Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.410 del 13/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27474-2019 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, C.NE TRIONFALE, 145, presso lo studio dell’Avvocato ERMINIA MARIA DEL MEDICO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSTINO MICOCHERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 244/2019 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA, depositata il 07/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

RITENUTO IN FATTO

– che P.A. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 244/19, del 7 febbraio 2019, della Corte di Appello de L’Aquila, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 320/14, del 4 marzo 2014, del Tribunale di Teramo – ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente nei confronti dell’Avvocato Carlo Maria Pettinelli, sul presupposto della responsabilità professionale del medesimo;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di aver radicato, con il patrocinio del Pettinelli, due distinti giudizi innanzi al TAR aquilano, rispettivamente conclusisi con una pronuncia di difetto di giurisdizione e una declaratoria di estinzione per perenzione, esiti che il P. lamenta non essergli stati, negligentemente, neppure comunicati dal proprio legale;

– che su tali basi, pertanto, l’odierno ricorrente adiva il Tribunale teramano per far valere la responsabilità del professionista, il quale – costituitosi in giudizio – eccepiva non solo di aver avvisato il suo cliente della pronuncia declinatoria della giurisdizione, costituendo, inoltre, una determinazione di quest’ultimo la mancata impugnazione di quella decisione, come anche la scelta di non coltivare l’ulteriore giudizio poi dichiarato perento;

– che la domanda risarcitoria veniva respinta dal primo giudice, con statuizione confermata da quello di appello, che rigettava il gravame dell’attore soccombente;

– che avverso la sentenza della Corte abruzzese il P. ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di cinque motivi;

– che il primo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 22 e 46 codice deontologico forense, nonchè dell’art. 175 c.p.c. e art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciare la nullità della decisione del primo giudice, per avere il medesimo dichiarato la contumacia dell’attore, trascorsi appena ventidue minuti dall’ora fissata per la comparizione del suo procuratore alla prima udienza di trattazione, con conseguente rinvio della causa all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza dare rilievo nè alla circostanza che il legale dell’allora attore provenisse da altro Foro, nè al fatto che il rinvio all’udienza ex art. 189 c.p.c. avesse precluso al medesimo di replicare a quanto “ex adverso” dedotto, rilevato ed eccepito;

– che il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., per essere stata esclusa la responsabilità del legale – in relazione all’attività professionale prestata nel giudizio amministrativo conclusosi con la declaratoria del difetto di giurisdizione – sulla base di un supposto giudicato (viceversa inesistente, attesa la pendenza del giudizio di appello) formatosi in relazione alla domanda con cui il Pettinelli aveva chiesto il pagamento dei compensi per l’attività professionale prestata in quel giudizio amministrativo;

– che il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 1460 c.c., avendo errato il giudice di appello nel rigettare la domanda risarcitoria sul presupposto di un difetto di allegazione e prova del danno subito dall’attore;

– che siffatto pregiudizio, infatti, oltre che nel danno morale, sarebbe consistito, quantomeno, nell’avere l’odierno ricorrente pagato al professionista un compenso che non poteva essere preteso, oltre che in una perdita di chance, la cui quantificazione era stata richiesta in via equitativa;

– che, difatti, quanto a quest’ultima voce di danno, nell’atto di appello si era chiarito come il giudizio amministrativo, poi definito con la declaratoria del difetto di giurisdizione, avesse lo scopo di chiedere l’annullamento della Delib. con la quale la Pubblica Amministrazione aveva deciso di affidare ad un terzo, diverso dall’odierno ricorrente, un incarico per la stesura di un progetto definitivo e per la direzione dei lavori di realizzazione di una caserma dei Carabinieri;

– che il quarto motivo denunzia l’omessa pronuncia sul motivo di appello concernente l’errata condanna, comminata all’odierno ricorrente dal primo giudice, ex art. 96 c.p.c.;

– che, infine, il quinto motivo denuncia omessa pronuncia sul motivo di appello relativo al risarcimento dei danni derivanti dalle molteplici esecuzioni intraprese dal legale in base al titolo giudiziale che riconosceva il suo diritto alla riscossione del compenso per l’attività professionale espletata;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il Pettinelli chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 15 ottobre 2020;

– che il ricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato;

– che non valgono ad escludere tale esito le considerazioni svolte dal ricorrente memoria ex art. 380-bis c.p.c.;

– che il primo motivo non contrasta adeguatamente la “ratio decidenti” con cui la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza di ogni profilo di nullità, in relazione all’avvenuta declaratoria di contumacia, ovvero la mancata deduzione delle conseguenze del vizio processuale denunciato;

– che tale affermazione è pienamente conforme al principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione” (Cass. Sez. 1, sent. 21 novembre 2016, n. 23638, Rv. 642799-01), sicchè “è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito” (Cass. Sez. 5, sent. 18 dicembre 2014, n. 26831, Rv. 634236-01; in senso conforme anche Cass. Sez. Lav., sent. 19 marzo 2014, n. 6330, Rv. 630071-01), non potendo, dunque, ritenersi – come afferma, invece, il ricorrente nella propria memoria ex art. 380-bis c.p.c. – tale pregiudizio “in re ipsa”;

– che, difatti, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, “qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il “Menta decidendum” e il “thema probandum”” (che è quanto il ricorrente lamenta essere avvenuto per l’errata, a suo dire, dichiarazione di contumacia), “l’appellante che faccia valere tale nullità non può limitarsi a dedurre detta violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il “thema decidendum” sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare” con “l’evidenziazione” – della quale non vi è. traccia nè nel giudizio di appello, nè in questa sede – “del concreto pregiudizio” derivato dalle preclusioni maturate a carico dell’interessato (Cass. Sez. 2, ord. 4 ottobre 2018, n. 24402, Rv 650652-01; Cass. Sez. 2, ord. 2 settembre 2019, n. 21953, Rv. 65491701);

– che il secondo motivo, nel lamentare che la Corte territoriale avrebbe dato rilievo ad un “presunto e non provato giudicato” sul difetto di responsabilità del legale, risulta, del pari, inammissibile, visto che la sentenza impugnata, dopo aver affermato che “alcun giudicato si era in realtà formato sulla decisione di cuì alla sentenza n. 361/11” (pag. 6), ha confermato il rigetto della domanda di responsabilità professionale “a prescindere da ogni considerazione sull’esistenza (non contestata in primo grado dall’attore) o meno del giudicato della sentenza n. 361/2011” (pag. 8), sicchè l’odierno ricorrente non ha alcuna ragione di dolersi del fatto che la Corte aquilana “avrebbe dovuto constare e dichiarare non provato il passaggio in giudicato”;

– che, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, dando seguito al principio secondo cui “il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4)” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 63687201);

– che, in ogni caso, del tutto inconferente è il richiamo all’art. 2697 c.c., la cui violazione – censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, non invece laddove oggetto di censura sia” (come si lamenta nel presento caso, visto che il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe dato rilievo ad un giudicato non provato) “la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01);

– che il terzo motivo di ricorso risulta non fondato, giacchè non è idonea a contrastare il rigetto della domanda risarcitoria (motivato sul presupposto dell’assenza di prova – anzi, di allegazione – del danno subito), la constatazione secondo cui tale pregiudizio si identificherebbe, nella specie, nel pagamento, al legale, di un compenso non dovutogli, oltre che nella perdita della chance di conseguire, con l’iniziativa assunta innanzi al giudice amministrativo, l’annullamento della Delib. relativa al conferimento, ad altri, di un incarico professionale per la stesura di un progetto definitivo e per la direzione dei lavori di realizzazione di una caserma dei Carabinieri, oltre al danno morale;

– che, al riguardo, occorre rammentare che “in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio pronostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa” (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 64645101; Cass. Sez. 3, ord. 6 maggio 2020, n. 8516, Rv. 657777-01);

– che pertanto, nella specie, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto allegare (e provare) in quale misura l’inerzia dell’Avv. Pettinelli abbia pregiudicato, “più probabilmente che non”, un esito favorevole, per esso P., dei giudizi amministrativi incardinati, e non solo invece – e per così dire, “omisso medio” – le conseguenze dannose risarcibili, individuate nei già descritti termini di danno emergente da pagamento, al legale, di un compenso (asseritamente) non dovutogli, di perdita di chance di una scelta dell’amministrazione in proprio favore, nonchè, infine, addirittura di danno morale;

– che il quarto motivo non è fondato, visto che nella sentenza impugnata vi è una statuizione specifica (cfr. pag. 8, p. 5.4.) sul motivo di appello relativo alla condanna ex art. 96 c.p.c., non sussistendo, pertanto, alcuna omissione di pronuncia, avendo la Corte territoriale affermato che il rilevato – dal Tribunale – difetto di allegazione e prova del danno “è di per sè sufficiente a giustificare e legittimare” l’avvenuta “pronuncia di condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c.”;

– che il quinto motivo – che denuncia omessa pronuncia su (altro) motivo di gravame, relativo alla richiesta di risarcimento danni in relazione alle molteplici esecuzioni intraprese dall’Avv. Pettinelli “in relazione al titolo impugnato” – è inammissibile, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo stato riprodotto, nel ricorso, il contenuto di tale motivo, nè potendo tale carenza essere superata (come afferma il ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c.) dalla menzione, nel “corpo del motivo di censura”, sia “in sede di legittimità, così come in sede di merito”, delle procedure esecutive “de quibus”;

– che è, difatti, “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. Sez. 2, cent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01);

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile, condannando P.A. a rifondere a Carlo Maria Pettinelli le spese del presente giudizio, che liquida – per i primi due congiuntamente, oltre che per il terzo – nella medesima misura Euro 2.400,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472