Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.469 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23550-2019 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentata e difesa dagli avvocati ERNESTO MARIA CIRILLO, FRANCESCO CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 323/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 323 pubblicata il 6.2.2019, in accoglimento dell’appello di M.A. e in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’opposizione proposta da Telecom Italia spa avverso il decreto ingiuntivo n. 1273/2016 emesso dal Tribunale di Napoli su ricorso della M. per il pagamento della retribuzione del mese di maggio 2016;

2. la Corte territoriale ha premesso che con sentenza n. 25887/2009 del Tribunale di Napoli, in giudicato dal 16.8.16, era stata dichiarata l’illegittimità della cessione del rapporto di lavoro della M. da Telecom Italia spa a CEVA Logistic spa (già TNT Logistic Italia spa), con condanna della cedente al ripristino del rapporto alle proprie dipendenze; che la lavoratrice aveva continuato a lavorare presso la cessionaria da cui era stata licenziata; che la stessa aveva impugnato il licenziamento intimatole da CEVA Logistic ottenendo una sentenza favorevole ed aveva poi concluso con la cessionaria un accordo transattivo;

3. la Corte di merito ha qualificato come risarcitoria la domanda proposta dalla lavoratrice in quanto derivante dalla mora credendi della cedente;

4. avverso tale sentenza Telecom Italia spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso M.A.;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

6. col primo motivo di ricorso Telecom Italia s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1406,2112 e 2126 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevanti ai fini del presente giudizio le vicende (licenziamento e transazione) che hanno riguardato il rapporto tra la lavoratrice e la società cessionaria;

7. ha sostenuto che, ove sia ritenuta illegittima la cessione di azienda e si configuri una cessione del contratto ex art. 1406 c.c. senza consenso del contraente ceduto e, pertanto, inefficace, non si realizza comunque una duplicazione dei rapporti giuridici; con la conseguenza che il rapporto di lavoro col cessionario non costituisce un nuovo e distinto rapporto rispetto a quello intercorso col cedente ma si tratta del medesimo rapporto originario proseguito di fatto (cioè in base ad una illegittima cessione di azienda) col cessionario, come peraltro affermato nelle sentenze di legittimità n. 6755 del 2015, n. 9803 del 2015;

8. sul rilievo che il rapporto di lavoro della M. con Ceva Logistic spa era lo stesso rapporto già intrattenuto con Telecom Italia spa, la società ricorrente ha osservato come tale unitario rapporto, una volto risolto per volontà della lavoratrice, non potesse più essere ricostituito e pertanto non potesse trovare accoglimento la domanda, proposta verso Telecom Italia spa, di pagamento della retribuzione del mese di maggio 2016, epoca in cui la predetta non era più dipendente di Ceva Logistic spa a causa della risoluzione dell’unico rapporto di lavoro;

9. col secondo motivo di ricorso Telecom Italia spa ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c. nella parte in cui la sentenza non ha rilevato l’assenza di danno differenziale in ragione dell’incentivo all’esodo ricevuto dalla M. e non ha ritenuto deducibili a titolo di aliunde perceptum le somme dalla medesima percepite;

10. ha sostenuto che la lavoratrice ha percepito un incentivo all’esodo in occasione dell’accordo conciliativo con la cessionaria e che tale utilità ha potuto ottenere solo grazie alla cessione di ramo d’azienda, ancorchè ritenuta illegittima, con conseguente computabilità dell’incentivo nell’aliunde perceptum; analoghe considerazioni ha svolto quanto alla detraibilità dell’indennità di mobilità, su cui la Corte di merito non si è pronunciata, rilevando come non potesse invocarsi la giurisprudenza (Cass. n. 4146 del 2011) che esclude la computabilità nell’aliunde delle somme erogate a titolo previdenziale in quanto relativa alla diversa ipotesi di annullamento del licenziamento illegittimo, mentre nel caso di specie si è di fronte all’asserito inadempimento della cedente alla ricostituzione del rapporto;

11. il primo motivo di ricorso è infondato;

12. occorre premettere che la sentenza dichiarativa della illegittimità della cessione del ramo di azienda da Telecom Italia spa a TNT Logistic (poi CEVA Logistic spa) risale al 2009, ad epoca quindi anteriore alla risoluzione del rapporto di lavoro della M. con Ceva Logistic, avvenuta con l’accordo conciliativo del 2014;

13. le argomentazioni dell’odierna ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese da precedenti pronunce di questa Corte, a cui si intende dare continuità;

14. si è più volte precisato come soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che l’unicità del rapporto venga meno qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare. D’altro canto, è insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l’unicità del rapporto presupponga la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c.. Al contrario, ove sia accertata l’invalidità della cessione, il rapporto con il destinatario della stessa deve considerarsi instaurato in via di mero fatto e le vicende risolutive di quest’ultimo rapporto non possono ritenersi idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente. In sintesi, il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (cfr. Cass. 3 luglio 2019 n. 17784; 28 febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario);

15. la sopravvivenza de iure del rapporto di lavoro con la società cedente, rende tale rapporto insensibile alle vicende anche estintive del distinto rapporto di lavoro instaurato di fatto col cessionario;

16. l’orientamento appena richiamato, assolutamente prevalente e tale da far ritenere superate le diverse statuizioni di cui alle sentenze n. 6755 e n. 9803 del 2015 invocate dalla società ricorrente, conduce al rigetto del primo motivo di ricorso;

17. il secondo motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui fa riferimento alla indennità di mobilità in quanto non indica come e in quali atti processuali, che sarebbe stato necessario trascrivere, la società abbia allegato la percezione da parte della lavoratrice di tale prestazione ed eccepito la rilevanza della stessa ai fini dell’aliunde perceptum, atteso che di essa non si fa cenno nella sentenza impugnata;

18. la censura è, peraltro, infondata atteso che la condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha costantemente escluso la compensatio lucri cum damno in ipotesi di trattamenti previdenziali che presuppongono lo stato di disoccupazione; difatti, una volta accertato o ricostituito il rapporto di lavoro in via giudiziale tali erogazioni non sono sorrette da alcun titolo giustificativo e sono pertanto suscettibili di ripetizione da parte dell’ente erogatore (Cass. n. 17784 del 2019; n. 10164 del 2010; n. 2928 del 2005);

19. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;

20. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

21. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati Ernesto Maria Cirillo e Francesco Cirillo, antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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