Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.39975 del 14/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28274-2015 proposto da:

C.G., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti MARIO PICCA e RICCARDO MARRO, unitamente ai quali è elett.te dom.to presso lo studio dell’avv.to Federica Pica, in ROMA, in Via Costantino Morin n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., legale rappresentante, dom.to ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.;

– controricorrente –

E contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5040/47/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 27.5.2015;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio della pubblica udienza del 26 ottobre 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale Dott. Giuseppe Locatelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5040/47/2015, depositata in data 27 maggio 2015, la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto da C.G. nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 10429/13/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’atto di contestazione con il quale l’Agenzia delle dogane-Ufficio di Napoli *****, in relazione all’anno 2011, aveva irrogato a quest’ultimo, nella qualità di spedizioniere doganale con rappresentanza diretta-in solido con la ditta importatrice “Li YONGQIU” – sanzioni amministrative, per errata indicazione del valore della merce importata dalla Cina di cui alla bolletta di importazione a firma dello stesso.

2. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che, nella specie, ai sensi degli artt. 201 CDC, comma 3, della L. n. 213 del 2000, art. 2, commi 6 e 7, lo spedizioniere che aveva agito in rappresentanza diretta rispondeva, in solido con l’importatore, delle inesattezze contenute nelle dichiarazioni doganali in quanto, da un lato, l’Agenzia aveva provato che lo stesso fosse nella condizione di accorgersi della inveridicità del dichiarato, avuto riguardo alla non trascurabilità degli scostamenti tra il valore dichiarato in dogana della merce importata e quello accertato dall’Ufficio, in base al Sistema *****, tenuto conto “della media dei valori più bassi tra quelli dichiarati tra tutti gli operatori per l’importazione di merce similare”, e dall’altro, lo spedizioniere non aveva assolto all’onere di fornire la prova liberatoria della propria responsabilità adducendo fatti concreti con cui prospettare la scusabilità di un suo eventuale errore circa i contestati scostamenti di valore della merce in questione.

3. Avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste, con controricorso l’Agenzia delle dogane; è rimasto intimato il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

4. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa insistendo nell’accoglimento del ricorso.

5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in pubblica udienza ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8bis, come convertito, con mod., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente affermata l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui evoca in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze, peraltro estraneo alle precedenti fasi del giudizio.

Giova rimarcare al riguardo che, in tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri”, e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’economia e delle finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno d’inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Dogane e la controversia non si può instaurare nei confronti del Ministero (in termini, Cass. 11 aprile 2011, n. 8177; Cass. 29 dicembre 2010, n. 26321; 12 novembre 2010, n. 22992; Cass. 39 gennaio 2009, n. 1123; Cass. 15 gennaio 2009, n. 874; Cass. 22 maggio 2008, n. 13149).

2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cd. C.D.C.), art. 201, comma 3, per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto di irrogazione delle sanzioni, attribuendo, in tal modo, allo spedizioniere doganale-rappresentante diretto, una forma di responsabilità oggettiva, in relazione alla erroneità della dichiarazione doganale, incompatibile con i principi del codice doganale comunitario, essendo la fattura riconducibile al solo importatore e al di fuori della sfera di controllo dello spedizioniere medesimo.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 213 del 2000, art. 2, commi 6 e 7, per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto di irrogazione delle sanzioni anche se, nell’ipotesi di rappresentanza diretta, il debitore dell’obbligazione doganale si identificasse unicamente nella persona del rappresentato (cioè del proprietario della merce) e la responsabilità solidale dello spedizioniere fosse configurabile solo nel caso di conoscenza o conoscibilità della falsità dei dati contenuti nelle dichiarazioni doganali, nella specie, emersa solo a seguito del ricorso da parte dei funzionari al sistema *****.

4. Con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 10, per avere la C.T.R.

ritenuto responsabile lo spedizioniere doganale-

rappresentante diretto, ancorché, in base alla disciplina del c.d. autore mediato, il ricorrente andasse esente da responsabilità per essere stato indotto dall’importatore a commettere la violazione per errore incolpevole; infatti la dichiarazione infedele sarebbe stata da lui effettuata sulla base dei documenti forniti dall’importatore, senza alcuna possibilità di controllarne l’attendibilità, dovendosi escludere – a differenza di quanto sostenuto dall’Agenzia – la natura negoziale del vincolo tra l’importatore e lo spedizioniere doganale secondo il parametro di cui all’art. 1737 c.c..

5. I primi tre motivi – da esaminare congiuntamente per connessione – sono infondati per le ragioni che seguono.

5.1. Va premesso che ai sensi dell’art. 5 CDC, p. 2, (applicabile ratione temporis) e dell’art. 40 TULD, comma 1, la dichiarazione doganale può essere fatta personalmente dall’importatore ovvero a mezzo di un rappresentante diretto o indiretto. La rappresentanza è diretta quando il rappresentante agisce a nome e per conto di terzi, indiretta, quando il rappresentante agisce a nome proprio ma per conto di terzi. Mentre la rappresentanza indiretta è libera, la rappresentanza diretta implica l’iscrizione in un apposito albo professionale istituito con la L. 22 dicembre 1960, n. 1612 ed il puntuale rispetto della disciplina prevista dalla legge medesima e dalla successiva L. n. 213 del 2000. Dal combinato disposto dell’art. 201 CDC, p. 3, e 4, punto 18, e in correlazione con l’immissione di merci in libera pratica per effetto della sequenza procedimentale prevista dagli artt. 38 ss. CDC (trasporto delle stesse presso gli uffici doganali o zone franche e presentazione in dogana), l’obbligazione doganale sorge con la dichiarazione, quale effetto della indicazione di un determinato regime doganale in essa contenuto, e si lega soggettivamente all’autore della dichiarazione, indipendentemente dal rapporto che il dichiarante abbia con la merce (cfr. Cass. n. 5560 del 26/02/2019). Ne consegue che la responsabilità, oltre a sorgere in capo all’importatore, involge anche il rappresentante indiretto di quest’ultimo, il quale risponde in quanto dichiarante, laddove il rappresentante diretto rimane, normalmente, estraneo alla fattispecie impositiva (posto che il dichiarante in questo caso è il rappresentato), a conferma che l’obbligazione doganale è legata al ruolo di dichiarante, ovvero di autore della dichiarazione doganale (così Cass. n. 5560 del 2019, cit.; cfr. Cass. n. 9773 del 23/04/2010; Cass. n. 7720 del 27/03/2013; Cass. n. 9270 del 17/04/2013; Cass. n. 6129 del 01/03/2019). La centralità della figura del dichiarante è confermata anche dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 5, comma 4, secondo cui “la persona che non dichiari di agire a nome o per conto di un terzo o che dichiari di agire a nome o per conto di un terzo senza disporre del potere di rappresentanza è considerata agire a suo nome e per proprio conto”. Conseguentemente, la mancanza di prova dei poteri di rappresentanza, la mancata risposta a una contestazione da parte dell’Ufficio o l’assenza di dichiarazione comporta la presunzione che il dichiarante abbia agito quale rappresentante indiretto e, come tale, quale dichiarante. Peraltro, una responsabilità del rappresentante diretto dell’importatore può sorgere, ai sensi dell’art. 201, p. 3, seconda proposizione, CDC solo nei limiti in cui egli abbia fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione pur essendo o dovendo ragionevolmente essere a conoscenza della erroneità dei dati medesimi. In tale ipotesi, nella visione sostanzialistica che ispira il Codice doganale comunitario e, in generale, tutto il diritto della UE, avendo fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione doganale, il rappresentante diretto partecipa in qualche modo della dichiarazione dell’importatore e, quindi, può essere considerato debitore, “in conformità delle vigenti disposizioni nazionali”.

5.2. Diversa e’, invece, l’ipotesi in cui l’obbligazione doganale sorga per effetto della inosservanza della normativa doganale, ossia in caso di introduzione irregolare (art. 202 CDC), di sottrazione al controllo doganale (art. 203 CDC) e delle altre ipotesi previste dal Codice doganale (artt. 204 e 205 CDC). In questo caso, l’obbligazione doganale emerge non per effetto della presentazione di una dichiarazione, poi rivelatasi erronea, ma a causa del verificarsi di alcuni fatti (introduzione di merci senza dichiarazione doganale, dichiarazione riguardante merci del tutto diverse da quelle effettivamente importate, sottrazione al controllo doganale, inosservanza di obblighi previsti dalla normativa doganale per i regimi speciali, ecc.), che inducono una presunzione legale di immissione al consumo delle merci medesime.

5.3. In dette ipotesi, l’obbligazione doganale è legata al verificarsi di un fatto, configurandosi una importazione di merci che prescinda dalla esistenza di una valida dichiarazione doganale. Invero, l’introduzione della merce non ha rispettato le fasi contemplate dall’art. 38 CDC, n. 1 e dall’art. 40 CDC (Cass. n. 5159 del 01/03/2013), ossia conduzione/trasporto all’ufficio doganale e presentazione in dogana (cfr. CGUE 25 gennaio 2017, causa C-679/15, UltraBrag AG, punto 20; Cass. n. 5560 del 2019, cit.; Cass. n. 15777 del 23/06/2017; Cass. n. 10033 del 20/04/2017; Cass. n. 8240 del 30/03/2017).

5.4. Più in particolare – e con specifico riferimento a situazioni che maggiormente possono coinvolgere lo spedizioniere sono debitori:

a) ai sensi dell’art. 202 CDC, p. 3, la persona che ha proceduto alla introduzione irregolare (cioè, quella che normalmente avrebbe dovuto svolgere le operazioni di sdoganamento e adempiere gli obblighi del dichiarante in dogana), nonché le persone che hanno partecipato a detta introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare e le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere – allorquando l’hanno acquisita o ricevuta – che si trattava di merce introdotta irregolarmente (cioè le persone che, sebbene non siano tenute a procedere alle operazioni di sdoganamento in forza delle disposizioni del CDC, sono state nondimeno coinvolte nell’introduzione irregolare, sia prima, sia immediatamente dopo la stessa: cfr. CGUE 25 gennaio 2017, u/t. cit., punti 21 e 22; Cass. n. 9433 del 12/04/2017; Cass. n. 5159 del 2013, cit.);

b) ai sensi dell’art. 203 CDC, la persona che ha provveduto alla sottrazione della merce presentata in dogana. In tale ipotesi, “costituisce sottrazione di una merce al controllo doganale (..) qualsiasi ritiro, non autorizzato dall’autorità doganale competente, di una merce sottoposta alla vigilanza doganale dal luogo di custodia autorizzato, a prescindere dall’intenzionalità dello stesso” (così Cass. n. 29535 del 16/11/2018, che richiama CGUE 18 maggio 2017, causa C154/16, Latvij as Dzelzcelp. VAS, punto 42, e CGUE 11 luglio 2013, causa C- 273/12, Harry Winston, punti 30 e 33).

5.5. Venendo al diritto interno – in disparte l’inconferente riferimento, nel terzo motivo di ricorso, alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 10, – va subito evidenziato che l’art. 28 della L. 8 maggio 1998, n. 146 ha definitivamente abrogato, a far data dal 15/05/1998, l’art. 41 TULD (che prevedeva, al comma 2, la responsabilità sussidiaria dello spedizioniere a seguito di rettifica dell’accertamento), già ritenuto incompatibile con il CDC fin dalle operazioni effettuate in epoca successiva al 01/01/1989 (Cass. n. 9777 del 18/06/2003; Cass. n. 14312 del 26/09/2003; Cass. n. 3623 del 20/02/2006).

5.6. Residua, con riferimento al rappresentante diretto dell’importatore, la L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6, per il quale “in ordine alla regolarità, veridicità e completezza dei dati, nonché alla idoneità e validità dei documenti allegati, gli spedizionieri doganali e gli altri soggetti di cui al comma 2, se erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità, rispondono solidalmente del pagamento del tributo”.

5.7. Tale disposizione non può che essere inserita ed interpretata nel quadro del diritto unionale applicabile ratione temporis. Ne consegue che lo spedizioniere rappresentante diretto dell’importatore è responsabile, in solido con quest’ultimo, dei dazi non corrisposti:

a) in caso di regolare dichiarazione doganale, unicamente nell’ipotesi prevista dall’art. 201 CDC, p. 3, seconda proposizione, e, cioè, quando lo stesso spedizioniere abbia fornito i dati o i documenti necessari alla stesura della menzionata dichiarazione e sia consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, della erroneità di quei dati o dell’invalidità di quei documenti;

b) in caso di assenza della dichiarazione doganale (ovvero di importazione di merce diversa da quella dichiarata, ipotesi equiparabile all’assenza di dichiarazione), ove abbia introdotto la merce irregolarmente (o collaborato alla sua introduzione) ovvero sottratto la stessa al controllo doganale (ovvero collaborato alla sua sottrazione) essendo a conoscenza (o dovendolo essere) della sua introduzione irregolare o della sua sottrazione al controllo doganale, secondo quanto previsto dagli artt. 202 e 203 CDC.

In particolare, con riferimento alla ipotesi sub a) di cui al paragrafo che precede, va evidenziato che la violazione, da parte del rappresentante diretto, dell’obbligo, previsto dalla L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6, di controllare la regolarità, veridicità e completezza dei dati, nonché l’idoneità e la validità dei documenti allegati alla dichiarazione, si traduce in una responsabilità solidale al pagamento del tributo, per violazione degli obblighi professionali gravanti sullo spedizioniere, solo nel caso in cui la dichiarazione doganale si sia rivelata erronea (e, pertanto, oggetto di rettifica) in ragione della invalidità, irregolarità, inidoneità o incompletezza dei dati e dei documenti forniti dallo stesso spedizioniere e in base ai quali è stata redatta la dichiarazione. Non può, invece, configurarsi alcuna responsabilità solidale del rappresentante diretto che si sia limitato a depositare una dichiarazione utilizzando i dati e allegando i documenti forniti dall’importatore. La prova della responsabilità solidale dello spedizioniere rappresentante diretto dell’importatore e’, ovviamente, a carico dell’Amministrazione doganale e può essere fornita anche a mezzo di elementi presuntivi, secondo la generale previsione dell’art. 2729 c.c..

5.8. In materia questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto, cui si intende dare seguito: “In tema di diritti di confine e in caso di dichiarazione della merce regolarmente presentata presso gli uffici doganali ai sensi dell’art. 201 CDC, lo spedizioniere che opera come rappresentante diretto dell’importatore, non è obbligato, in solido con quest’ultimo, al pagamento dei dazi doganali dovuti a seguito della rettifica dell’accertamento, laddove si sia limitato a depositare la dichiarazione predisposta dall’importatore, allegando i documenti da quest’ultimo consegnatigli. Si configura, tuttavia, la responsabilità solidale anche del rappresentante diretto, per violazione degli obblighi professionali su di lui gravanti, qualora l’Amministrazione doganale dimostri che egli stesso abbia fornito dati dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’irregolarità, l’incompletezza e la non veridicità ovvero abbia allegato documenti dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’inidoneità o l’invalidità, dati e documenti necessari alla redazione della dichiarazione poi rettificata.” (Cass., sez. 5, Sentenza n. 7258 del 16/03/2020). Pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità solidale dello spedizioniere – rappresentante diretto, in caso di regolare – anche se inesatta – dichiarazione in dogana – ai sensi del combinato disposto della L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6 e dell’art. 201 CDC, par. 3, seconda proposizione, ricade a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche a mezzo elementi presuntivi- in base ad elementi oggettivi e specifici – sia la condotta attiva dello spedizioniere-rappresentante diretto concretantesi nella fornitura da parte di quest’ultimo di dati e di documenti irregolari, non veridici o incompleti sui quali sia stata redatta la dichiarazione medesima che l’elemento soggettivo della conoscenza o ragionevole conoscibilità da parte dello spedizioniere – usando la diligenza in ragione dell’incarico professionale ricoperto della loro erroneità, falsità, incompletezza. Ne consegue che, una volta che l’Amministrazione abbia assolto a detto onere istruttorio, graverà sullo spedizioniere-rappresentante diretto la prova contraria di avere adoperato la diligenza massima in ragione dell’attività professionale svolta ex art. 1176 c.c., comma 2, in rapporto alle circostanze del caso concreto.

5.9. Nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta al suddetto principio, in quanto ha correttamente ritenuto assolto da parte dell’Amministrazione doganale l’onere probatorio in ordine alla conoscenza o conoscibilità da parte dello spedizioniere- rappresentante diretto della inesattezza dei dati forniti nella stesura della dichiarazione doganale, in considerazione dell’emerso “non trascurabile” scostamento tra il valore della merce importata dichiarato in dogana e quello accertato, attraverso la consultazione della banca dati *****, sulla base della “media dei valori più bassi tra quelli dichiarati tra tutti gli operatori per l’importazione di merce similare” avuto riguardo alla “particolare esplicazione del metodo utilizzato (…) per accertare l’incongruità del valore dichiarato” (sentenza impugnata, pag. 4). Invero, la banca dati ***** di cui fa uso la Dogana costituisce un sistema informatico che raccoglie informazioni sulle merci importate nell’UE, indicando prodotto per prodotto una scala di valori entro la quale è ammesso che possa oscillare il valore dichiarato delle merci. Tale sistema è alimentato con dati di provenienza nazionale e internazionale, scaturenti dalle dichiarazioni doganali e dagli elenchi riepilogativi degli acquisti e cessioni intracomunitarie. Esso consente quindi di individuare, con la maggiore precisione possibile, per ciascuna voce doganale la materia prima utilizzata, il nome della ditta importatrice, i marchi più o meno noti della merce importata e quindi il valore e la qualità dei prodotti similari a quello oggetto di controllo. A fronte del ritenuto assolvimento da parte dell’Agenzia dell’onere probatorio circa la conoscenza o conoscibilità da parte dello spedizioniere della assunta sottofatturazione, il contribuente sottraendosi “all’onere probatorio di addurre fatti concreti con i quali prospettare la scusabilità di un suo eventuale errore circa quegli scostamenti di valore” aveva piuttosto “negato in nuce una propria responsabilità con argomenti di carattere generale e sistematico”.

6. Con il quarto motivo, parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché dell’art. 16 C.D.C., p. 4, aggiornato al Regolamento CE n. 450 del 2008, per avere l’Ufficio emesso l’atto di irrogazione delle sanzioni senza instaurare il previo contraddittorio con il contribuente medesimo.

6.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte (Cass. n. 6621/13) ha ritenuto che il rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (codice doganale comunitario), si evince dalle previsioni espresse del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo.

La denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale. E’ ferma invece questa Corte nel ritenere inapplicabile agli avvisi di rettifica in materia doganale, la L. 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, – Cass. n. 8399/13; Cass. nn. 10070/14, 9799/14, 9800/14, 9801, 9802/14, 9803/14, 10070/14, 15032/14, 15033/14, 15034/14, 15035/14, 15036/14, 15037/14, 25973/14, 25074/14, 25975/14. Le pronunce da ultimo ricordate hanno, tra l’altro, chiarito ulteriormente che il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, commi 7 ed 8, nel testo vigente “ratione temporis”, prevedeva che, quando dalla revisione eseguita d’ufficio dell’accertamento divenuto definitivo emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato notificando apposito avviso” di rettifica motivato (commi 1, 5 e 6). Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica ed in tal caso viene redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dagli artt. 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43”. I procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, atteso che:a) l’art. 66 TU n. 43/1973 prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di prova ritenuti utili”; b) dal T.U. n. 43 del 1973, combinato disposto di cui all’art. 70, u.c. ed all’art. 76, comma 1, emerge che solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso – nel caso di decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico – si determina la “definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, avverso l’atto impositivo. Il procedimento amministrativo in questione, è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica. Non è nemmeno superfluo rammentare che il sistema del TU n. 43/1973, cui rinviava il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno, che, in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione della garanzia del contraddittorio “…ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (art. 1, comma 1) convertito nella L. 24 marzo 2012, n. 44 che ha introdotto il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4 bis…”- intervento normativo successivamente completato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 27 (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del comma 7 e parzialmente del comma 6 del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e la conseguente eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale. Nel caso di specie le superiori considerazioni sono ulteriormente confermate dalla recente pronunzia delle S.U. civili (Cass. Sez.Un. 24823/2015) che non solo ha definito ulteriormente i presupposti per l’applicazione dell’art. 12, comma 7 cit., ritenendolo applicabile nelle sole fattispecie normative per le quali è previsto, ma ne ha espressamente escluso l’operatività per le verifiche c.d. a tavolino nelle quali rientra il caso di specie.

Questi principi sono coerenti con quelli espressi dalla Corte di Giustizia in tema di contraddittorio doganale. In particolare, Corte di giustizia, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics, dopo avere ricordato che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante (sentenze n. C-349/07 Soprope’, punti 33 e 36, nonché sentenza n. C-277/11, M.M., punti 81 e 82), richiamando i contenuti del principio del contraddittorio in ambito doganale già espressi nella causa Soprope’, ha ricordato che lo stesso si applica quando l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, dovendosi consentire ai destinatari incisi dalle determinazioni amministrative rientranti nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione di essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale diritto sussiste anche quando la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (v. sentenze Soprope’, punto 38; M., punto 86, nonché n. C-383/13, G. e R., PPU, punto 32). Per quel che qui specificamente rileva, la Corte UE ha ricordato che, quando il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v. Corte giust., G. e R., punto 35, nonché giurisprudenza ivi citata). Siffatta soluzione è applicabile alla materia doganale nella misura in cui l’art. 245 del codice doganale rinvia espressamente al diritto nazionale, precisando che “le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri”, fermo restando che gli Stati membri possono legittimamente consentire l’esercizio dei diritti della difesa secondo le stesse modalità previste per la disciplina delle situazioni interne purché esse siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, non compromettere l’effetto utile del codice doganale (sentenza G. e R.,cit., punto 36).

La Corte Ue, con la successiva sentenza resa in data 20.12.2017 nella causa C-276/16, Preqù, ha quindi precisato che le disposizioni del diritto dell’Unione, come quelle del codice doganale, devono essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali e che le disposizioni nazionali di attuazione delle condizioni previste all’art. 244 codice doganale, comma 2, per la concessione di una sospensione dell’esecuzione devono, in mancanza di una previa audizione, garantire che tali condizioni non siano applicate o interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C- 129/13 e C130/13, EU:C:2014:2041, punti 69 e 70). Secondo la Corte UE, se il destinatario di avvisi di rettifica dell’accertamento come quelli di cui trattasi nel procedimento principale ha la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione di detti atti fino alla loro eventuale riforma e se il giudice nazionale verifica che nell’ambito del procedimento amministrativo, le condizioni di cui all’art. 244 del codice doganale non sono applicate in modo restrittivo, non può ritenersi pregiudicato il rispetto dei diritti della difesa del destinatario degli avvisi di rettifica dell’accertamento. In definitiva, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando al Reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, art. 244, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione del detto regolamento, art. 244, comma 2, da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato. La Corte UE ha infine tenuto a rimarcare che l’obbligo incombente sul giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione non ha sempre come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata, laddove quest’ultima sia stata adottata in violazione dei diritti della difesa. Ed infatti, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere ascoltati, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso in materia doganale il principio del rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (codice doganale comunitario), si evince dalle previsioni espresse del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (cfr. Corte di Giustizia CE, sent. 18 dicembre 2008, in causa C-349/07).

Ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale (Cass. sez. 5, 15/03/2013, n. 6621, Rv. 626116-01). Trattasi della c.d. “prova di resistenza” in merito alla quale il contribuente nulla evidenzia né chiarisce di averlo fatto nei giudizi di merito (Cass.2612/2020; Cass. 6621/2013).

7. Con il quinto motivo, infine, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il previo accertamento in ordine alla sussistenza di uno stato soggettivo di dolo o colpa dello spedizioniere rispetto alla difformità allo stesso poi contestata.

7. Il motivo si profila inammissibile.

7.1. Va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 27 maggio 2015) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti a “questioni” che, pertanto, risultano irrilevanti sotto tale profilo.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato.

9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 1.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021

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