Cartella di pagamento, elementi minimi, diritto di difesa

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.40255 del 15/12/2021

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Cartella di pagamento, elementi minimi, diritto di difesa

La cartella di pagamento deve contenere gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GAETANO Raffaele – Presidente –

Dott. FRASCA Antonio – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2313-2019 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso da se stesso, ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO ALBERTELLI 1 (FAX *****-TEL *****), presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA GIUSTIZIA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCANTONIO BRAGADIN 96, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA LUPI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 754/2018 del GIUDICE DI PACE di CAGLIARI, depositata il 27/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO.

RILEVATO IN FATTO

che:

l’avv. S.S. propose opposizione ex art. 615 c.p.c., comma 1 e art. 617 c.p.c., comma 1 avverso la cartella di pagamento notificatagli dalla Equitalia Centro s.p.a., Agente della Riscossione per le Province della Regione Sardegna, per un credito iscritto a ruolo dalla Equitalia Giustizia s.p.a. in nome e per conto del Ministero della Giustizia;

dedusse che la cartella intimava il pagamento di 1.076,48 Euro (di cui 1.000,00 Euro per Cassa Ammende), che il provvedimento giudiziario da cui derivava la condanna era stato individuato soltanto come “*****” e che in altre parti della cartella venivano indicati sia il Tribunale di Roma che la Corte di Appello di Cagliari;

lamentò che la cartella non conteneva elementi idonei a rendere identificabile e verificabile il preteso titolo-provvedimento da cui sarebbe derivato il credito e che la richiesta di pagamento doveva pertanto essere considerata nulla perché radicalmente immotivata;

costituitesi entrambe le convenute, il Giudice di Pace di Cagliari ha rigettato le opposizioni, rilevando che:

“il ruolo relativo alla cartella di pagamento opposta ha origine da un’ordinanza emessa il 27 novembre 2014 dalla Corte di Cassazione, con cui veniva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’avv. S., il quale veniva condannato al pagamento delle spese processuali e di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende”;

dovendosi procedere ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227 ter, “l’iscrizione a ruolo per le spese processuali il cui pagamento sia dovuto in forza di provvedimento penale passato in giudicato non necessita di alcuna notifica di quest’ultimo”;

né risultava applicabile la previsione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, in quanto l’oggetto del procedimento esulava dalla materia tributaria;

non sussisteva la dedotta nullità della cartella per omessa motivazione atteso che nella stessa, predisposta secondo il modello indicato dal Ministero delle Finanze, erano “correttamente indicati gli estremi dell’ordinanza (OR27/11/2014) che costituisce titolo del recupero”;

risultava, infine, infondata la deduzione della prescrizione del diritto azionato atteso che “il termine di prescrizione delle spese processuali è quello decennale” decorrente “dal passaggio in giudicato del provvedimento giurisdizionale”;

lo S. ha proposto ricorso per cassazione (l’indicazione di “appello” che figura a pag. 5, sub. lett. F) è evidentemente frutto di errore materiale, a fronte della proposizione di un atto che è denominato “ricorso per cassazione ex art. 111 Costituzione” e che deduce censure formulate in relazione all’art. 360 c.p.c.), affidandosi a cinque motivi e precisando che l’impugnazione viene proposta “limitatamente alla pronuncia riferibile all’art. 617 c.p.c.”;

ha resistito, con controricorso, Equitalia Giustizia s.p.a.;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

col primo motivo, il ricorrente denuncia -sub a) e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli artt. 211 e 227 bis e 227 ter del TU 115/2002 e, altresì, “degli artt. 2 e 5 Conv MinGiu-Equit.Giu”, nonché -sub b) e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4- la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 277 c.p.c. “per pronuncia ultra ed extra petita”: assume l’erroneità di alcune affermazioni compiute dal primo giudice in punto di ricostruzione dell’iter seguito nell’emissione della cartella di pagamento e lamenta che, peraltro, tale ricostruzione era avvenuta sulla base “della illegittima e non consentita produzione da parte della difesa di Equitalia Giustizia di atti integrativi del contenuto della cartella che il GdP aveva il dovere di espungere”;

il motivo è inammissibile perché non investe specificamente passaggi integranti statuizioni di natura decisoria e non evidenzia l’interesse concreto del ricorrente a contestare la ricostruzione e le affermazioni censurate, atteso che la decisione non risulta comunque fondata sugli atti integrativi di cui si assume la necessità di espunzione;

il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 479 e 480 c.p.c., e degli artt. 24 e 111 Cost. “in punto di violazione del diritto alla difesa e al contraddittorio”, nonché dell’art. 227 ter T.U. 115/2002, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, del L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dei “principi della giurisprudenza in materia, illogicità e contraddittorietà”: premesso che la cartella si pone come “atto di precetto fondato sul ruolo titolo esecutivo di secondo grado, perché derivato, a sua volta, dal titolo esecutivo in base al quale il ruolo è formato” e che, in base agli artt. 479 e 480 c.p.c., “non si può procedere alla riscossione ed esecuzione di qualsivoglia titolo esecutivo se non previa notifica dello stesso, previamente o contestualmente al precetto”, il ricorrente assume che D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227 ter non deroga a detti principi, sì che sarebbe stata necessaria la notifica del titolo;

il motivo è infondato alla luce del principio secondo cui, “in tema di procedimento di riscossione coattiva per il recupero delle spese di giustizia e delle somme dovute alla Cassa delle ammende, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227-ter la formazione del ruolo e la notificazione della cartella di pagamento non devono essere precedute dalla notifica dei provvedimenti giurisdizionali da cui sorge il credito, posto che la notificazione della detta cartella, nella quale siano riportati gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito, costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito ad un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo” (Cass. n. 2553/2019, che richiama anche Cass. n. 3707/2016, pag. 15);

il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, del D.M. 28 giugno 1999, “della L. n. 241 del 1990, art. 3 in specie, a proposito dell’estrinsecazione dei motivi di fatto e di diritto in materia di atti amministrativi”, e degli artt. 615 e 611 c.p.p.:

il ricorrente censura il primo giudice là dove ha escluso la nullità della cartella per omessa motivazione affermando che il provvedimento è previsto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ed è stato predisposto secondo il modello approvato dal Ministero delle Finanze, con indicazione degli estremi dell’ordinanza costituente il titolo di recupero, e ha aggiunto che lo S., in quanto parte del procedimento (penale), aveva avuto completa conoscenza dello svolgimento e degli esiti dello stesso; assume, in senso contrario, che il Giudice di Pace “mostra di non essersi reso conto che la data di un’ordinanza, non si sa se quella della decisione o della pubblicazione, e, in specie, senza la indicazione del numero del procedimento e del numero e data di pubblicazione, non consente a chicchessia di individuare il titolo di riferimento”; contesta l’illazione che l’opponente avesse avuto completa conoscenza dell’atto, che, peraltro, era risultato trattato in camera di consiglio, senza lettura del dispositivo in udienza;

il motivo va disatteso: premesso che la giurisprudenza di legittimità (cfr. le già richiamate Cass. n. 2553/19 e Cass. n. 3707/2016) ha affermato che la cartella di pagamento deve contenere “gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito”, non risulta censurabile l’accertamento di merito compiuto dal GdP circa l’effettiva possibilità dello S. di individuare la pretesa creditoria (sulla base dell’indicazione della natura del titolo, costituito da un’ordinanza emessa in seno ad un procedimento giudiziario, e della data della stessa e, altresì, della considerazione che, in quanto parte di detto procedimento, lo S. doveva averne avuto conoscenza) e di difendersi nel merito rispetto ad essa;

al riguardo, deve anche considerarsi che la circostanza che, contestualmente all’opposizione agli atti esecutivi, sia stata proposta un’opposizione all’esecuzione (di per sé volta a contestare l’esistenza della pretesa creditoria) depone nel senso che lo S. abbia potuto individuare il titolo azionato da Equitalia;

né, peraltro, risulta specificamente contestato il rilievo del GdP secondo cui il provvedimento opposto è “stato predisposto secondo il modello approvato dal Ministero delle Finanze con decreto direttoriale del 28 giugno 1999”;

il quarto motivo deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e sotto i profili della violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 277 c.p.c., “in rapporto agli artt. 313-221 e segg. c.p.c.”: il ricorrente rileva che nella memoria conclusionale aveva evidenziato che solo dall’estratto prodotto in corso di giudizio da Equitalia si ricavava che l’ordinanza del 27.11.14 era stata emessa dalla Corte di Cassazione (di talché dai soli dati emergenti dalla cartella non risultava individuabile il titolo azionato) e che detto estratto costituiva “motivazione integrativa-aggiuntiva, non consentita”; aveva aggiunto che neppure detto estratto individuava adeguatamente il provvedimento adottato, dato che mancava il numero di pubblicazione nel registro generale delle pronunce penali; che, inoltre, data la prossimità fra la deliberazione (27.11.14) e la formazione dell’estratto (avvenuta il giorno successivo), poteva ipotizzarsi che fosse stato formato un “estratto conforme all’originale” in assenza dell’originale; di talché, per il caso che il Giudice di Pace avesse ritenuto di dare rilievo a tale estratto, aveva proposto “querela di falso contro l’estratto”; tanto premesso, lamenta che il primo giudice aveva “completamente ignorato quanto dedotto circa la non individuabilità del titolo sulla base delle indicazioni risultanti dalla cartella e, altresì la querela di falso;

il motivo è inammissibile, in quanto, dopo aver illustrato rilievi svolti nella comparsa conclusionale, si limita ad assumere genericamente che il GdP li avrebbe ignorati, senza peraltro confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che ha affermato l’individuabilità del titolo e che non ha fondato tale conclusione sul contenuto dell’estratto (cui ha fatto riferimento soltanto per ricostruire l’iter che ha condotto all’emissione della cartella); peraltro -come condivisibilmente affermato da Cass. n. 2553/19-, “nel quadro dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., sono del tutto irrilevanti – e quindi inammissibili – le questioni afferenti alla querela di falso degli estratti dei provvedimenti del giudice penale (…) posto che, da una parte l’iscrizione a ruolo avviene sulla base del provvedimento giurisdizionale definitivo e non dell’estratto; e d’altra parte che la questione della prova dell’esistenza di un tale provvedimento giudiziale originante il credito è tema di opposizione all’esecuzione”;

col quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., dell’art. 200TU 115/2002 e della L. n. 689 del 1981, art. 28 contestando l’affermazione dell’applicabilità della prescrizione decennale decorrente dal passaggio in giudicato del provvedimento;

il motivo è inammissibile, atteso che la questione della prescrizione è motivo di opposizione all’esecuzione (la cui decisione è appellabile e non direttamente ricorribile per cassazione) e quindi estranea all’oggetto del presente giudizio;

il ricorso va pertanto, nel complesso, rigettato;

non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese di lite in quanto Equitalia Giustizia s.p.a. non risulta ritualmente costituita nel giudizio, avendo notificato un controricorso con procura priva di sottoscrizione del proprio legale rappresentante;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2021

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