Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.40668 del 17/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9433/2018 R.G. proposto da:

A.M.A., + ALTRI OMESSI, con domicilio eletto in Roma, via Salviucci, n. 2, presso lo studio dell’Avv. Ruggero Maria Gentile;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Università degli Studi di Genova, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1153/2016, depositata il 22 settembre 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 luglio 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. Quarantacinque medici specializzati, fra i quali i trentotto odierni ricorrenti, convennero davanti al Tribunale di Genova, con citazione notificata il 6 novembre 2013, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R. e l’Università degli Studi di Genova, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni per alcuni compresi nel – per altri invece anteriori o successivi al – periodo 1983 – 1991.

Con sentenza depositata in data 18/09/2015 il tribunale rigettò le domande, ritenendo per tutti prescritto il dedotto credito risarcitorio.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Genova, pronunciando sui gravami interposti (solo) da quarantadue degli originari attori:

– ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dai dottori G., G.C., I., M. (per la specializzazione in dermatologia), Ma. (per la specializzazione in igiene e medicina preventiva), m., Mo., R.M.A. (per la specializzazione in igiene e medicina preventiva), Ro. (per la specializzazione in dermatologia e venereologia) e S. (per la specializzazione in odontostomatologia), perché il relativo motivo investiva solo una delle due rationes decidendi spese nella sentenza di primo grado (la prescrizione e non anche l’ulteriore e autosufficiente rilievo della infondatezza della pretesa poiché riferita a corsi di specializzazione iniziati prima del 31/12/1982);

– ha dichiarato inammissibile per analogo motivo l’appello proposto dalla Dott.ssa V.;

– ha respinto per la restante parte l’appello, ritenendo, come il primo giudice, che il credito azionato fosse prescritto e che non fossero provati atti interruttivi.

3. Avverso tale decisione i (trentotto) medici indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resistono le amministrazioni intimate depositando controricorso.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri quattro medici nei cui confronti nessuno dei ricorsi è stato notificato.

Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 190; 324 c.p.c.; art. 329 c.p.c., comma 2; artt. 342; 345 e 346 c.p.c., in relazione alla dichiarata inammissibilità del gravame proposto dagli appellanti sopra indicati (e per le specializzazioni specificate).

Affermano che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, la sentenza di primo grado era fondata su una sola ratio decidendi – la prescrizione del credito azionato – essendovi in motivazione un solo accenno alla giurisprudenza relativa ai medici iscritti ai corsi di specializzazione in data anteriore al 31/12/1982, inidoneo a rappresentare autonoma giustificazione della decisione di rigetto della domanda.

Soggiungono che:

– le conclusioni da essi formulate in appello erano volte alla totale ed integrale riforma della sentenza di primo grado;

– le amministrazioni convenute, costituendosi in appello, avevano “dedicato un intero paragrafo (da pag. 3 a pag. 6) a tale specifico motivo di impugnazione” ed è dunque “pacifico che il giudizio di appello vertesse anche sulla questione degli specializzandi iscritti prima del 1 gennaio 1983”;

– erroneamente, pertanto, la corte d’appello ha ritenuto che la doglianza sul punto fosse stata inammissibilmente introdotta solo con la comparsa conclusionale;

– la questione avrebbe comunque dovuto essere esaminata d’ufficio, in quanto di mero diritto e come tale rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano, per violazione o falsa applicazione di legge (“direttive CEE 75/362, 75/363 e 82/76; artt. 1173,1183,1218 e 2043 c.c.; artt. 291 e 297 del Trattato CEE, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 ratificato dalla L. 2 agosto 2008, n. 130; art. 3 Cost.”), il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento per i medici che avevano iniziato i rispettivi corsi di specializzazione in epoca precedente all’1/1/1983.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione degli artt. 190; 324 c.p.c.; art. 329 c.p.c., comma 2; artt. 342; 345; 346 c.p.c.; delle direttive CEE 75/362, 75/363 e 82/76; degli artt. 1173,1183,1218 e 2043 c.c.; degli artt. 291 e 297 del Trattato CEE, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla L. 2 agosto 2008, n. 130; del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 1, comma 2; degli artt. 24 e 111 Cost.”.

Lamentano che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto che in comparsa conclusionale essi avessero sollevato nuovi inammissibili motivi di impugnazione, in particolare relativamente alla indennizzabilità delle specializzazioni non ricomprese negli elenchi a valenza comunitaria; osservano che al contrario erano state le amministrazioni convenute a sollevare detta questione per la prima volta in appello e che essi ne avevano eccepito la novità.

Richiamano, inoltre, in proposito, il principio affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui “il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso un’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 1, comma 2, non è di ostacolo al riconoscimento, in favore dello specializzando, del diritto alla borsa di studio” (Cass. Sez. U. n. 23945 del 2008).

5. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 36 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 112,324,329 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. e conseguente nullità della sentenza.

Lamentano che, pronunciando ultrapetita su una questione ad essa non devoluta e in assenza di appello incidentale, “come specificato nel precedente motivo di gravame, la corte d’appello giunge del tutto illegittimamente ad una soluzione negativa in relazione ai medici che abbiano conseguito una specializzazione non inserita negli elenchi comunitari” (così testualmente in ricorso, pagg. 30-31).

6. Con il quinto e ultimo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1173,2935 e 2946 c.c..

Sostengono che la corte d’appello avrebbe erroneamente accolto l’eccezione di prescrizione, dal momento che la prescrizione dovrebbe cominciare a decorrere dal 2 novembre 2007, avendo solo in quel momento lo Stato italiano dato corretto adempimento alle direttive comunitarie sui medici specializzandi.

7. Occorre preliminarmente avvertire che nessuna preclusione all’esame degli esposti motivi può derivare, per nessuno dei ricorrenti, da quanto disposto con il decreto ex art. 377 c.p.c., comunicato alle parti e segnatamente con il provvedimento del Presidente del Collegio che, ad esso allegato, “a specificazione” del relativo oggetto:

a) ha precisato che:

– “la fissazione e, quindi, la trattazione si intendono escluse per le posizioni dei medici specializzandi per i quali si sia dedotta l’iscrizione alla scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1 gennaio 1982”;

– “per i suddetti la trattazione è differita a seguito di separazione ad altra udienza o adunanza, atteso che è necessario attendere gli esiti del rinvio pregiudiziale alla CGUE disposto dall’ordinanza delle Sezioni Unite n. 23901 del 2020”;

b) ha quindi invitato “i difensori interessati a prendere atto dei limiti della disposta trattazione”.

L’identificazione delle posizioni da separare è invero operata nel citato provvedimento attraverso il riferimento, da un lato, ai “medici specializzandi per i quali si sia dedotta l’iscrizione alla scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1 gennaio 1982”, dall’altro, alla necessità di attendere, per essi, “gli esiti del rinvio pregiudiziale alla CGUE disposto dall’ordinanza delle Sezioni Unite n. 23901 del 2020”. Appare dunque evidente che tale provvedimento ha riguardo solo ai ricorsi e alle posizioni per i quali il vaglio di legittimità sulla decisione di merito impugnata richieda necessariamente la soluzione della questione oggetto di rinvio pregiudiziale (e dunque l’attesa della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea).

Tra queste non rientra alcuna delle posizioni per le quali è proposto il ricorso in esame il cui vaglio in questa sede, per le ragioni che appresso saranno esposte, si arresta a rilievi di carattere preliminare che non pongono la necessità – ma anzi escludono la possibilità – di passare all’esame di quella questione.

8. Il primo motivo è inammissibile.

8.1. Non può sfuggire anzitutto l’intrinseca contraddittorietà del motivo – che già di per sé si risolve in motivo preliminare di inammissibilità per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 – là dove, da un lato, assume che la sentenza di primo grado non abbia poggiato il rigetto della domanda (anche) sul vaglio di infondatezza delle stessa ma (solo) sulla prescrizione, dall’altro, al contempo afferma che una doglianza al riguardo era stata comunque svolta: assunto quest’ultimo che invero indebolisce alquanto il primo, posto che non si vede ragione per cui debba porsi motivo di gravame su questione che si afferma non trattata in primo grado.

8.2. E’ in ogni caso palese l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti richiamati, imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

I ricorrenti omettono di riportare il contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello (nella parte almeno in cui sarebbe, in tesi, desumibile riprova, quanto alla prima, della inesistenza della seconda ratio decidendi postulata dai giudici d’appello e, quanto al secondo, della proposizione di motivo di gravame sul punto) ed omettono inoltre di localizzare tali atti nel fascicolo processuale.

E’ invece, come noto, necessario che si provveda, oltre che alla specifica indicazione del contenuto dell’atto o documento richiamato, anche alla sua precisa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U. 19/04/2016, n. 7701, in motivazione, e, da ultimo, Cass. Sez. U. 23/09/2019, n. 23553).

E ciò anche ove i motivi prospettino, come nella specie, vizi di natura processuale, essendo stato più volte al riguardo chiarito da questa Corte, anche a Sezioni Unite, che se è vero che, ove sia dedotto un error in procedendo, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, resta pur sempre fermo che a tale esame può procedersi in quanto la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), (cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077; Cass. 13/06/2014, n. 13546).

D’altro canto, si rileva, ferma l’esizialità della carenza di adempimento dell’onere riproduttivo del contenuto degli atti fondanti, che, quanto all’onere di localizzazione in questo giudizio di legittimità, immanente all’art. 366 c.p.c., n. 6, i ricorrenti nemmeno – come consente Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 – hanno dichiarato di voler fare riferimento alla presenza dell’atto di appello siccome fondante il motivo nel fascicolo d’ufficio del giudice della sentenza impugnata.

8.3. Con riferimento poi all’ultimo dei rilievi censori svolti con il motivo è appena il caso di soggiungere che, se è vero che la questione della spettanza o meno dell’indennizzo agli specializzandi iscritti anteriormente al 1982 è questione (anche) di diritto, è anche vero che, una volta che su di essa il primo giudice si era pronunciato, il suo esame da parte del giudice d’appello non poteva essere svolto d’ufficio ma richiedeva necessariamente la proposizione di specifico motivo di gravame.

9. Ne discende l’inammissibilità anche del secondo motivo.

Lungi dall’aver trattato la questione ivi posta, la corte d’appello ha ben diversamente rilevato che, per l’appunto, sulla soluzione che di essa aveva dato il primo giudice non era stato proposto specifico motivo di gravame (tanto da risultare inammissibile l’appello in quanto motivato solo con riferimento ad alternativa autonoma ratio decidendi). Su quella decisione deve dunque ritenersi formato (e implicitamente affermato dal giudice d’appello) giudicato interno che ne preclude a maggior ragione l’esame nella presente sede.

10. Il terzo e il quarto motivo, congiuntamente esaminabili, sono parimenti inammissibili.

A parte l’evidente inosservanza, anche per tali doglianze, dell’onere di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (non è detto a quali ricorrenti e a quali specializzazioni si riferisse la questione che sarebbe stata trattata oltre i limiti del tema devoluto, non è riportato il contenuto degli atti difensivi, comparsa di costituzione in appello delle amministrazioni appellate e relativa replica degli appellanti, non è detto se e dove tali atti sono localizzati e consultabili nel fascicolo di causa), esse si appuntano su un’affermazione incidentale: limitata anzitutto ad una questione processuale (inammissibilità dei motivi per la prima volta dedotti in comparsa conclusionale); priva comunque di rilievo fondante della decisione impugnata. Questa invero, giova rammentare, viene giustificata in sentenza da due sole rationes decidendi: inammissibilità dell’appello proposto da quelli tra gli originari attori la cui domanda era stata rigettata (anche) in quanto riferita a corsi di specializzazione iniziati anteriormente al 31/12/1982; prescrizione (comunque) del credito per i restanti appellanti.

11. Il quinto motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

La decisione impugnata risulta, infatti, conforme ai principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, che il ricorso non offre motivi idonei a rivedere, secondo i quali:

a) “in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria; tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione” (Cass. nn. 10813 – 10814 del 17/05/2011; tra le molte successive conformi v. Cass. n. 17350 del 18/08/2011; n. 17066 del 10/07/2013);

b) “a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991; la lacuna è stata parzialmente colmata con la della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea; nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11” (oltre alle pronunce sopra indicate v. anche Cass. n. 1917 del 09/02/2012, la quale precisa che “in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 – secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato -trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, e cioè dal 1 gennaio 2012”; Cass. n. 1156 del 17/01/2013; n. 16104 del 26/06/2013; n. 17066 del 10/07/2013; n. 6606 del 20/03/2014; n. 23199 del 15/11/2016; n. 13758 del 31/05/2018; n. 16452 del 19/06/2019; n. 1589 del 24/01/2020; v. anche Cass. 29/04/2020, n. 8374).

12. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore dei controricorrenti, in solido, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021

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