Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.411 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28104-2019 proposto da:

S.M.L., F.M., tutte eredi legittime di S.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell’Avvocato LUCA MARAGLINO, rappresentate e difese dagli Avvocati FRANCESCO TEDESCHI, LORENZO PERRON;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALI? DEILO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1392/2019 della CORTE D’APPPTLO di BARI, depositata il 20/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

RITENUTO IN FATTO

– che F.I., nonchè S.M.L. e M., tutte nella qualità di eredi di S.A., ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1392/19, del 20 giugno 2019, della Corte di Appello di Bari, che – respingendo il gravame da esse esperito avverso la sentenza n. 5135/14, del 20 novembre 2014, del Tribunale di Bari – ha confermato la declaratoria di intervenuta prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno, azionato dal loro dante causa (poi deceduto nelle more del giudizio) nei confronti del Ministero della salute, in relazione ad emotrasfusioni da sangue infetto;

– che, in punto di fatto, le ricorrenti riferiscono che il loro dante causa ebbe ad adire il giudice di prime cure sul presupposto di essere stato sottoposto, in occasione di un intervento di splenectomia praticatogli il 10 febbraio 1978 presso gli Istituti Ospedalieri di Modena, ad alcune trasfusioni di sangue, a causa delle quali il medesimo contrasse un’epatopatia cronica attiva IICV, in relazione alla quale ebbe poi a presentare, il 4 maggio 2004, istanza per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1;

– che, addebitando la patologia all’assenza di qualsiasi controllo sulle sacche della sostanza ematica trasfusa, il predetto S.A. conveniva in giudizio il Ministero della salute per essere risarcito in relazione al danno subito;

– che, come detto, il suo credito risarcitorio veniva dichiarato prescritto – su eccezione de Ministero – dal giudice di primo grado, con decisione confermata da quello di appello, che rigettava il gravame esperito;

– che avverso la decisione della Corte barese ricorrono per cassazione gli eredi, sulla base di tre motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2938 c.c., lamentando vizio di ultrapetizione, atteso che, eccepita dal convenuto Ministero la prescrizione del diritto azionato, individuando esso il cd. “exordium praescriptions” nel momento della presentazione della domanda di indennizzo “ex lege” n. 210 del 1992, il giudice di prime cure (con decisione condivisa da quello di appello) non avrebbe potuto “retrodatarlo” al 17 giugno 1998, dovendo dare rilievo alla data del 4 maggio 2004 indicata dalla parte convenuta, e dunque tenere conto degli atti interruttivi del corso della prescrizione costituiti dalle missive inviate al Ministero della Salute il 18 febbraio 2006, il 5 giugno e il 31 luglio 2008, nonchè il 18 ottobre 2009;

– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 2935,2946 e 2947 c.c., lamentando erronea valutazione e ricostruzione dei fatti in ordine alla eccezione di prescrizione, nonchè erronea motivazione e pronuncia sull’eccezione di prescrizione, oltre ad erronea e illegittima applicazione dei principii giurisprudenziali relativi alla prescrizione del diritto, censurando la sentenza impugnata, nuovamente, nella parte in cui ha individuato il “dies a quo” del termine di prescrizione nel 17 giugno 1998, facendolo, cioè, coincidere con il momento della prima diagnosi della patologia epatica riscontrata a carico del S.;

– che il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 2935 e 2967 c.c. lamentando erronea inversione dell’onere della prova del cd. “exordium praescriptionis”, giacchè, a fronte dell’eccezione di prescrizione del diritto, il Ministero, che pure aveva individuato nella data di presentazione della domanda di indennizzo il “dies a quo” del termine di prescrizione, non ha dedotto e, in ogni caso, offerto elementi probatori idonei ad affermare che prima di tale momento l’attore fosse in grado di percepire, secondo l’ordinaria diligenza, che la patologia da cui era affetto fosse conseguenza dell’emotrasfusione praticatagli;

– che il Ministero della Salute ha resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità – sia in relazione all’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1), giacchè la Corte territoriale si sarebbe uniformata alla giurisprudenza di legittimità circa il cd. “exordium praescriptionis”, sia in ragione del fatto che essa tenderebbe ad un non consentito riesame nel merito delle risultanze istruttorie – o comunque il rigetto;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio del 15 ottobre 2020.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente fondato, in relazione ai motivi secondo e terzo (con assorbimento, invece, del primo);

– che, invero, la sentenza, sul presupposto che – dalla cartella clinica relativa ad un ricovero del S. presso l’ospedale Fallacara di Triggiano, del 17 giugno 1998 – risultava una diagnosi di epatite di tipo “C”, ha tratto la meccanicistica conclusione che il medesimo abbia acquisito, già allora, piena consapevolezza della dipendenza della stessa dalla trasfusione di sangue avvenuta venti anni prima;

– che così argomentando, tuttavia, la sentenza impugnata si è limitata ad esporre una mera concatenazione di avvenimenti, disattendendo il principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno causato da emotrasfusione con sangue infetto, “ai fini dell’individuazione dell'”exordium praescriptionis”, una volta dimostrata dalla vittima” (o, per essa, dai suoi eredi, nel caso in cui la pretesa risarcitoria sia, appunto, azionata da costoro) “la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle praesumptiones de praesumpto”” (così Cass. Sez. 3, cent. 28 giugno 2019, n. 17421, Rv. 654353-01);

– che, difatti, come ribadito dall’arresto di questa Corte da ultimo indicato, se con “la domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210”, il soggetto emotrasfuso “dimostra per ciò solo di essere consapevole sia della sua malattia, sia della causa di essa”, essendo, dunque, ragionevole presumere che da tale data incominci a decorrere il termine di prescrizione, resta, a questo punto, “ribaltato sulla parte che si oppone alla domanda di risarcimento l’onere di provare che il danneggiato avesse acquisito la consapevolezza dell’esistenza del contagio, e della sua derivazione causale dalla trasfusione, già prima dell’inoltro della suddetta domanda amministrativa di indennizzo”, potendo tale prova, come detto, essere raggiunta pure in via presuntiva, dovendosi, però, “fondare su fatti certi”, ovvero dedurre “sulla base di massime d’esperienza o dell'”id quod plerumque accidit””, non potendo consistere in una congettura, ovvero in “una mera supposizione”, ciò che si verifica quando la presunzione “si fonda su fatti incerti” e “viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi” (Cass. Sez. 3, sent. n. 17421 del 2019, cit);

– che l’evenienza da ultimo descritta è stata da questa Corte ravvisata in casi – pressocchè identici a quello oggetto del presente ricorso – in cui il giudice “ha ritenuto di poter desumere il fatto ignoto della conoscenza o conoscibilità della causa della malattia”, dalla mera scoperta, da parte della persona emotrasfusa “di essere ammalata di epatite”, e dalla circostanza che essa “aveva sin d’allora iniziato a curarsi” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 17421 del 2019, cit.; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2020, n. 3129, non massimata);

– che, pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, per la decisione nel merito, nel rispetto del principio di diritto di cui sopra, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il primo, e per l’effetto, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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