LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16305/2015 proposto da:
Autostrada del Brennero S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Santo n. 68, presso lo studio dell’avvocato Letizia Massimo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolucci Francesco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CCPL – Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 87, presso lo studio dell’avvocato Colarizi Massimo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Coffrini Ermes, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2874/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.
lette le conclusioni scritte, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che chiede che la Corte di Cassazione rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2874/2014, depositata in data 6/5/2014, ha respinto due riunite impugnazioni, promosse, nel 2006, da Autostrade del Brennero spa, nei confronti di CCPL Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro società cooperativa, avverso il lodo arbitrale rituale depositato il 2/12/2005, accogliendo l’eccezione della resistente di inappellabilità del lodo, per effetto di espressa pattuizione nella clausola compromissoria (art. 8 della scrittura privata del 3/11/2000).
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la disposizione contrattuale (come ritrascritta: “…le parti convengono di deferire le controversie scaturenti dalla non collaudazione dell’opera così come dalla sua collaudazione con prescrizioni, dal mancato riconoscimento delle riserve espresse dall’impresa in corso di esecuzione e/o più complessivamente attinenti all’esecuzione dell’appalto indicato in premessa, nessuna esclusa, ad un collegio arbitrale composto da tre membri, nominati con le modalità di cui agli artt. 810 c.p.c. e segg.; essi decideranno senza vincolo di procedura inappellabilmente secondo diritto. Per quanto non espressamente disciplinato, si applicheranno le norme del codice di procedura civile, titolo VIII. Le parti rinunciano sin d’ora alla facoltà di escludere la competenza arbitrale”) prevedeva la volontà delle parti di conferire agli arbitri l’incarico di decidere secondo diritto e “inappellabilmente” e l’art. 829 c.p.c., nel testo ante Riforma del 2006, essendo stato depositato il lodo nel 2005, stabilisce che l’impugnazione per nullità, per inosservanza delle regole di diritto, è ammessa, salvo che le parti abbiano dichiarato il lodo non impugnabile; la distinzione, proposta dalla ricorrente, tra “non appellabilità” e “non impugnabilità” non era da condividere, essendo appello e impugnazione termini pressoché sinonimi, cosicché non poteva sostenersi che, laddove le parti avevano detto che il lodo era inappellabile, esse avessero voluto riferirsi a qualcosa di diverso dall’impugnazione dello stesso in Corte d’appello; né l’art. 829 c.p.c., doveva interpretarsi restrittivamente, pena, altrimenti, la violazione del diritto di difesa, atteso che il doppio grado di giudizio non è un principio generale tutelato costituzionalmente; in ogni caso, l’impugnazione era ammessa, ai sensi del comma 1, per i vizi indicati dai nn. 1 a 9 e comunque era ammesso il ricorso per saltum in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizi in procedendo, ma, nella specie, i vizi dedotti, nonostante il richiamo dell’art. 829 c.p.c., nn. 4 e 5, riguardavano tutti presunti errori di diritto ed anche in fatto, comunque sempre da ricondurre a errores in iudicando, con riferimento a ciascuno dei dodici motivi di impugnazione.
Avverso la suddetta pronuncia, Autostrade del Brennero spa propone ricorso per cassazione, notificato il 22-24/6/2015, affidato a quattro motivi, nei confronti di CCPL Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro società cooperativa (che resiste con controricorso notificato il 29/7/2015). Il PG ha depositato requisitoria scritta. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 828 e 829 c.p.c., per avere la Corte di merito interpretato la clausola arbitrale ed il limite di appellabilità ivi presente in senso estensivo, ricomprendendovi anche l’impugnazione per nullità del lodo; b) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 829 c.p.c., nonché, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza, non avendo la Corte d’appello tenuto conto del fatto che la norma invocata ammette l’impugnazione del lodo per nullità, per errores in procedendo, “nonostante qualunque rinuncia”; c) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 829 c.p.c., nonché, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione alla piena ammissibilità dell’impugnazione del lodo per vizio di contraddittorietà interna, essendosi dagli arbitri recepite acriticamente le conclusioni del CTU, false ed irragionevoli; d) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 829 c.p.c., nonché, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo, rappresentato dalla censura di nullità del lodo, perché assunto dolosamente in favore del CCPL.
2. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per sua tardività, sollevata dalla controricorrente, è infondata.
Nella specie, la sentenza impugnata, non notificata, è stata pubblicata il 6/5/2014 ed è stata resa nei giudizi riuniti nn. 1702/2006 e 2514/2006 (di conseguenza anteriori al 4/7/2009, data di operatività della Novella di cui alla L. n. 69 del 2009, in punto di riduzione a sei mesi del termine lungo di impugnazione); il ricorso per cassazione è stato notificato il 24/6/2015, con consegna all’ufficiale postale il 22/6/2015, entro il termine ultimo di un anno, maggiorato della sospensione feriale.
3. La prima censura è infondata.
Prima della Riforma del 2006, ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, delle disposizioni in materia di arbitrato, dell’art. 829 c.p.c., comma 2, prevedeva che l’impugnazione del lodo per violazione di regole di dritto fosse sempre ammessa, salvo che le parti avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero espressamente dichiarato il lodo non impugnabile. La Riforma del 2006 ha ribaltato tale impostazione, stabilendo, del nuovo art. 829 c.p.c., comma 3, che l’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto è ammessa solo se è espressamente prevista dalle parti o dalla legge ovvero tutte le volte in cui si è in presenza di controversie di lavoro o se la violazione concerne questione pregiudiziale su materia che non può formare oggetto di convenzione arbitrale. Oggi quindi – e quella che era un’eccezione è diventata la regola – qualunque controllo giurisdizionale sulla legittimità del lodo è precluso, quanto alla corretta applicazione delle norme di diritto sostanziale ed all’errore di diritto, salvo diversa volontà delle parti o imposizione da parte della legge.
Ora, come rilevato nella decisione impugnata, nella specie, opera il disposto dell’art. 829 c.p.c., comma 2, ante Riforma 2006 (“L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque rinuncia, nei casi seguenti: 1) se il compromesso è nullo; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nel capo primo e secondo di questo titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 3) se la sentenza è stata pronunciata da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’art. 812; 4) se la sentenza ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non ha pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso o contiene disposizioni contradittorie, salva la disposizione dell’art. 817; 5) se la sentenza non contiene i requisiti indicati dell’art. 823, nn. 3, 4, 5 e 6, o non è depositata entro il termine stabilito dall’art. 825; 6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine indicato nell’art. 820, salvo il disposto dell’art. 821; 7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte per i giudizi sotto pena di nullità, quando le parti ne avevano stabilita l’osservanza a norma dell’art. 816 e la nullità non è stata sanata. L’impugnazione di nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservate le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”), la ricorrente assume che l’espressione inappellabilmente” presente nella clausola compromissoria dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo e “costituzionalmente orientato”, così da non limitare un diritto costituzionalmente garantito.
Ora, l’equiparazione e sovrapponibilità dei termini non appellabile (utilizzato nella clausola compromissoria) e non impugnabile (utilizzato nel disposto normativo) è stata congruamente motivata. Giova poi rammentare che la natura del mezzo di impugnazione per nullità del lodo arbitrale ha rappresentato un tema tradizionalmente controverso, in relazione anche al susseguirsi degli interventi legislativi. Secondo un orientamento di questo giudizio di legittimità, espresso prima della Riforma dell’arbitrato del 1994 (con la quale si era accolta la tesi della natura negoziale dell’arbitrato), l’impugnazione per nullità del lodo rituale, è stata assimilata ad un giudizio di secondo grado, un appello, anche se “limitato” (Cass. 952/1992; Cassa 3586/1993; Cass. 5814/1999), in quanto ammessa soltanto per determinati “errores in procedendo” specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829 c.p.c., comma 2. Cosicché si è ritenuto che la denominazione impropria, ripetutamente usata, di “appello”, anziché di impugnazione per nullità del lodo, secondo la terminologia del codice di rito, non potesse avere alcuna concreta rilevanza ai fini della ammissibilità dell’atto di gravame (Cass. 5370/1997). Dopo la riforma del 2006, essendosi scelta l’equiparazione del lodo ad una sentenza del giudice togato, si è nuovamente inquadrato l’impugnazione per nullità nel giudizio di impugnazione.
Ora, la formulazione della clausola compromissoria risale al 2000 e l’espressione “inappellabilmente” può rappresentare un’eco del tradizionale orientamento che richiamava, per l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, il concetto di “appello limitato”.
La previsione contrattuale di inappellabilità non lede comunque il diritto di difesa, in quanto non è esclusa in assoluto ogni tipo di impugnazione, essendo consentita solo l’impugnazione per nullità del lodo per vizi in procedendo, vale a dire per l’impugnazione prevista dall’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 1-9 (Cass. 12543/2013), costituendo l’impugnazione per nullità per detti errori, come espressamente previsto sempre dell’art. 829 c.p.c., comma 1, un rimedio irrinunciabile (Cass. 4943/2001); sono invece inammissibili eventuali censure per inosservanza di regole di diritto (sostanziale), ai sensi del comma 2, o in generale per errores in iudicando, che non si traducano nell’inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di formare oggetto di compromesso.
Peraltro, la circostanza che il lodo sia stato dichiarato espressamente non appellabile, non consente di ravvisarne la ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., come ritenuto dalla Corte di merito (con necessità di correggerne la motivazione ex art. 384 c.p.c.), atteso che, per l’appunto, la previsione di non appellabilità vale soltanto a limitare la sfera delle nullità deducibili con l’impugnazione dinanzi al giudice competente, escludendo l’ipotesi di violazione delle regole di diritto, secondo il disposto dell’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo ante Riforma 2006. Questa Corte ha avuto occasione di precisare, al riguardo, che a seguito della previsione di non appellabilità la decisione arbitrale non si converte, ai fini del ricorso per cassazione, in sentenza pronunciata in unico grado, né può ritenersi definitiva, rimanendo sempre soggetta all’impugnazione per nullità per vizi in procedendo, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso per saltum in cassazione sia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., che dell’art. 111 Cost., (v. tra le altre Cass. n. 6555/1998; Cass. n. 3712/1978; Cass. n. 3322/1974; Cass. S.U. n. 3273/1972).
4. Le ulteriori censure oggetto del secondo e terzo motivo, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.
La Corte d’appello ha ritenuto che le doglianze mosse dalla Autostrade del Brennero al lodo non rientrassero in errores in procedendo, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 1-9, impugnazione per nullità questa irrinunciabile, vertendo su presunti errori di diritto o nella ricostruzione dei fatti e quindi riconducibili ad errores in iudicando, malgrado il richiamo anche dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.
Assume la ricorrente, nel riportare integralmente il contenuto del proprio atto di impugnazione del lodo, che le censure involgevano invece anche vizi “di violazione del contraddittorio – punto 9) dell’art. 829 c.p.c., vizi di mancata pronunzia del lodo – punti 10) e 12) dell’art. 829 c.p.c.; vizi per contenere il lodo statuizioni contraddittorie – punto 11) dell’art. 829 c.p.c.” (pag. 59-60 del ricorso) e vizio di contraddittorietà interna o radicale carenza di motivazione, ex art. 829 c.p.c., nn. 4 e 5, essendosi contestata l’irragionevolezza dell’iter argomentativo seguito dal Collegio arbitrale “in quanto completamente basato su una CTU, redatta dall’ormai celeberrimo ing. B.A…. con il coinvolgimento in Collegio dell’Avv. Cacnrini e dell’Avv. Vaiano, che hanno assunto l’incarico in patente situazione di conflitto di interessi”, tanto da appalesarsi il lodo “dolosamente” assunto.
Ora, per confutare la motivazione della decisione impugnata della Corte d’appello che ha esaminato, nel dettaglio, alle pagg. 5 e 6 (quanto al primo motivo di gravame, involgendo questioni di fatto o motivi di merito, quali la tardiva quantificazione della riserva n. 5, l’inesistenza di pretesi danni per mancata prova, o tipici errori di diritto, l’irrituale iscrizione della riserva 5 ad opera di soggetto non legittimato, l’errata applicazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 10, in relazione al capitolato speciale di appalto, nonché dell’art. 1227 c.c.; quanto al secondo motivo, sempre implicando questioni di fatto o errori di diritto, quali la tardiva quantificazione della riserva n. 2, la sua iscrizione ad opera di soggetto non legittimato, l’errata applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, in riferimento a rivalutazione ed interessi, l’apprezzamento di evento quale causa di fatto maggiore e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30; quanto al terzo motivo, in relazione alle censure relative alla riserva n. 3, reiterandosi questioni di merito o errori di diritto; quanto al quarto motivo, contestazioni sulla riserva n. 4 di identico tenore, formulati anche per relationem al primo motivo; quanto al quinto motivo, contestazioni sulle valutazioni del consulente recepite dal collegio arbitrale, in relazione al ritardo del collaudo ed all’addebitabilità all’impresa; ed a seguire gli ulteriori motivi, denuncianti o errori di diritto o errori di valutazione del CTU), tutti i dodici motivi di nullità del lodo proposti, ravvisandovi vizi attinenti o a questioni di fatto e/o tipici errori di diritto, malgrado la rubricazione con riferimento all’art. 829 c.p.c., comma 2, nn. 4, 5, la ricorrente, secondo una tecnica di redazione ad assemblaggio, ha riprodotto integralmente il contenuto del proprio atto di impugnazione alle pagg. 18-54, affermando che, difformemente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, dette doglianze atterrebbero ad errores in procedendo, quali i vizi di violazione del contraddittorio, omessa pronuncia o statuizioni illogiche e contraddittorie. Per ogni motivo dell’originaria impugnazione del lodo, integralmente trascritto, in note, vi sono poi parti espositive in premessa, rivolte ad esplicare le contestazioni mosse al collegio arbitrale ma non anche le ragioni di diritto espresse dalla Corte d’appello. Nel terzo motivo di ricorso per cassazione, poi, si rileva un vizio di omessa motivazione della decisione qui impugnata in ordine a quella che era la “censura complessiva” mossa al lodo, di radicale inadeguatezza dell’iter motivazionale, “viziato da una C.T.U. palesemente falsa”.
Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 5698/2012) ha da tempo chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali e’, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso” (nella specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso articolato con la tecnica dell’assemblaggio, mediante riproduzione integrale in caratteri minuscoli di una serie di atti processuali: sentenza di primo grado, comparsa di risposta in appello, comparsa successiva alla riassunzione a seguito dell’interruzione, sentenza d’appello ove mancava del tutto il momento di sintesi funzionale, mentre l’illustrazione dei motivi non consentiva di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi stessi; conf. Cass. 17168/2012; Cass. 10244/2013; Cass. 3385/2016; Cass. 8245/2018).
Il presente ricorso, con riferimento specifico a tali due doglianze centrali, non consente quindi, anzitutto, di individuare in maniera chiara le specifiche censure formulate contro le puntuali argomentazioni della sentenza impugnata riferite a ciascuno dei motivi di impugnazione del lodo proposti. Ne’ può essere utilizzata allo scopo la memoria ex art. 378 c.p.c., avente mera valenza illustrativa delle difese già svolte.
5. A prescindere dalla suddetta inammissibilità, derivante dalla costruzione complessiva del ricorso, le censure risultano, in ogni caso, inammissibili nel merito.
Questa Corte ha da tempo chiarito che, con riguardo ai casi d’impugnazione del lodo previsti dall’art. 829 c.p.c., la deduzione concernente, l’applicazione di regole di diritto sostanziale si risolve, nonostante la contraria qualificazione del deducente, nella denuncia di un error in iudicando e non in procedendo (Cass. SU 1112/1981). Così si è ritenuta inammissibile impugnazione per nullità del lodo arbitrale ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, ante 2006, ammessa solo per gli errori in procedendo, laddove volta in realtà a fare valere errori di valutazione nello apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. 3725/1985), atteso che la rivalutazione dei fatti e delle prove è rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri e non può essere riesaminata dal giudice ordinario (Cass. 9063/1994).
Si deve inoltre richiamare il costante e consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo,contenuto sostanziale (fra molte, Cass. nn. 3012/2010, 19331/07, 23819/07).
Inoltre, occorre, altresì, rimarcare che, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, questa Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata, nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e ai vizi motivazionali, nelle ipotesi di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella specie ratione temporis.
E proprio in relazione al giudizio, a critica vincolata e proponibile entro i limiti stabiliti dall’art. 829 c.p.c., di impugnazione per nullità del “lodo arbitrale, è stata costantemente evidenziata l’importanza della “regola della specificità della formulazione dei motivi, attesa la sua natura rescindente e la necessità di consentire al giudice, ed alla controparte, di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma, mentre, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza conclusiva di quel giudizio, il sindacato di legittimità, diretto a controllarne l’adeguata e corretta sua giustificazione in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, va condotto soltanto attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione stessa”, cosicché le censure proposte in cassazione non possono esaurirsi nel richiamo a principi di diritto, con invito a controllarne l’osservanza da parte degli arbitri e della corte territoriale, ma “esigono un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi per cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi, nonché l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, ché precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito” (Cass. 23675/2013; Cass. 27321/2020).
La Corte d’appello ha argomentatamente rilevato che tutte le doglianze mosse in sede di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, esaminate analiticamente, involgessero, in realtà, errori di diritto o questioni di merito e quindi non fossero ammissibili, attesa l’espressa volontà delle parti in sede di clausola compromissoria di non impugnabilità del lodo, non rientrando nella specifica tipologia degli errores in procedendo, malgrado quanto indicato dalla parte nella rubrica di ciascun motivo.
6. Il quarto motivo, inerente a vizio di omessa pronuncia sulla censura “più volte” prospettata di “nullità del lodo per essere stato dolosamente assunto in ricercato favor dell’impresa CCPL”, stante la “smaccata ed immotivata preferenza mostrata dal CTU e dal Collegio arbitrale nei confronti di CCPL”, è inammissibile, in quanto del tutto generico ed involgente questione del tutto nuova.
Peraltro, si denuncia un vizio di omessa pronuncia che presuppone un’autonoma e distinta doglianza sul punto, mentre, come si evince dal presente ricorso per cassazione, nel corpo di alcuno dei motivi di impugnazione del lodo, si prospettava, al più, che i vizi in diritto contestati fossero “talmente macroscopici da appalesare all’evidenza il dolo del Collegio in associazione al CTU” (come da nota 13, sub II motivo, pag. 34 del presente ricorso; vedasi anche: pag. 33 in merito al primo motivo di impugnazione del lodo, pag. 47 in ordine al 6 motivo, pag. 50 in riferimento all’ottavo motivo, ovvero pag. 53, in relazione al decimo motivo).
Anche in memoria, la ricorrente deduce, del tutto genericamente, di avere, immediatamente rappresentato “in giudizio” le circostanze relative a diverse condanne penali del CTU, Ing. B.A..
6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, per il ricorso, ove dovuto, a norma 1 bis dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021
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