LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6753/2017 R.G. proposto da:
C.D., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Zotti, Paolo Faini, e Roberto Chiari, elettivamente domiciliato in Roma, Via Bettolo n. 6.
– ricorrenti –
contro
F.F., rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Porrati, e Ennio Luponio, elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Don Minzoni n. 9.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1115/2016, depositata in data 3.11.2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 22.11.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il Tribunale di Sanremo, con sentenza del 23.2.2009, passata in giudicato, ha ordinato a C.D. di reintegrare F.F. nel compossesso dell’imbarcazione denominata “*****”. La disponibilità del bene era stata acquisita con contratto di leasing, stipulato oltre che da C.D. e F.F., anche da C.A., regolarmente citato ma rimasto contumace.
C.D. ha proposto opposizione al precetto notificatogli dal resistente nell’aprile 2009, sostenendo di aver ottemperato all’ordine di consegna delle chiavi adottato con il provvedimento interdittale emesso nel corso del procedimento possessorio, come comprovato dal verbale redatto dall’ufficiale giudiziario in data 11.6.2006.
Ha chiesto di annullare il precetto e di regolare le spese.
Si è costituito il F., eccependo che l’opponente – nel corso del giudizio possessorio – aveva spostato l’imbarcazione in un luogo sconosciuto, sicché l’ordine di reintegra non poteva considerarsi eseguito.
Ha chiesto di respingere l’opposizione e – in via riconvenzionale – di condannare il C. al risarcimento del danno per il mancato utilizzo dell’imbarcazione.
Esaurita la trattazione, il tribunale ha accolto l’opposizione respingendo la riconvenzionale, affermando che la sentenza di reintegra aveva avuto esecuzione con la consegna delle chiavi avvenuta in corso di giudizio e che il successivo spostamento dell’imbarcazione costituiva una nuova attività spoliativa, non contemplata nel titolo esecutivo.
La sentenza, impugnata dal F., è stata riformata in appello.
Ha osservato la Corte di Genova che il provvedimento interdittale era stato revocato a seguito dell’accoglimento del reclamo e che nella pendenza del giudizio di merito possessorio – l’imbarcazione era stata spostata altrove. Il C., pur avendo ottemperato all’ordine adottato con la misura interdittale, aveva compiuto un atto spoliativo che non poteva considerarsi autonomo e che non integrava una nuova e diversa lesione del possesso.
Inoltre, il titolo giudiziale conteneva una condanna “alla reintegrazione nel possesso e non alla consegna delle chiavi in senso stretto e materiale e – tra l’altro – di chiavi astrattamente “diverse” da quelle che avevano formato oggetto del provvedimento interdittale, poi travolto dal collegio.
La condotta di C.D. si era concretata in una condotta articolata in una pluralità di atti fra loro collegati in senso materiale e teleologico, il primo dei quali represso in sede interdittale ed il secondo dei quali, consistito nello spostamento della barca, consumato prima che il tribunale ordinasse la reintegra con la consegna di chiavi, altre rispetto a quelle consegnate in precedenza”. Pertanto, non avendo il F. ottenuto la disponibilità dell’imbarcazione, la sentenza di reintegra non poteva considerarsi eseguita e peraltro, secondo il Collegio giudicante, l’avvenuta consegna delle chiavi era fatto deducibile solo nel giudizio di merito, trattandosi di circostanza anteriore alla formazione del giudicato possessorio.
La pronuncia ha infine disposto la condanna dell’opponente al pagamento di Euro 200.000,00 a titolo di risarcimento del danno per il mancato utilizzo dell’imbarcazione, regolando le spese processuali. La cassazione della sentenza è chiesta da C.D. con ricorso in tre motivi, cui F.F. resiste con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 703 c.p.c., comma 3, artt. 115 e 605 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che la consegna delle chiavi dell’imbarcazione e la reintegra in possesso del resistente erano già avvenute prima della notifica del precetto ed erano attestate dal verbale redatto dall’ufficiale giudiziario in data 16.11.2016. Erroneamente la Corte distrettuale avrebbe ritenuto che l’avvenuta esecuzione della pronuncia fosse circostanza non deducibile nel giudizio di opposizione all’esecuzione.
Il secondo motivo denuncia la contraddittorietà della sentenza, per aver la Corte distrettuale prima affermato che l’avvenuta consegna delle chiavi era eccezione che il ricorrente avrebbe dovuto far valere con l’appello alla sentenza di reintegra, e poi che il comando contenuto nel titolo giudiziale non prevedeva la sola consegna delle chiavi, ma il ripristino della situazione di compossesso dell’imbarcazione. Si assume inoltre che il F. – proponendo il ricorso monitorio – doveva esplicitamente richiedere di essere immesso nel possesso della barca, per cui, non avendolo fatto, non poteva ottenere tale risultato mediante l’esecuzione di una pronuncia che si limitava a disporre la consegna delle chiavi.
I due motivi, che richiedono un esame congiunto per la loro stretta connessione, sono inammissibili.
La Corte di merito ha posto in rilievo come il giudicato possessorio contenesse un comando giudiziale nient’affatto circoscritto alla consegna delle chiavi in senso stretto e materiale, ma ordinasse invece al C. di reimmettere il F. nel compossesso dell’imbarcazione.
Il riferimento alla consegna delle chiavi contenuta nel titolo esecutivo voleva significare – secondo la pronuncia – solo che il C. doveva porre la controparte nel godimento dell’imbarcazione mediante la consegna di quelle chiavi che consentissero l’effettivo ripristino del compossesso, non essendo a ciò sufficiente l’attuazione dell’interdetto possessorio, dato che l’imbarcazione era stata nel frattempo spostata in un luogo sconosciuto e che l’attività spoliativa era proseguita nel corso del giudizio possessorio.
Da tale punto di vista, la consegna delle chiavi, effettuata prima dell’occultamento dell’imbarcazione, non era sufficiente per ritenere attuata la sentenza di reintegra.
Il ricorrente insiste nel sostenere che la consegna delle chiavi era stata effettuata già in esecuzione del provvedimento interdittale, che tale circostanza era deducibile nel presente giudizio e che la stessa sentenza si sarebbe limitata a confermare quanto già disposto con il provvedimento immediato, senza confrontarsi con l’interpretazione del giudicato operata dalla Corte di merito, secondo cui il comando giudiziale non si esauriva nell’ordine di consegna delle chiavi, ma imponeva il pieno reintegro del resistente nella disponibilità dell’imbarcazione.
In definitiva, le censure appaiono inammissibili, non attingendo il risultato interpretativo del titolo giudiziale che ha condotto al rigetto in appello dell’opposizione a precetto.
L’interpretazione del titolo esecutivo giudiziale compete al giudice dell’esecuzione e, in caso di opposizione ex art. 615 c.p.c., a quello dell’opposizione, che ne individua la portata precettiva sulla base del dispositivo e della motivazione.
Tale attività si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in Cassazione se la relativa motivazione è esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione di accertamento del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (Cass. 15538/2018; Cass. 32196/2018; Cass. 760/2011; Cass. 15852/2010).
Alla luce del contenuto del titolo esecutivo, come interpretato dal giudice dell’opposizione, perde sostanza anche la denunciata contraddittorietà della pronuncia: l’aver ritenuto che il titolo contesse l’ordine di reintegra nel possesso, non circoscritto alla sola consegna delle chiavi, non si pone in insuperabile contrasto logico con la tesi secondo cui l’eccezione di avvenuta reintegra nel possesso era deducibile solo nel giudizio presupposto, avendo la Corte distrettuale inteso solo affermare che tale questione era comunque preclusa nel giudizio di opposizione.
3. Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1226,2059,2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si contesta che il giudice territoriale abbia liquidato il danno prendendo a riferimento il valore dell’imbarcazione o l’importo delle rate del leasing, mentre il resistente era mero utilizzatore del bene e in nessun caso poteva essere risarcito di un pregiudizio corrispondente alla perdita della proprietà.
Sarebbe carente anche la prova del pregiudizio, che non poteva considerarsi in re ipsa, e inoltre il giudice territoriale non avrebbe considerato, ai fini della liquidazione del quantum, l’avvenuta consegna delle chiavi e la scadenza del contratto di leasing nel corso del 2011, essendo a tale data cessata anche la facoltà di utilizzare l’imbarcazione ed essendo venuto meno ogni ulteriore pregiudizio. Il motivo è parzialmente fondato.
La sentenza ha liquidato l’importo di Euro 200.000,00 a titolo di risarcimento del danno per la perdita del possesso dell’imbarcazione, senza minimamente soffermarsi sulla prova di una perdita economica suscettibile di riparazione per equivalente e senza indicare quali elementi giustificassero, sotto tale profilo, l’accoglimento della domanda, né mostrando di ritenere che il pregiudizio fosse – anche solo presuntivamente – comprovato dagli elementi acquisiti o dovesse considerarsi in re ipsa.
Nel porre a carico del ricorrente l’obbligo di risarcire il danno, la Corte di merito ha inoltre mostrato di prescindere anche dagli accordi intercorsi tra le parti, che – nel regolamentare l’uso del bene avevano previsto il pagamento di Euro 120.000,00 annui in caso di spossessamento ai danni di uno degli aventi titolo ad utilizzare l’imbarcazione.
Avendo accolto la domanda risarcitoria senza accertare e dar conto di quali elementi comprovassero l’esistenza del pregiudizio lamentato dal resistente, la pronuncia è incorsa nel vizio denunciato.
Resta assorbita ogni altra contestazione riguardante la congruità dell’importo liquidato.
E’ quindi accolto il terzo motivo di ricorso, con declaratoria di inammissibilità delle altre due censure.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili le prime due censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021
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