LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27541-2016 proposto da:
B.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, rappresentata e difesa dagli avvocati CLAUDIO CECCHELLA, ALESSANDRA ROSATI;
– ricorrente –
contro
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI, 43/5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANFRONI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA SCAVETTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1350/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. Lo Studio C. di C.L. citava, dinanzi al Tribunale di Firenze, B.B. al fine di vedersi corrispondere la somma di Euro 75.840 quale corrispettivo della provvigione maturata in ragione di un affare asseritamente conclusosi tra la convenuta e Ci.Ro., relativamente all’acquisto di un appartamento posto in *****. La convenuta si costituiva in giudizio e contestava la pretesa dell’attore ed eccepiva la prescrizione del diritto alla provvigione, nonché chiedeva di chiamare in causa il venditore Ci.Ro.Fo.. Questi si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto della domanda della convenuta nei suoi confronti.
2. Il Tribunale, istruita la causa, respingeva la domanda per intervenuta prescrizione del diritto azionato.
3. Il giudice di primo grado osservava che era trascorso più di un anno tra la data della firma della proposta in data 15 febbraio 2007 e la notifica eseguita ex art. 140 c.p.c.”, avvenuta il 14 febbraio 2008 e perfezionatasi il decimo giorno successivo.
4. C.S. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. La Corte d’Appello di Firenze accoglieva l’impugnazione e in riforma della sentenza impugnata condannava B.B. al pagamento dell’importo di Euro 37.920, pari al 2% di quanto stabilito nel contratto del 15 febbraio 2007 a titolo di prezzo.
In particolare, osservava la Corte d’Appello che il giudice di primo grado non aveva considerato la lettera ricevuta dalla B. nel novembre 2007 quale atto idoneo a interrompere la prescrizione. Pertanto, il termine di cui all’art. 2950 c.p.c. era stato interrotto dalla suddetta raccomandata.
Nell’esaminare il merito della vicenda la Corte d’Appello rilevava che l’eccezione relativa alla mancata prova da parte dell’appellante dell’iscrizione all’albo dei mediatori era infondata in quanto risultava il numero di iscrizione all’albo sulla proposta irrevocabile del 15 febbraio 2007.
Relativamente alla validità della proposta secondo la Corte d’Appello era oramai consolidato l’orientamento secondo il quale la nozione di affare doveva essere intesa come un’operazione di natura economica che si risolveva in un’utilità patrimoniale, suscettibile di conseguenze giuridiche. Essa, pertanto, stante la sua maggiore estensione rispetto al concetto di contratto era riferibile non solo ai contratti propriamente detti ma anche a qualsiasi operazione tale da far sorgere obbligazioni. In sostanza, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare doveva ritenersi concluso ogni volta che tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si fosse costituito un vincolo giuridico che abilitasse ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio. Nessun valore poteva essere attribuito al nomen usato dalle parti ma alla luce dei canoni interpretativi di cui agli art. 1362 c.c. e ss. risultava che la volontà delle parti con la stipula della scrittura privata del febbraio 2007 era quella di addivenire alla conclusione di un accordo contrattuale preliminare che la vincolasse alla conclusione del contratto definitivo di compravendita.
Pertanto, il fatto che le parti si fossero obbligate a sottoscrivere un successivo preliminare non rilevava, trattandosi semplicemente di un accordo riproduttivo di quello già stipulato e destinato soltanto a specificare meglio il termine di consegna dell’immobile. Il vincolo giuridico era già sorto con la conclusione del primo accordo contenente un compiuto assetto degli interessi di entrambe le parti. Sulla base dei criteri ermeneutici si doveva qualificare la scrittura privata intercorsa tra le parti il 15 febbraio del 2007 come un vero e proprio contratto preliminare.
6. B.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di nove motivi.
7. C.L., quale titolare dello studio C. Immobiliare, ha resistito con controricorso.
8. All’adunanza camerale del 4 marzo 2021 la Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Ci.Ro.Fo..
9. In prossimità dell’odierna udienza entrambe le parti hanno depositato memorie con le quali hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza, per non aver accolto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata specificazione del motivo di gravame ex art. 342 c.p.c., non avendo l’appellante dedotto e precisato i profili rescissori dell’appello, ovvero quali provvedimenti avrebbe dovuto pronunciare la Corte nel caso avesse ritenuto fondati i motivi di censura.
Secondo il ricorrente l’appello non soddisfaceva i requisiti previsti dall’art. 342 c.p.c. mentre tale censura fatta valere con eccezione di inammissibilità non sarebbe stata presa in considerazione, mancando nell’appello perfino la soluzione che la Corte doveva adottare.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura difetta di specificità. Infatti, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Sez. 1, Ord. n. 29495 del 2020).
Nella specie, la ricorrente deduce solo genericamente l’inammissibilità dell’atto di appello per la mancata indicazione delle soluzioni da adottare, senza riportare analiticamente i motivi e senza confrontarsi con il fatto che la Corte d’Appello non solo li ha ritenuti ammissibili, ma anche fondati, riformando la sentenza di primo grado e condannandola al pagamento della provvigione.
In ogni caso le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Sez. U, Sent. n. 27199 del 2017).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza per aver supposto, ai fini dell’interruzione della prescrizione, perfezionata la notifica dell’atto di citazione ad un civico diverso da quello dove era residente la destinataria della notifica, in violazione dell’art. 140 c.p.c., oppure sanata agli stessi effetti la nullità per la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c.
La Corte d’Appello ha assunto come valido ed efficace l’evento interruttivo rappresentato dalla lettera del novembre 2007, ma in tal modo ha sottinteso che la prima notifica della citazione si fosse perfezionata validamente, infatti, tra il primo tentativo di notifica in data 11 febbraio 2008 ed il secondo in data 3 aprile 2009 era trascorso più di un anno e, dunque, la rinnovazione effettuata il 2 aprile 2009 non poteva, attraverso la sua efficacia sanante, impedire la nullità della prima. Pertanto, poiché una notifica nulla dell’atto di citazione non interrompe la prescrizione neanche attraverso l’efficacia sanante della rinnovazione della notifica, la sentenza avrebbe violato l’art. 140 c.p.c., ritenendo perfezionata la prima notifica della citazione. Il ricorrente insiste sull’erroneità della residenza quale luogo di spedizione della notifica. Tale questione non doveva essere posta con motivo incidentale di appello, in quanto B.B. non era soccombente in alcun capo della sentenza di primo grado e doveva solo riproporre le eccezioni non accolte ai sensi dell’art. 346 c.p.c. Pertanto, si sarebbe prescritto il diritto azionato.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo omesso di pronunciare sull’eccezione di nullità della prima notifica della citazione eccepita dalla difesa della convenuta e, comunque, rilevabile d’ufficio.
Qualora si ritenesse che il giudice non abbia pronunciato sulla eccezione di nullità della prima notificazione della citazione, il vizio da far valere sarebbe allora quello di omessa pronuncia su un’eccezione di rito formalmente sollevata dalla convenuta e, peraltro, rilevabile d’ufficio.
3.1 I motivi secondo e terzo, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda chiaramente ed in modo non equivoco la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2 (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte d’Appello secondo la quale era necessaria l’impugnazione per introdurre dinanzi ad essa la questione della durata del termine di prescrizione applicabile al caso, in quanto il giudice di primo grado, pur ritenendo che quel termine fosse stato validamente interrotto, ne aveva implicitamente, ma inequivocabilmente, affermato la durata annuale). (Sez. 6- 3, Ord. n. 24658 del 2017, conf. Sez. U, Sent. n. 11799 del 2017).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha rigettato l’eccezione di nullità della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. in data 14 febbraio 2008, ritenendo che la B. avesse il domicilio effettivo presso il luogo ove era stata effettuata la notifica come risultava chiaramente dalla dichiarazione dell’ufficiale giudiziario e dalla ricezione personale, in data 8 novembre 2007, della raccomandata a lei inviata dallo studio C.. Pertanto, sulla statuizione circa la validità della prima notifica dell’atto di citazione, in mancanza di appello incidentale, si è formato il giudicato interno.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza, per non avere ritenuto l’attore decaduto dall’allegazione della circostanza della sua iscrizione nell’albo dei mediatori, ai sensi della L. n. 39 del 1989, art. 6 per il sorgere del diritto alla mediazione, non indicata in atto di citazione né dedotta nel corso del giudizio di primo grado, e per aver rilevato d’ufficio una circostanza che solo la parte poteva allegare e rilevare ex art. 112 c.p.c.
La censura attiene alla prova dell’iscrizione all’albo dei mediatori dell’attrice ai fini dell’esistenza del diritto alla provvigione. La produzione documentale costituita dalla proposta irrevocabile di acquisto sul quale era stampigliato il numero di iscrizione all’albo non sarebbe sufficiente non essendo presente, nell’atto di citazione introduttiva del giudizio, alcuna menzione dell’iscrizione all’albo dei mediatori da parte dell’attrice la quale si era limitata ad affermare di svolgere l’attività di mediatore nel campo immobiliare a *****.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La giurisprudenza di legittimità è univocamente orientata nel senso che “in tema di mediazione, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l’attività prestata, l’onere della prova dell’iscrizione all’albo dei mediatori, così come previsto nella L. n. 39 del 1989, può essere assolto anche mediante l’indicazione del numero d’iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione tenuto presso la locale Camera di Commercio, non essendo impedito alla parte di fornire la prova per presunzioni” (ex plurimis Sez. 2, Ord. n. 20556 del 2021).
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di mediazione, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l’attività prestata, l’onere della prova dell’iscrizione nell’albo dei mediatori, così come previsto nella L. 3 febbraio 1989, n. 39, può essere assolto mediante la prova per testimoni o anche per presunzioni; a tal fine, può valere il modulo di proposta di acquisto predisposto dal mediatore, dal quale risulti la suddetta iscrizione” (Sez. 3, Sent. n. 11539 del 2013; Sez. 3, Sent. N. 26292 del 2007).
Sulla base di tale principio si deve concludere che correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto l’abilitazione di B.B. all’esercizio della professione di agente immobiliare provata in via di presunzione, in quanto desumibile dall’indicazione sulla proposta irrevocabile del numero di iscrizione al ruolo, peraltro, corrispondente alla visura allegata.
5. Il quinto motivo di ricorso è cosi rubricato: violazione o falsa applicazione degli artt. 1325,1418,1421,1755 c.c., laddove la sentenza non ha ritenuto la nullità della proposta per indeterminatezza dell’oggetto e conseguente nullità della successiva accettazione, con conseguente mancato verificarsi di un valido affare che potesse costituire il diritto alla provvigione del mediatore.
Nella proposta irrevocabile il bene era indicato come appartamento posto al secondo piano non meglio identificato dalle parti e senza planimetrie allegate, pertanto, non vi era alcuna identificazione catastale del bene. Vi era dunque un’assoluta indeterminatezza dell’oggetto della proposta che viziava il contratto stipulato tra le parti e determinava la non spettanza del compenso.
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1103 c.c., art. 1372 c.c., comma 2, artt. 1388 e 1755 c.c., per aver ritenuto concluso l’affare agli effetti del sorgere del diritto alla provvigione nel caso di una compravendita di bene immobile in comproprietà sottoscritto da un solo comproprietario senza l’adesione degli altri o della volontà del primo di assumere quale procuratore la rappresentanza degli altri.
Dalla proposta irrevocabile si ricaverebbe che l’immobile è di proprietà degli eredi G. e Ci. e, dunque, il bene era in comunione tra più proprietari. Il fatto che la proposta sia stata sottoscritta solo da Ci.Ro.Fo. senza spendita del nome degli altri renderebbe non concluso l’affare non potendo uno dei comproprietari disporre dell’intero bene.
7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla tardiva comunicazione dell’accettazione della proposta irrevocabile rispetto al termine indicato.
Dall’esame del documento costituente la proposta irrevocabile questa doveva essere accettata il 15 gennaio 2007. L’accettazione doveva quindi pervenire entro quella data nella sfera di conoscenza del proponente dallo stesso documento prodotto in copia si ricaverebbe che l’accettazione era pervenuta all’agenzia C. il 16 febbraio 2007 e l’agenzia C. l’aveva trasmessa alla signora B. solo in pari data (16 febbraio 2007) e quindi in data successiva alla scadenza. Tale circostanza è stata dedotta sin dalla comparsa di risposta ed è un fatto decisivo che esclude il perfezionarsi dell’affare al fine del sorgere il diritto alla provvigione. Tale fatto non sarebbe stato valutato dal giudice d’appello.
8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 e 1335 c.c. laddove si è ritenuto perfezionato l’impegno a vendere discendente dalla proposta irrevocabile in caso di accettazione tardiva senza che il proponente l’abbia ritenuta efficace dandone avviso.
A parere del ricorrente il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva purché ne dia immediato avviso all’altra parte ai sensi dell’art. 1326. Nella specie B.B. non ha mai manifestato la volontà di giovarsi dell’accettazione tardiva.
9. Il nono motivo di ricorso è così rubricato violazione o falsa applicazione degli artt. 1325 e 1418 c.c. per aver ritenuto valido ed efficace un preliminare di preliminare nonostante che questo contenesse tutte le pattuizioni necessarie e non vi fosse da puntualizzare alcun ulteriore aspetto negoziale quindi per difetto di causa del medesimo.
A parere del ricorrente la Corte non avrebbe esaminato il motivo relativo alla validità ed efficacia di un contratto preliminare con il quale le parti si impegnano a stipulare un ulteriore contratto preliminare. Il cosiddetto preliminare di preliminare non sarebbe valido o efficace. Il ricorrente cita le sezioni unite numero 4628 del 2015 ed evidenzia come la Corte d’Appello non ne abbia tenuto conto, omettendo di indicare l’eventuale interesse ad un negozio differente e ulteriore.
9.1 Il nono motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento dei motivi dal quinto all’ottavo.
La sentenza della Corte d’Appello non ha tenuto conto dell’orientamento espresso da questa Corte a Sezioni Unite secondo il quale: “La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare (nella specie, relativo ad una compravendita immobiliare), ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace e, dunque, non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale” (Sez. U, Sent. n. 4628 del 2015).
Secondo le Sezioni Unite stabilire se la formazione di un accordo che riguardi solo i punti essenziali del contratto di compravendita (Cass. n. 23949 del 2008; Cass. n. 2473 del 2013; Cass. n. 8810 del 2003; Cass. n. 3856 del 1983) sia sufficiente a costituire un contratto preliminare suscettibile di esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c., è questione di fatto che può risultare di difficile discernimento: si rinvengono, infatti, non poche massime secondo le quali, ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori (Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 11371 del 2010). Quindi anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto (Cass. n. 910 del 2005; Cass. n. 20701 del 2007).
Con riferimento al caso in esame deve anche evidenziarsi che l’orientamento giurisprudenziale che collegava alla conclusione di un contratto preliminare di preliminare l’insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione (Cass. n. 24397/15, Cass. n. 923/17) è stato superato dalla più recedente giurisprudenza di questa Corte. In particolare, con la sentenza n. 30083 del 2019, la Seconda Sezione civile ha avuto modo di chiarire che, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c.
Va, invece, escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dello stesso, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento.
Tale ultimo negozio, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio (Sez. 2, Sent. n. 30083 del 2019 e, in senso conforme, Sez. 6-2, Ord. n. 7781 del 2020).
La Corte d’Appello, senza tener conto dei principi sopra indicati, ha qualificato la proposta irrevocabile fatta dalla ricorrente come contratto preliminare nonostante l’incontro delle volontà prevedesse la stipula di un altro preliminare. Nella specie, pertanto, era necessario vagliare la reale volontà delle parti e il loro eventuale interesse a rinviare ad una successiva stipula di un contratto ad effetti meramente obbligatori la cogenza del meccanismo proprio del preliminare ex art. 1351 e 2932 c.c..
Pertanto, alla luce degli approdi interpretativi riportati, nel caso in esame occorre verificare se, in concreto, le parti abbiano inteso, con la proposta e la successiva accettazione, avviare un procedimento negoziale multifase, articolato in un c.d. preliminare di preliminare, costituito mediante l’accettazione della proposta, in un successivo contratto preliminare e poi in un rogito definitivo di compravendita, ovvero dar vita più semplicemente ad un “tradizionale” procedimento bifase, articolato in un accordo ad effetti preliminari e in un successivo contratto definitivo. Spetterà al giudice del rinvio in applicazione dei principi di diritto sopra enunciati qualificare l’esatta natura del negozio giuridico intercorso tra la ricorrente e Ci.Ro.Fo. se c.d. “preliminare di preliminare” o contratto preliminare a tutti gli effetti che consente l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.. Solo in tale seconda ipotesi, l’affare ex art. 1755 c.c. potrà dirsi concluso con diritto dello Studio C. Immobiliare al pagamento della provvigione.
10. In definitiva, il collegio accoglie il nono motivo di ricorso, assorbiti i motivi dal quinto all’ottavo, rigettati i primi quattro, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il nono motivo di ricorso, dichiara assorbiti i motivi dal quinto all’ottavo, rigetta i motivi dal primo al quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 7 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2021
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