LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30727-2018 proposto da:
CIPO SCARL, M.G.A., elettivamente domiciliati in Palermo, via Rodi n. 1, presso lo studio degli avv.ti IGNAZIO SCARDINA, e GUIDO CORSO;
– ricorrenti –
contro
ASSESSORATO RISORSE AGRICOLE E ALIMENTARI REGIONE SICILIANA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 571/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 19/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/09/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Palermo respingeva l’opposizione proposta dalla società C.I.P.O. e da M.G.A. avverso l’ordinanza ingiunzione n. 17 del 2010 emessa il 23 novembre 2010 dall’Assessorato regionale delle risorse agricole alimentari della Regione siciliana, avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per indebita percezione di aiuti comunitari all’agricoltura.
2. Gli opponenti proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
3. La Corte d’Appello di Palermo rigettava l’impugnazione. In particolare la Corte d’Appello rigettava il motivo di gravame relativo alla violazione del termine di cui alla L. n. 898 del 1986, art. 4, comma 1, lett. a), della in quanto nonostante la Guardia di Finanza avesse trasmesso alla autorità giudiziaria la notizia di reato già in data 23 ottobre 2003, a quella data, in ragione delle ovvie esigenze di segretezza delle indagini preliminari, l’amministrazione non poteva disporre di tutta la documentazione necessaria ai fini della completa ed esaustiva configurazione in fatto e in diritto delle condotte, dovendo oltretutto ottenere il nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria concesso solo pochi mesi prima della notifica. Pertanto, fino a tale momento non poteva ragionevolmente ritenersi che l’autorità amministrativa avesse completato l’attività di accertamento volta a verificare la sussistenza dell’illecito. Quanto all’eccezione di prescrizione della pretesa sanzionatoria, questa doveva ritenersi infondata, in quanto il momento di decorrenza della prescrizione quinquennale decorreva dalla data in cui erano stati percepiti indebitamente i contributi e non, come sostenuto dai ricorrenti, dal momento della comunicazione delle notizie false, e la notifica del verbale di contestazione quale atto di accertamento dell’illecito costituiva valido atto interruttivo della prescrizione.
Un ulteriore motivo di opposizione aveva ad oggetto la violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990, in particolare riguardo l’omessa indicazione del responsabile del procedimento, l’impossibilità di prendere visione degli atti, di presentare memoria a tutela dei propri interessi anche in ragione del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria penale. Il primo giudice aveva respinto la censura, rilevando che l’ingiunzione impugnata conteneva l’indicazione del responsabile procedimento e che la mancata disponibilità degli atti non poteva inficiare la legittimità del procedimento amministrativo.
L’appellante aveva censurato il capo della sentenza solo relativamente all’indicazione del responsabile del procedimento, eccependo che l’obbligo di indicazione sussisteva sin dall’avvio del procedimento e non dall’atto conclusivo costituito dall’ingiunzione impugnata.
La Corte d’Appello respingeva la suddetta censura citando la giurisprudenza di legittimità secondo cui: nei procedimenti per l’irrogazione di sanzioni amministrative non trovano applicazione le disposizioni sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8.
Infine, quanto al merito della violazione, doveva respingersi la censura con la quale il ricorrente, richiamando la sentenza del Tribunale penale di Palermo n. 5915 del 2012, aveva evidenziato che le dichiarazioni rese dai soci ai verbalizzanti fossero sospette. Secondo la Corte d’Appello, la sentenza penale non conteneva alcuna statuizione che potesse fare stato in ordine alla sussistenza dei fatti contestati, essendo stato dichiarato solo il non doversi procedere per estinzione del reato, inoltre, la prova dell’illecito emergeva dalla documentazione agli atti. In particolare, dall’esame del processo verbale del 14 dicembre 2005 emergeva la prova dell’esistenza della comunicazione di dati e notizie false grazie alle quali era stato percepito un finanziamento pubblico. Innumerevoli erano i dati e le notizie false fornite all’amministrazione per conseguire il finanziamento. In particolare nel verbale del comando del nucleo di polizia tributaria si dava atto delle dichiarazioni rese dai soci della cooperativa opponenti i quali avevano affermato, contrariamente a quanto attestato dalla cooperativa istante, al fine di ottenere i finanziamenti comunitari, di non avere la disponibilità dei terreni agli stessi attribuiti, di non avere conferito la quantità di agrumi che la cooperativa aveva attestato di aver ritirato, di non essere mai stati soci della cooperativa, né di avere mai venduto i propri prodotti a detta cooperativa, di disconoscere le firme apposte sulle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà volte a documentare la disponibilità dei terreni, di non aver mai posseduto agrumeti e di non riconoscere le firme apposte sulla fattura o i mandati di pagamento. Tali dichiarazioni, come attestato dai pubblici ufficiali, avevano trovato riscontro nella documentazione fiscale, contabile e catastale richiamata nel processo verbale.
4. La società cooperativa C.I.P.O. e M.G.A. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
5. L’assessorato risorse agricole alimentari della regione siciliana si è costituito con controricorso.
6. La ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1986, art. 4, lett. a), e L. n. 329 del 1908, art. 14, u.c..
Nelle premesse del verbale del gruppo repressione frodi della Guardia di Finanza, notificato il 14 dicembre 2005, era specificato che a seguito dell’attività ispettiva svolta i fatti penalmente rilevanti, constatati nell’ambito delle indagini erano stati oggetto di materia di reato con informativa del 23 ottobre 2003 rivolta alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Di conseguenza il verbale notificato il 14 dicembre 2005 doveva considerarsi tardivo perché tra la trasmissione dell’esito dell’indagine alla Procura della Repubblica, il 23 ottobre 2003, e la notifica del verbale avvenuta il 14 dicembre 2005 era decorso un lasso di tempo superiore a 180 giorni, peraltro tra la prima informativa dell’ottobre 2003 e quella dell’ottobre 2005 non era stato compiuto alcun ulteriore accertamento.
Secondo il ricorrente non assumerebbe alcun rilievo il fatto che l’autorizzazione all’utilizzo dei dati era stata rilasciata il 4 ottobre 2005 come evidenziato nel verbale del 14 dicembre 2005. Infatti, la Guardia di Finanza, tenuto conto dell’autonomia della sanzione amministrativa da quella penale, avrebbe potuto contestare l’illecito immediatamente dopo aver completato l’accertamento e, in ogni caso, non poteva determinarsi lo slittamento del termine iniziale stabilito dalla L. n. 898 del 1976, art. 4, lett. a).
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Sul rapporto tra illecito penale e illecito ammnistrativo questa Corte ha già avuto modo di precisare che: “In tema di sanzioni amministrative, al di fuori dell’ipotesi di connessione per pregiudizialità disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, art. 24 il termine stabilito dall’art. 14 citata legge per la notificazione della contestazione, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatori di contestare immediatamente all’indagato la violazione amministrativa, l’autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 c.p.p.” (Sez. 2, Sent. n. 9881 del 2018).
Nella sentenza da ultimo citata, con motivazione che il collegio intende ribadire, si è evidenziato che la L. n. 689 del 1981, art. 14 prevede che, ove non sia possibile procedere a contestazione immediata della violazione amministrativa, gli estremi devono essere notificati entro (novanta giorni) dall’accertamento (comma 2); quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento dell’autorità giudiziaria i termini decorrono dalla ricezione (comma 3). Il successivo art. 17 (obbligo del rapporto) stabilisce che, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il funzionario o l’agente accertatore, salvo che ricorra l’ipotesi di cui all’art. 24, deve presentare il rapporto all’ufficio amministrativo competente ad emettere l’ingiunzione. L’art. 24 disciplina l’ipotesi della connessione per pregiudizialità, che ricorre quando l’esistenza di un reato dipende dall’accertamento di una violazione amministrativa, attribuendo all’autorità giudiziaria competente a conoscere il reato la cognizione anche della violazione amministrativa (comma 1): la vis attractiva della fattispecie penale, comportando lo spostamento della competenza del giudice penale in ordine alla violazione amministrativa, preclude fin dall’origine ogni potere sanzionatorio della P.A. e, con esso, lo svolgimento di qualsiasi attività preordinata a tal fine; qualora, essendosi chiuso il procedimento penale, gli atti vengano trasmessi all’autorità amministrativa, questa, divenuta nuovamente competente, è legittimata ad avvalersi, ai fini dell’assunzione delle proprie determinazioni, di tutti gli atti, gli accertamenti e le deduzioni difensive svolti in quella precedente sede (Cass. n. 14289 del 2006).
Nel caso di connessione per pregiudizialità di cui all’art. 24, comma 2, il rapporto di cui all’art. 17 è trasmesso all’autorità giudiziaria, sicché i verbalizzanti non devono riferire all’autorità amministrativa, alla quale è sottratto ogni potere, ma soltanto a quella penale. Ed invero, la norma va necessariamente coordinata con gli artt. 331 e 347 c.p.p., che prevedono l’obbligo rispettivamente dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio di denunciare al P.M. un reato perseguibile d’ufficio e della polizia giudiziaria di riferire la notitia criminis d’ufficio.
Quella disciplinata dall’art. 24 è una soltanto delle ipotesi di connessione che in astratto possono verificarsi fra l’illecito amministrativo e quello penale: fra quelle non espressamente previste, vi è la connessione c.d. probatoria che ricorre quando, come nella specie, dall’attività di accertamento emergano notizie di reato e gli agenti accertatori abbiano riferito gli esiti dell’attività solo all’autorità giudiziaria anche qualora fra l’illecito amministrativo ed il reato non sussista il rapporto di dipendenza previsto dal citato art. 24. L’interpretazione sistematica della normativa in esame, infatti, induce a ritenere che anche nell’ipotesi in esame gli agenti accertatori non possano trasmettere gli atti all’autorità amministrativa o procedere alla contestazione senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, atteso che spetta a quest’ultima verificare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, ove ritenga che non sussistono i relativi presupposti, adottare gli eventuali provvedimenti per la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa: la previsione del segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p., che anche gli agenti accertatori sono tenuti ad osservare, impedisce che questi possano assumere l’iniziativa di portare a conoscenza dell’indagato attraverso la contestazione della violazione amministrativa gli elementi raccolti nell’ambito di accertamenti che abbiano anche rilevanza penale e la cui divulgazione potrebbe compromettere l’andamento delle indagini stesse. E, in tal caso, il termine di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14 non può che decorrere dal nulla osta alla utilizzazione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria che equivale alla trasmissione degli stessi, secondo quanto stabilito dalla L. n. 689 del 1981, medesimo art. 14, comma 3. In tali casi, dunque, il termine per la contestazione decorre dal suddetto nulla osta all’utilizzo degli atti rilevanti, confluiti nel fascicolo del pubblico ministero e presupposto sia dell’attività investigativa che di quella accertativa.
Venendo al caso di specie, la L. n. 898 del 1986, art. 3 deve essere interpretato alla luce dei suddetti principi. La norma da ultimo citata afferma al comma 1 che: “Indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’art. 2, nell’ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo Europeo agricolo di garanzia (FEAGA), il percettore è tenuto in ogni caso alla restituzione dell’indebito e, soltanto quando lo stesso indebito sia superiore a lire centomila, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, pari all’importo indebitamente percepito” e al comma 3 che: “L’irrogazione della sanzione amministrativa non resta sospesa nel caso che per il fatto sia promosso procedimento penale. Fermo il disposto del comma 5, qualora sia proposta opposizione all’ingiunzione dinanzi al pretore, questi sospende il giudizio di opposizione e può sospendere l’esecutività dell’ingiunzione a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, u.c.”.
Nella specie, pertanto, non sussiste la pregiudizialità penale L. n. 689 del 1981, ex art. 24 ma sussiste quella probatoria nell’interpretazione sopra esposta. Infatti, nessuna contestazione avrebbe potuto essere emessa prima del nulla osta dell’autorità giudiziaria e gli agenti accertatori, nel rispetto del segreto investigativo, hanno correttamente trasmesso gli atti di indagine esclusivamente all’autorità giudiziaria. Dunque, il giudice del merito ha correttamente ritenuto che solo in seguito al nulla osta dell’autorità giudiziaria si è resa possibile la contestazione del fatto.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli artt. 2943 e 1219 c.c. prescrizione del diritto. Violazione della L. n. 698 del 1981, art. 28.
La censura attiene al rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente che insiste nel sostenere che il termine decorrerebbe dalla comunicazione dei dati delle notizie false finalizzata alla percezione dei finanziamenti e non dal giorno in cui è avvenuta l’indebita percezione del contributo. La prescrizione, infatti, decorre dalla data in cui è stata commessa la violazione e nella specie la violazione, consistente nella comunicazione di dati falsi, sarebbe stata commessa in relazione alla campagna vinicola 1999/2000 nel periodo intercorrente tra il 1 giugno 1999 e il 31 maggio 2000. Pertanto, il 14 dicembre 2005, data di notifica del verbale, era già trascorso il termine di cinque anni per la prescrizione dell’illecito. In ogni caso anche volendo ammettere che il termine iniziale di prescrizione coincida con quello della percezione dei contributi, poiché la campagna si era chiusa il 31 maggio 2000, il contributo era stato versato al più tardi il 30 luglio 2000, come previsto dall’art. 14 del regolamento numero 1169 del 1997. Peraltro, al verbale di constatazione della Guardia di Finanza non può essere attribuita efficacia riduttiva del termine di prescrizione rientrante tra gli atti tipici ex art. 1219 c.c. e non provenendo dal titolare del diritto.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: Il diritto a riscuotere le somme dovute per l’illecito amministrativo di cui alla L. 23 dicembre 1986, n. 898, art. 2 (indebito conseguimento di aiuti comunitari mediante esposizione di dati o notizie falsi) si prescrive a decorrere dalla data di indebita percezione dell’aiuto, perché è con tale percezione – e non con la sola esposizione dei dati e delle notizie falsi – che si perfeziona l’illecito amministrativo Sez. 2 Sent. n. 28048 del 2011.
Ciò posto, risulta infondata anche l’ulteriore doglianza circa l’effettivo momento di percezione del contributo che secondo il ricorrente dovrebbe presumersi come avvenuto non più tardi del 30 luglio 2000. La questione del termine in virtù del quale presumersi la data di pagamento è del tutto nuova e, dunque, inammissibile. La stessa, infatti, non risulta in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata e il ricorrente non allega di averla dedotta dinanzi al giudice di merito e non indica in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia eventualmente avvenuto (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord. n. 15430 del 2018).
In ogni caso quello indicato dall’art. 14 del regolamento n. 1169 del 1997 è un termine ordinatorio e non vi è alcun elemento che possa far presumere l’avvenuto pagamento entro la data indicata. La Corte d’Appello di Palermo ha fatto corretta applicazione dell’onere della prova, avendo affermato che gli opponenti/appellanti non avevano dedotto la data in cui erano stati percepiti indebitamente i contributi e che tale data non emergeva dagli atti. Deve dunque farsi applicazione del principio secondo cui l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegarli e provarli (Sez. 6-L, Ord. n. 14135 del 2019). La parte che eccepisce la prescrizione, in altri termini, ha l’onere di allegare e provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, il fatto temporale che la determina, ossia la prolungata inerzia dell’esercizio del diritto.
Infine, deve ribadirsi che: “in tema di sanzioni amministrative, ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esso esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c. Ne consegue che tale idoneità va riconosciuta alla notifica al trasgressore del processo verbale di accertamento della infrazione”. (Sez. 1, Sent. n. 4088 del 2005).
La decisione del Tribunale, che ha considerato come valido atto interruttivo della prescrizione il verbale di accertamento della Guardia di Finanza del 14 dicembre 2005, è conforme al citato principio di diritto.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 5, 6, art. 8, comma 2, lett. c) e art. 10. Illegittimità costituzionale della L. n. 6 del 1981, art. 14 e 18 violazione dell’art. 97 Cost..
Secondo il ricorrente la partecipazione al procedimento costituisce attuazione immediata del principio costituzionale di imparzialità e del diritto di difesa e, pertanto, o le previsioni della L. n. 689 del 1981 si integrano con quelle della L. n. 241 del 1990, degli artt. 7, 8, 9 e 10 o la suddetta L. n. 689 del 1981, artt. 14 e 18 sono costituzionalmente illegittimi per contrasto con l’art. 97 Cost..
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 380 bis c.p.c..
Deve premettersi, infatti, che secondo l’orientamento espresso di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte: in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Ciò premesso il collegio intende dare continuità ai seguenti principi di diritto: Nei procedimenti per la irrogazione di sanzioni amministrative, disciplinati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, non trovano applicazione le disposizioni sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7 e 8 le quali configurano una normativa generale su cui prevale la legge speciale, in quanto idonea ad assicurare garanzie di partecipazione non inferiori al “minimum” prescritto dall’anzidetta normativa generale (ex plurimis Sez.L. n. 21706 del 2018, Sez. 2, Sent.n. 4363 del 2015, Sez.2, Sent. n. 8763 del 2010, Sez. 5, Sent. n. 14104 del 2010 Sez. 5, Sent. n. 26874 del 2009 Sez. 5, Sent. n. 17526 del 2009, Sez. L, Sent. n. 3254 del 2003).
In tema di sanzioni amministrative, il procedimento preordinato alla loro irrogazione sfugge all’ambito di applicazione della L. n. 241 del 1990, in quanto, per la sua natura sanzionatoria, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla L. n. 689 del 1981 e dal D.P.R. n. 495 del 1992, art. 383 che non prescrivono, quanto al contenuto del verbale di accertamento, la necessità di indicare l’autorità territorialmente competente a conoscere dell’impugnativa, né il nominativo del responsabile del procedimento (Sez. 6-2, Ord. n. 17088 del 2019).
La L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 1, prevede, infatti, che entro trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’art. 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità, che poi provvede sulla scorta del rapporto del funzionario o agente accertatore e di quanto esposto o documentato dal trasgressore (art. 18, comma 2). Il sistema prevede, dunque, non solo che il trasgressore sia immediatamente informato dell’inizio del procedimento con la contestazione o notificazione, ma anche che possa esercitare nel modo più ampio il proprio diritto di difesa prima del provvedimento dell’autorità competente ad emettere l’ordinanza ingiunzione o di archiviazione. La tesi del ricorrente si palesa comunque erronea nella parte in cui confonde la procedura di accertamento dell’infrazione con l’avvio del procedimento amministrativo previsto per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione: l’accertamento, invero, concreta proprio l’atto di iniziativa di ufficio del procedimento sanzionatorio che deve, in linea con i principi generali della L. n. 241 del 1990, essere comunicato all’interessato onde consentirgli l’attiva partecipazione a tutela della sua posizione giuridica.
Per le medesime ragioni deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 14 e 18.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato violazione della L. n. 398 del 1986, artt. 2 e 3.
La censura attiene alla prova dell’illecito contestato che secondo il ricorrente non era stata raggiunta, in quanto fondata sulle risultanze del verbale del 14 dicembre 2005 nel quale non si teneva conto dell’evidente contrasto tra le dichiarazioni rese dai soci della C.I.P.O. e il contenuto dei mandati di pagamento e delle dichiarazioni sostitutive da questi consegnati alla cooperativa. Tale contrasto avrebbe dovuto imporre all’autorità amministrativa ulteriori accertamenti mai effettuati. Il ricorrente richiama anche la sentenza del Tribunale penale di Palermo nella quale non viene menzionato M.G.A. e dove si afferma che le dichiarazioni rese dai soci erano sospette. Peraltro, il verbale di contestazione non dovrebbe avere valore di prova, non essendo stato confermato nel dibattimento penale.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 ma fonda la censura sulla mancanza di prova dell’illecito contestato incentrata solo sul verbale di accertamento.
La Corte d’Appello ha evidenziato che nel verbale del comando del nucleo di polizia tributaria si dava atto delle dichiarazioni rese dai soci della cooperativa, i quali avevano affermato, contrariamente a quanto attestato dalla medesima cooperativa, al fine di ottenere i finanziamenti comunitari, di non avere la disponibilità dei terreni agli stessi attribuiti, di non avere conferito la quantità di agrumi che la cooperativa aveva attestato di aver ritirato, di non essere mai stati soci della cooperativa, né di avere mai venduto i propri prodotti a detta cooperativa, di disconoscere le firme apposte sulle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà volte a documentare la disponibilità dei terreni, di non aver mai posseduto agrumeti e di non riconoscere le firme apposte sulla fattura o i mandati di pagamento. Tali dichiarazioni, come attestato dai pubblici ufficiali, avevano trovato riscontro nella documentazione fiscale, contabile e catastale richiamata nel processo verbale.
Risulta evidente sulla base della motivazione riportata che non vi sia stata alcuna violazione delle norme invocate nel motivo e che sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge il ricorrente anela ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie al fine di dimostrare che non si era raggiunta una prova sufficiente della condotta illecita.
Peraltro, deve ribadirsi che i verbali di accertamento, come quello della guardia di finanza nel caso in esame, hanno un triplice livello di attendibilità: a) sono assistiti da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) fanno fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dalle parti o da terzi e, dunque, anche del contenuto di documenti formati dalla parte e/o da terzi; c) per tutti gli altri aspetti anche relativi all’esame della documentazione costituiscono comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disattesi solo in caso di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore.
Dalla lettura della sentenza impugnata, come si è detto, emerge che il giudice del merito ha scrutinato il contenuto del verbale apprezzandolo liberamente ed operando un complessivo esame delle risultanze istruttorie sulla scorta di una motivazione priva di contraddizioni.
5. Il ricorso è rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 7000 più spese prenotate a debito;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 22 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021
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