiato tenuto, in base all’art. 2697 c.c., a dimostrare la ricorrenza di tutti gli elementi (pure, quindi, il nesso di causalità ex art. 1223 c.c.) che legittimano secondo il diritto la sua pretesa risarcitoria, sicchè la contestazione oggi mosse dal ricorrente con la censura in esame, si rivela infondata quanto all’asserita inosservanza, da parte del giudice di rinvio, delle prescrizioni impostegli, sul punto, da questa Corte con la citata sentenza n. 14574 del 2010.

3.5.2. Non altrettanto, invece, può affermarsi in ordine alla quantificazione della menzionata pretesa risarcitoria. Invero, ciò è avvenuto: i) anzitutto, muovendosi dal presupposto che le due perizie giurate allegate dall’ATI appaltatrice non potessero considerarsi come del tutto irrilevanti e, come tali, tamquam non essent, dovendosi, piuttosto, attribuire alle stesse un valore almeno indiziario, “…ossia di fatto noto dal quale il giudice può trarre una presunzione semplice secondo il suo prudente apprezzamento”, altresì puntualizzandosi che “..una decisione sia essa di un giudice o di arbitri – può essere fondata su di una perizia stragiudiziale ma, in questo caso, devono essere chiaramente spiegate le ragioni per le quali è stata ritenuta attendibile e convincente” (cfr. pag. 21 della sentenza impugnata); il) evidenziandosi che gli arbitri avevano chiaramente correlato le relazioni peritali alla documentazione contabile di altra società (la Taormina), costituita dalle imprese associate con l’unico scopo di procedere alla totale esecuzione dei lavori di cui all’appalto in oggetto, sicchè quella documentazione (asseritamente non contestata dal Comune di Taormina nel corso del procedimento arbitrale, ma solo con il proprio atto di impugnazione del lodo), esclusivamente inerente ai lavori in questione, non si prestava a confusione, nè a fraintendimenti; iii) rimarcandosi che quanto indicato nelle perizie giurate aveva trovato una ulteriore conferma nelle dichiarazioni dei testi (cfr. amplius, pag. 21-24).

3.5.2.1. E’ di tutta evidenza, allora, che la corte messinese abbia inteso riconoscere un valore, seppure originariamente solo indiziario, a perizie giurate, fatte, poi, assurgere sostanzialmente, addirittura a valore di prova piena (circa il danno de quo) per effetto della loro combinazione con documentazione di formazione comunque unilaterale, perchè proveniente da una società (la Taormina) costituita dalle medesime imprese costituenti l’ATI appaltatrice dei lavori, come tale, quindi, chiaramente riconducibile al suo centro di interessi. Il dictum della decisione rescindente resa Cass. n. 14574 del 2010, al contrario, aveva imposto al giudice di rinvio, di tener conto della “…disciplina legale che non consente al soggetto onerato di una prova di fondarla esclusivamente su imprecisati documenti da esso stesso predisposti; e neppure su di una perizia stragiudiziale che, ancorchè asseverata con giuramento dal suo autore, raccolto dal cancelliere, costituisce pur sempre una mera allegazione difensiva, avente peraltro per oggetto sempre e comunque questioni tecniche; (…). Così come una tale idoneità non poteva riconoscersi a scritture o altri documenti contabili provenienti dall’impresa, pur se regolarmente tenuti…”. Ne consegue, pertanto, che la descritta decisione, sul punto, della corte di rinvio – ove pure astrattamente confortata da orientamenti interpretativi con essa coerenti – si rivela in contrasto con accertamenti in diritto passati in giudicato (interno), quanto alla inidoneità della documentazione e delle perizie stragiudiziali suddette, avendo affidato il proprio convincimento ad un materiale di prova già definito come “ontologicamente inesistente” dalla pronuncia rescindente di Cass. n. 14574 del 2010 (cfr. pag. 21 della relativa motivazione).

3.5.2.2. In altri termini, la corte distrettuale non avrebbe potuto utilizzare comunque quelle perizie giurate, nè la documentazione che ne rappresentava il sostrato, per la quantificazione del danno lamentato dall’ATI appaltatrice: ciò per la dirimente considerazione che, diversamente, sarebbero stati vanificati gli effetti intangibili della statuizione resa dalla menzionata pronuncia rescindente di legittimità circa il valore di detto materiale ed i principi di diritti da essa desumibili, in parte qua, da ritenersi affermati non in via astratta ma agli effetti della decisione finale, altresì ribadendosi che il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015; Cass. n. 11202 del 2018, in motivazione).

3.6. Il motivo in esame prospetta anche l’avvenuta violazione, ad opera della corte messinese, dei principi ad essa fissati dalla precedente decisione di questa Corte n. 14574 del 2010 quanto all’accertamento degli obblighi effettivamente assunti, per contratto, dall’ATI in tema di indagini geologiche e di progettazione esecutiva. Questa doglianza, però, si rivela infondata.

3.6.1. Si è già detto, invero (cfr., amplius, il precedente p. 3.3.1.), che al giudice di rinvio era stato prescritto (cfr. pag. 25 della menzionata Cass. n. 14574 del 2010), circa il merito del corrispondente motivo di impugnazione del lodo formulato dal Comune di Taormina, che avrebbe potuto respingerlo “…soltanto ove gli arbitri avessero dimostrato (senza incorrere in alcun vizio di motivazione) che la clausola in esame (l’art. 21 del C.S.A. Ndr) era inapplicabile alla questione, spiegandone le ragioni; ovvero che la dedotta interpretazione letterale doveva essere contemperata con altri criteri ermeneutici che dovevano essere esplicitati unitamente ai motivi per cui erano stati preferiti”. A quel giudice, dunque, era stato demandato di valutare la fondatezza, o meno, del predetto motivo di impugnazione del lodo previa interpretazione della relativa previsione del capitolato speciale di appalto. E tanto è quanto ha concretamente fatto la corte di rinvio (cfr. pag. 27-29 della sentenza oggi impugnata), così correttamente adempiendo, per ciò solo, a quanto impostole.

4. Il secondo motivo di ricorso, che, come si ricorderà, ascrive alla corte messinese di essere incorsa comunque, in via autonoma, nella violazione delle medesime norme di diritto sostanziale già oggetto del primo motivo, sebbene sotto il diverso profilo della mancata osservanza del principio dettato, con riferimento ad esse, da Cass. n. 14564 del 2010, può evidentemente considerarsi assorbito tenuto conto di quanto si è già ampiamente detto scrutinandosi, appunto, quest’ultima censura.

5. Venendo, così, all’esame degli altri motivi di ricorso, lo scrutinio del quarto di essi deve logicamente precedere quello del terzo. La corrispondente doglianza, peraltro, non merita accoglimento.

5.1. Invero, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 26 febbraio 2018, deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 9017 del 2018; Cass. n. 22865 del 2019) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020).

5.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della stessa deve comprendere il racconto sia del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (cfr. Cass. 1450 del 2009). Nello spiegare questi argomenti, il giudice del merito deve compiere ed illustrare due distinte attività nel processo di formazione del proprio convincimento enunciando in modo esaustivo l’iter logico giuridico che conduce alla decisione adottata: un’attività di scienza, intesa quale conoscenza dei fatti e delle circostanze della causa, ed una di giudizio, manifestando il ragionamento e la valutazione dei fatti prospettati dalle parti, nonchè l’idoneità, o meno, dei medesimi a fungere da elementi a sostegno della corretta risoluzione della controversia dedotta in giudizio (cfr. Cass. n. 9577 del 2013). Ne deriva che è possibile ravvisare una “motivazione apparente” nel caso in cui, pur essendo la stessa graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

5.1.2. Un simile vizio – da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – è, nella specie, insussistente.

5.1.3. La corte territoriale, infatti, muovendo da quanto prescritto, sullo specifico punto, al giudice di rinvio da Cass. n. 14574 del 2010 (la quale, accogliendo il sesto motivo di ricorso ivi formulato dal Comune di Taormina, aveva sancito che “…anzitutto la sentenza impugnata non poteva dichiarare inammissibile tale motivo di impugnazione perchè espressamente previsto dall’art. 829 c.c., comma 2. E, nel merito, poteva respingerlo soltanto ove gli arbitri avessero dimostrato (senza incorrere in alcun vizio di motivazione) che la clausola in esame era inapplicabile alla questione, spiegandone le ragioni; ovvero che la dedotta interpretazione letterale doveva essere contemperata con altri criteri ermeneutici che dovevano essere esplicitati unitamente ai motivi per cui erano stati preferiti…”), ha compiutamente spiegato (cfr. pag. 27-29 della sentenza oggi impugnata, parzialmente riprodotte al p. 4.1. dei “Fatti di causa”) le ragioni per cui l’interpretazione dell’art. 21, lett. p), del Capitolato Speciale di Appalto, offerta dagli arbitri appariva corrispondente al tenore letterale della disposizione, le cui espressioni non lasciavano spazio a fraintendimenti o a dubbi sul fatto che gli oneri relativi ai progetti costruttivi, cioè quei progetti dettagliati necessari per la realizzazione in cantiere delle opere appaltate, fossero a carico dell’associazione, mentre i progetti esecutivi gravassero sul committente. Unica eccezione a tale divisione di oneri era indicata – sempre nell’art. 21, lett. p) – nella sola ipotesi in cui “l’ente appaltante decidesse, a proprio insindacabile giudizio, di non provvedere direttamente, l’appaltatore dovendo in tal caso, a proprie spese, redigere, secondo le modalità e procedure stabilite nel paragrafo 13 dell’art. 9 del capitolato, i progetti esecutivi e costruttivi delle varianti che egli stesso avesse eventualmente proposto”. La corte messinese ha così concluso che l’Associazione era tenuta “a tutti gli oneri relativi ai progetti esecutivi e costruttivi esclusivamente nel caso di varianti da essa stessa proposte ed accettate dal committente”, ed ha rigettato il motivo di impugnazione del lodo promosso dal comune predetto.

5.1.4. Essa, dunque, ha illustrato le ragioni poste a base della soluzione adottata, sicchè deve considerarsi soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto; nè rileva, qui, come sì è già anticipato, l’esattezza, o non, di una tale giustificazione.

6. Il terzo motivo è, invece, inammissibile.

6.1. Esso, infatti, si rivela, innanzitutto, carente di autosufficienza, non riportando, integralmente, il contenuto di tutto l’art. 21 del Capitolato Speciale di appalto della cui interpretazione si controverte. E’ noto, invece, che il principio cd. di autosufficienza del ricorso (oggi desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3-6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) impone che quest’ultimo contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa o il controricorso (cfr., ex multis, Cass. n. 29093 del 2018; Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 31082 del 2017; Cass. n. 1926 del 2015). A tanto deve aggiungersi che la recente Cass., SU, n. 34469 del 2019, ha precisato che “In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità”.

6.1.1. Nella specie, a pag. 20 del ricorso, argomentandosi sul primo motivo, è riprodotta la sola pattuizione sub lettera p) del menzionato articolo, mentre, invece, alcunchè si rinviene, circa il tenore letterale complessivo di tale articolo, nel terzo motivo: ciò già impedisce a questa Corte di avere reale conoscenza delle pattuizioni tutte ivi sancite e dei reciproci obblighi da esse scaturenti.

6.2. La doglianza, per il resto, benchè denunci violazione di legge, in realtà consiste e si risolve nella deduzione dell’erroneità della interpretazione fornita dal giudice di rinvio (come si è già esposta scrutinando il quarto motivo) in relazione all’articolo predetto ed alle conclusioni da quest’ultimo tratte circa i rispettivi oneri delle parti.

6.2.1. Occorre, però, ricordare che, come ancora recentemente ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 25432 del 2020, Cass. n. 14938 del 2018 e Cass. n. 25470 del 2019, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).

6.2.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).

6.2.3. La censura neppure può, poi, essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).

6.2.4. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo si risolve nel sostenere una diversa lettura dell’art. 21 del Capitolato Speciale predetto (in particolare di quanto ivi sancito alla sua lettera p1), peraltro senza riportarne, come si è già detto, alla stregua del principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, il testo suo integrale, non essendo soddisfatto tale onere da una parziale riproduzione dello stesso (cfr. Cass. n. 2560 del 2007; Cass. n. 3075 del 2006; Cass. n. 16132 del 2005).

6.2.5. In definitiva, il giudice di rinvio, muovendo da quanto prescrittogli, sul punto, da questa Corte con la citata sentenza n. 14574 del 2010, ha offerto, nella specie, una ricostruzione del contenuto di quella disposizione, fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae, quindi, a verifiche in questa sede.

7. In conclusione, dunque, il ricorso va accolto esclusivamente quanto al primo motivo (nei precisi limiti sanciti in sede di suo scrutinio), assorbito il secondo e respinti gli altri, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese pure di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, dichiarandone assorbito il secondo e respingendone gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese pure di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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