Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.437 del 13/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16626-2017 proposto da:

N.P., S.A., T.R., SO.PR., tutti domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3957/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza in data 5 luglio 2016 n. 3957 la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto le domande proposte da N.P., S.A., T.R. e SO.PR., Vigili Urbani in servizio presso il Comando di Polizia Municipale del COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, per l’accertamento del diritto alla fornitura dei capi di vestiario e per la condanna del COMUNE, rimasto inadempiente, al pagamento dell’indennità sostitutiva, parametrata al valore di acquisto dei capi di vestiario non forniti nonchè al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale.

2. La Corte territoriale premetteva che il Comune aveva in realtà provveduto alla fornitura delle uniformi, sia pure in ritardo rispetto a quanto previsto (e precisamente la massa vestiaria invernale del biennio 2004/2005 nel novembre 2005 e la massa vestiaria estiva del biennio 2006/2007 nel giugno 2008).

3. Osservava che, pur sussistendo l’obbligo del COMUNE di fornire la massa vestiaria, non poteva dirsi sussistere automaticamente il diritto alla indennità di vestiario in caso di mancata fornitura, indennità che non era prevista nè dalla legge nè dalla contrattazione collettiva nè da atti dell’ente datore di lavoro.

4. Quanto ai danni, come già ritenuto dal primo giudice, sussisteva totale difetto di allegazione e prova in ordine al nocumento subito dei ricorrenti per lo slittamento della fornitura.

5. Non risultava allegato nè provato l’acquisto del vestiario sostitutivo da parte dei dipendenti; parimenti, quanto al danno non patrimoniale, le allegazioni erano generiche e svincolate da qualsiasi dato fattuale che le ancorasse alla situazione soggettiva dei ricorrenti mentre i danni non patrimoniali non potevano essere risarciti in re ipsa.

6. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza N.P., S.A., T.R. e SO.PR., affidato a tre motivi, cui il Comune di San Giorgio a Cremano non ha opposto difese.

7. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità conseguente alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e addebitano alla Corte territoriale di avere pronunciato su una domanda diversa da quella proposta perchè, stante l’inadempimento del Comune, erano stati richiesti il pagamento dell’indennità sostitutiva della fornitura dei capi di vestiario ed il risarcimento del danno, non già il rimborso delle spese di acquisto delle uniformi;

2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1223 c.c. e fa leva sull’inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il diritto degli appellanti al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita;

3.11 terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto. I ricorrenti aggiungono che l’inadempimento del Comune li aveva costretti ad indossare una divisa “già vecchia” e, pertanto, il danno non patrimoniale era da ritenere in re ipsa.

4. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni già indicate da questa Corte con l’ordinanza n. 21986/2018, pronunciata in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella che oggi viene in rilievo.

5. Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata che, come evidenziato nello storico di lite, ha inteso la domanda proprio nei termini indicati nel ricorso, ed ha poi svolto considerazioni sull’infondatezza della stessa, argomentando sia sulla natura non retributiva dell’indennità rivendicata, sia sull’insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile.

6. il rigetto dell’appello non si riferisce, come sostengono i ricorrenti, ad una domanda di rimborso mai formulata, sicchè non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il richiamo alla spesa mai sostenuta attiene alle ragioni per le quali la pretesa risarcitoria è stata ritenuta non meritevole di accoglimento;

7. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata dagli stessi ricorrenti, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri (Cass. n. 4100/1995) o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore (Cass. n. 23897/2008);

8. Alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perchè l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016), onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie;

9. Il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perchè al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma è una conseguenza dello stesso (Cass. n. 31537/2018);

10. Non vi è luogo a provvedere sulle spese non avendo il COMUNE intimato svolto attività difensiva;

11. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472