Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.40038 del 14/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3763-2021 proposto da:

R.L., R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI NAVIGATORI N 7/L, presso lo studio dell’avvocato CARLO RECCHIA, rappresentati e difesi dall’avvocato CARLO TESTA;

– ricorrenti –

contro

RI.PA., RI.RO., elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZA PRATI DEGLI STROZZI 21, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GIUDICI, rappresentati e difesi dall’avvocato FULVIO DE CRESCIENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5881/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. R.L. e R.A., eredi di Ri.El. in rappresentazione della madre Ri.Da., figlia premorta del de cuius, hanno proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, che ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale, con la quale era stata accolta la domanda di riduzione di una donazione immobiliare elargita dal defunto in favore dei nipoti rappresentanti (domanda proposta dal coniuge del defunto P.A. e dai figli di lui Ri.Ro. e Ri.Pa.).

Il ricorso è proposto sulla base di un unico motivo, con il quale si censura la decisione per avere riconosciuto che la donazione fatta ai rappresentanti è soggetta a conferimento, imputazione e riunione fittizia. Si sostiene che, ai sensi dell’art. 740 c.c., il discendente che succede per rappresentazione è tenuto a conferire ciò che è stato donato al rappresentato, non anche le donazioni a lui fatte personalmente. Secondo i ricorrenti, una volta accertato che la donazione non è soggetta a collazione, sarebbe inevitabile riconoscere che essa non è soggetta neanche a riunione fittizia e riduzione, in applicazione della regola secondo cui tali ultimi istituti non comprendono ciò che è esente da collazione.

Ri.Pa. e Ri.Ro. hanno resistito con controricorso.

Il ricorso è stato fissato dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza.

Le parti hanno depositato memoria.

2. Il ricorso è manifestamente infondato. Per il diritto vigente l’erede è tenuto a conferire in collazione soltanto le donazioni personalmente ricevute, con esclusione di ogni altra liberalità fatta al di lui discendenti o al coniuge (art. 739 c.c.).

Tale regola subisce una rilevante eccezione nel caso del discendente che subentra per rappresentazione all’ascendente. In questo caso, il discendente deve infatti conferire “ciò che è stato donato all’ascendente, anche nel caso in cui abbia rinunciato all’eredità di questo”. La ratio della disposizione è riposta nella considerazione che i coeredi non debbono subire pregiudizio dal fatto che in luogo del donatario partecipino alla successione i suoi figli e nipoti. Sulla questione se il discendente, il quale succede per rappresentazione, debba conferire, oltre a ciò che è stato donato al rappresentato, anche le donazioni a lui fatte personalmente dal de cuius, in dottrina prevale la soluzione negativa. Si rileva che il rappresentante, subentrando nell’identica posizione del rappresentato, non può essere costretto a conferire le liberalità che ha ricevuto dal de cuius, di cui mai il rappresentato ha beneficiato e che mai avrebbe dovuto conferire se questo fosse venuto alla successione. Chi sostiene tale tesi mette in luce la diversa formulazione della norma dell’art. 741 c.c. rispetto alla previsione dell’art. 564 c.c., comma 3.

Ora tale tesi, ancora richiamata nella memoria, non ha alcuna incidenza ai fini della soluzione della presente causa. Nel caso in esame, infatti, la donazione fatta ai discendenti, chiamati in rappresentazione della figlia premorta del donante, non veniva in considerazione ai fini della collazione, ma era stata impugnata con l’azione di riduzione perché lesiva della legittima, essendo il de cuius deceduto lasciando beni insufficienti.

Ammesso che la donazione fatta personalmente al discendente che succede per rappresentazione non sia soggetta a collazione, da ciò non si ricava alcun argomento per sostenere che quella medesima donazione non è soggetta neanche a riunione fittizia e a riduzione. E’ principio sul quale non sono mai sorte discussioni che la riunione fittizia, diversamente dalla collazione, comprende tutte le donazioni, incluse quelle fatte con dispensa da collazione o a soggetti non tenuti al conferimento (Cass. n. 17926/2020; n. 28196/2020).

3. I ricorrenti insistono nella memoria nel richiamare la regola che ogni cosa che è esente da collazione è esente anche da riunione fittizia e riduzione. La regola, correttamente intesa, vuol dire che sono applicabili alla riunione fittizia non solo gli artt. 747-750 c.c. concernenti le modalità di determinazione del valore dei beni da conferire, ma pure gli artt. 741745 c.c., concernenti la sostanza stessa del conferimento e dei beni da conferire. Così, ad esempio, non sono soggette a riunione fittizia, in quanto esenti da collazione, le spese menzionate negli artt. 741 e 742 c.c., ma sono certamente incluse nella riunione fittizia, anche se non sono soggette a collazione, le donazioni fatte con dispensa o quelle fatte a estranei. E’ facile accorgersi che la tesi dei ricorrenti, sviluppata nelle sue logiche implicazioni, vorrebbe dire che neanche queste donazioni sarebbero soggette a riunione fittizia, che è in verità conclusione che nessuno ha mai pensato di poter sostenere.

Nella memoria i ricorrenti propongono, a sostegno della loro tesi, questa ulteriore riflessione: “E’ evidente che, per tornare alla nostra fattispecie, se la madre dei signori R. non fosse morta prima del proprio genitore Ri.El., gli stessi, aperta la successione del nonno e vivente la madre, non avrebbero dovuto conferire il bene immobile a loro donato dal proprio nonno (art. 739 c.c.)”. Il rilievo è esatto; come si è visto, l’erede deve conferire solo le donazioni a lui fatte personalmente, non quelle fatte ai discendenti; ma è chiaro che la donazione fatte al discendente dell’erede, seppure esente da collazione, resta pur sempre soggette alle norme a tutela dei legittimari.

Si legge ancora nella memoria: “La questione centrale, come ben individuata in dottrina ed in difetto di precedenti giurisprudenziali specifici, e’, invece, la tutela delle aspettative economiche già consolidate di tutti gli eredi a qualsiasi titolo chiamati, considerando che la diversa interpretazione comporterebbe un non previsto diritto potestativo in capo al rappresentato che rinunciando volontariamente all’eredità per qualsivoglia motivo, inciderebbe con la sua decisione sui diritti di proprietà acquisiti dal donatario divenuto rappresentante, facendo accrescere indebitamente la quota degli altri eredi legittimi”.

Ancora una volta si propone un argomento che vale per la collazione, ma non per la tutela della quota di riserva. Invero, “se la madre dei signori R. non fosse morta prima del proprio genitore”, la donazione fatte ai figli di lei non avrebbe dovuto essere conferita, ferma restando, naturalmente, l’inclusione della stessa nella riunione fittizia e la riducibilità, se lesiva della legittima altrui. Insomma, la premorienza della madre ha lasciato la donazione fatta ai figli di lei fuori dalla collazione (se si aderisce alla tesi che il rappresentante non dove conferire le donazioni a lui fatte personalmente dal de cuius), ma da ciò, come ampiamente chiarito, non può trarsi argomento per sostenere che la premorienza ha reso quella stessa donazione estranea alla successione del donante, come infondatamente sostengono i ricorrenti nella memoria.

4. Contrariamente da quanto ritengono i ricorrenti, la disciplina dettata dalle norme a tutela dei legittimari, a partire da quelle relative alla riunione fittizia, è inderogabile, diversamente da quella sulla collazione, laddove è possibile la dispensa. A sua volta la dispensa non può certo implicare non assoggettabilità della donazione alla riduzione. Ciò risulta, appunto, dall’art. 737, comma 2, ove si dice che il figlio o discendente, anche se espressamente dispensato dalla collazione, non può ritenere la donazione se non fino a concorrenza della quota disponibile: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile l’eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l’eccedenza, all’azione di riduzione (Cass. n. 711/1966). Non è neanche corretto sostenere che, assoggettando a riunione fittizia e riduzione la donazione non soggetta a collazione (ad esempio, perché fatta personalmente al discendente che succede per rappresentazione), si svuoterebbe di ogni contenuto il vantaggio assicurato al donatario. In virtù della collazione, infatti, i coeredi del donatario hanno diritto di concorrere sul valore della intera donazione, anche per la parte compresa nella disponibile (la collazione serve a preservare fra i coeredi, il quali siano il coniuge o i discendenti, la proporzione stabilita dalla legge o dal testatore sull’intero patrimonio del defunto, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile), mentre con l’azione di riduzione possono solamente aspirare, quali legittimari, a rendere inefficace la liberalità nei limiti occorrenti per la reintegrazione della quota riservata, escluso ogni ulteriore concorso sulla disponibile, consentito invece in base alla disciplina della collazione (Cass. n. 28196/2020). Piuttosto deve ricordarsi che ai discendenti del figlio, chiamati alla successione in luogo di questi, sono riservati gli stessi diritti che la legge riserva ai figli (art. 536 c.c., comma 3). Opererà pertanto anche in loro favore la regola che “l’azione di riduzione proposta contro un soggetto che è legittimario al pari del legittimario attore implica che il convenuto abbia ricevuto una donazione o debba beneficiare di una disposizione testamentaria per la quale venga ad ottenere, oltre la rispettiva legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisce a privare, in tutto o in parte, della legittima il legittimario attore” (Cass. n. 4694/2020).

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 26 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021

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