LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18924-2020 proposto da:
C.G., R.A., rappresentati e difesi dall’avvocato MARCO TERRACCIANO ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, marzo.terracciano.pecavvocaticivitavecchia.it;
– ricorrenti –
contro
A.S., A. QUARTER HORSE DI A.S. SAS;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7356/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/11/2019;
udita la relazione d la causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata in data 01/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNA MOSCARINI.
CONSIDERATO
che:
1. Con due distinti atti di citazione la società Mast srl e A.S., allegando di essere entrambi creditori di C.G. per lavori di miglioria apportati su un immobile di sua proprietà e per importi risultanti da assegni bancari emessi da S.A. e di cui il C. era girante, convennero in giudizio C.G. (alienante), S.A. ed R.A. (acquirente, figlio della S.), per sentir accertare e dichiarare l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c. (o, in subordine, la simulazione assoluta o relativa) dell’atto di compravendita immobiliare con il quale il C. aveva trasferito al R. una quota pari al 50% della proprietà dell’immobile sito in *****.
2.1 due giudizi vennero riuniti ed il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza n. 281 del 2014, ritenuta, all’esito di ampia istruttoria, la sussistenza del credito per migliorie sia in favore della società Mast srl sia in favore di A.S., e la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c., accolse la domanda, dichiarando l’inefficacia dell’atto di trasferimento immobiliare. In motivazione il Tribunale ritenne che il bene alienato costituisse l’unica garanzia del credito, che il debitore non avesse provato la capienza del proprio patrimonio, che gli assegni prodotti in copia confermassero l’esito delle prove testimoniali, che i convenuti non avessero provato a quale diverso titolo avessero emesso gli assegni, che gli stessi dovessero ritenersi post-datati, che vi fosse la consapevolezza del pregiudizio anche del terzo acquirente.
3. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 7356 del 28/11/2019, ha rigettato l’appello dei soccombenti, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che la prova del credito si individuava negli assegni bancari indicati in atti “e tanto indipendentemente dall’accertamento sulle modifiche e migliorie che sarebbero state apportate sull’immobile”; che l’unico bene che poteva garantire il recupero del credito era stato attribuito ad R.A., figlio di S.A., mediante l’intestazione a questi della quota di comproprietà del 50% da lei compromessa in sede di stipula dell’atto definitivo di compravendita e la cessione della restante quota del 50% da parte di C.G.; che l’eventus damni sussisteva anche in presenza di una maggiore difficoltà di soddisfazione della pretesa creditoria, che la scientia fraudis risiedeva nella consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie e che la prova del consilium fraudis poteva desumersi dalla irrisorietà del prezzo di vendita e dagli stretti rapporti esistenti tra le parti.
4. Avverso la sentenza C.G. e R.A. hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. Nessuno ha resistito al ricorso.
5. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c..
La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
RITENUTO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso – violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello abbia pronunciato ultra petita partium, statuendo sulla sussistenza del credito vantato dagli originari attori, a fronte di domande volte solo ad ottenere la revocatoria ex art. 2901 c.c., o, in subordine, la simulazione assoluta o relativa, dell’atto di trasferimento immobiliare.
1.1 motivo è infondato. Come ammesso dagli stessi ricorrenti (p. 3 del ricorso) fin dalle comparse di costituzione e risposta depositate in primo grado nei giudizi poi riuniti, gli attuali ricorrenti contestarono, in primis, la sussistenza dei crediti presupposti, quale condizione dell’art. 2901 c.c., così come (p. 4) impugnarono la sentenza di primo grado proponendo analoga doglianza.
Al riguardo e per quanto rileva in questa sue, il giudice del gravame ritenne che la contestazione del credito quale condizione dell’art. 2901 c.c., fosse priva di fondamento, alla luce degli assegni bancari indicati in atti e, all’esito di tale compiuto accertamento, scrutinò la sussistenza dei presupposti dell’actio pauliana e accolse la domanda. E’ evidente che non può dirsi sussistente alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte di merito chiaramente ritenuto di ravvisare, ai soli fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria proposta, la sussistenza della dedotta ragione di credito a fronte dei predetti titoli (v. Cass. 15/11/2016 n. 23208).
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945, in relazione al R.D. n. 1736 del 1933, art. 75, e all’art. 2946 c.c., nonché dell’art. 2901 c.c., in ordine all’intervenuta prescrizione e dunque insussistenza dell’asserito diritto di credito. Ad avviso dei ricorrenti il diritto di credito, qualora sussistente, avrebbe dovuto essere ritenuto prescritto sia in relazione all’azione cartolare fondata sugli assegni sia in relazione all’art. 2946 c.c.: non avendo i creditori mai richiesto l’accertamento del proprio credito gli stessi sarebbero decaduti dal diritto di far valere il credito stesso per intervenuta prescrizione.
2.1 Il motivo è palesemente inammissibile, per difetto di autosufficienza e dunque per contrasto con l’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto i ricorrenti non individuano gli atti processuali nei quali abbiano trattato nei gradi di merito la questione della pretesa prescrizione del diritto di credito, così omettendo di porre questa Corte nella condizione di poter valutare l’ammissibilità della censura. Peraltro va evidenziato che, ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente una legittima aspettativa di credito che non si riveli “prima facie” pretestuosa (Cass., 18/7/2008 n. 20002; Cass., 5/3/2009 n. 5359).
3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sull’onere della prova in ordine all’eventus damni – i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui la stessa ha ritenuto che, quello oggetto di revocatoria, fosse l’unico bene atto a garantire il recupero del credito, in mancanza di prova, da parte del debitore, della capienza del proprio patrimonio. La Corte di merito avrebbe violato l’art. 2697 c.c., ritenendo che l’onere della prova dell’esistenza di beni atti a consentire la garanzia del credito fosse a carico del debitore e che non fosse onere del creditore fornire un indizio sull’incapienza del patrimonio.
3.1 Il motivo è palesemente infondato in quanto la sentenza impugnata ha applicato i principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte secondo i quali è il debitore che asserisca l’esistenza di beni atti a soddisfare la garanzia del credito a dover dare la prova della capienza del proprio patrimonio (Cass., 3, n. 4578 del 6/5/1998; Cass., 3, n. 15487 del 5/11/2002; Cass., 2, n. 1902 del 3/2/2015).
4. Con il quarto motivo – assenza, apparenza o manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione in ordine all’eventus damni ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti assumono che la sentenza abbia motivazione apparente là dove, dopo aver premesso che il presupposto sussiste anche quando sia resa più difficoltosa la soddisfazione della pretesa creditoria, non spiegherebbe perché e in che modo la vendita del 50% dell’immobile avrebbe determinato tale maggiore difficoltà di soddisfazione del credito.
5. Con il quinto motivo – assenza, apparenza o manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione in ordine alla scientia damni ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto soddisfatto il requisito della scientia damni sul presupposto dell’anteriorità del credito rispetto all’atto di disposizione patrimoniale.
6. Con il sesto motivo – assenza, apparenza, manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione in ordine al consilium fraudis ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la prova del consilium fraudis fosse desumibile dalla irrisorietà del prezzo di vendita e dagli stretti rapporti esistenti tra le parti.
4-6. I motivi sono inammissibili perché declinati in palese contrasto con il testo, vigente ratione temporis, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto non deducono l’omesso esame di un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti ma evocano vizi di contraddittorietà della motivazione che non sono più prospettabili. I motivi sono altresì inammissibili in quanto volti a sollecitare questa Corte ad un inammissibile riesame dei presupposti dell’azione revocatoria ordinaria, rimesso alla valutazione del giudice del merito, il quale ha motivato, peraltro in ordine a tutti e a ciascuno dei singoli presupposti di cui all’art. 2901 c.c., senza incorrere nella pur lamentata irriducibile contraddittorietà della motivazione; peraltro neppure è stato precisato in base a quali elementi l’irrisorietà del prezzo e l’assenza di specifici rapporti tra venditore e acquirente sarebbero pacifici, con conseguente difetto di specificità della doglianza proposta al riguardo. 7. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Non deve disporsi sulle spese, attesa la mancata difesa di parte intimata.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021