LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3540/2019 R.G. proposto da:
Mediocredito Italiano S.p.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Graziella Ferraroni dall’Avv. Benedetto Gargani, con domicilio eletto presso del secondo in Roma, Viale Villa Grazioli, n. 15;
– ricorrente –
contro
Comune di Casal Velino, rappresentato e difeso dall’Avv. Bartolo De Vita, con domicilio eletto in Roma, Piazza S. Bernardo, n. 101, presso lo studio dell’Avv. Annunziata Abbinente;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 3084/2018, depositata il 21 giugno 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. Il Comune di Casal Velino convenne in giudizio avanti il Tribunale di Milano la società Centro Factoring S.p.A. (oggi Mediocredito Italiano S.p.A.) chiedendo accertarsi l’insussistenza del credito da questa vantato, quale cessionaria di Edison Energia S.p.A., in dipendenza di contratto di somministrazione di energia elettrica intercorso tra quest’ultima e l’ente locale.
La convenuta eccepì il difetto di capacità processuale in capo al Sindaco, poichè non provvisto di specifica Delib. autorizzativa della Giunta comunale, e la propria carenza di legittimazione passiva, per essere la domanda riferita a fatture diverse da quelle oggetto di cessione.
In parziale accoglimento della domanda il Tribunale dichiarò non dovuto il pagamento della somma di Euro 76.842,50 (ritenendo, in sintesi, che, per il contrasto tra le fatture prodotte, relative al medesimo periodo ed alla stessa causale, difettasse sufficiente prova del relativo credito) e condannò il Comune a versare l’importo di Euro 735.
2. La Corte d’appello ha confermato tale decisione, rilevando:
– quanto alla reiterata eccezione di difetto di capacità processuale in capo al Sindaco, che: a) secondo il preferibile orientamento della giurisprudenza, la rappresentanza processuale spetta istituzionalmente al Sindaco, in mancanza di espressa disposizione statutaria che richieda l’autorizzazione della Giunta, l’onere della cui prova incombe sulla parte interessata; b) nella specie tale prova non era stata tempestivamente offerta dalla società convenuta, essendo stato prodotto, lo statuto, soltanto in grado d’appello; c) in ogni caso, anche a ritenere il Sindaco carente di legitimatio ad processum, il vizio “osterebbe all’accoglimento della domanda di accertamento negativo del Comune, ma non anche a ritenere legittima la sua resistenza in giudizio a fronte della domanda riconvenzionale”;
– quanto alla pure riproposta eccezione di difetto di legittimazione passiva e di indeterminatezza dell’atto di citazione, che: tale ultimo vizio non era nella specie ravvisabile “essendo stati rispettati tutti i requisiti minimi prescritti dalla legge ed essendo chiara la volontà del Comune di contestare come inadempiente e contraria a buona fede la condotta tenuta da Edison Energia, cessionaria (recte: cedente) di alcuni crediti a Centro Factoring”; le fatture in concreto cedute non potevano considerarsi introdotte “ex novo ed ex abrupto” in sede processuale con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., n. 1, in quanto le stesse risultavano già citate e altresì sufficientemente indicate nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado; “il Comune aveva infatti allegato all’atto di citazione un documento (doc. 20) che recava il numero delle fatture cedute, la data di emissione e di scadenza e il relativo importo, estremi questi tutti sufficienti all’identificazione delle stesse e della pretesa attorea”;
– quanto infine al merito della controversia, che: “come già evidenziato dal primo giudice, l’importo di Euro 76.842,50 (ritenuto dovuto da parte appellante in forza della fattura n. ***** emessa in data ***** e ceduta da Edison Energia a Mediocredito, cfr. doc. 6 appellante), manifesta una pretesa in aperto contrasto con altra e precedente fattura (*****), emessa – a credito – da Edison Energia (doc. 10 appellato)”; pertanto, “posto che le due fatture recano il medesimo indirizzo di fornitura (“*****”), il medesimo POD (n. *****), il medesimo periodo di riferimento (“*****”) e soprattutto la medesima indicazione descrittiva/causale (“chiusura contratto”)”, “fondatamente il Comune (aveva) opposto al cessionario Mediocredito l’esistenza della prima fattura come elemento rappresentativo di un proprio credito verso Edison, opponibile anche al cessionario, in quanto proveniente dallo stesso cedente, o comunque come elemento idoneo a privare della necessaria univocità e forza il credito asseritamente portato dalla seconda fattura, azionata da Mediocredito”.
3. Avverso tale sentenza Mediocredito Italiano S.p.A. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste il Comune intimato, depositando controricorso.
4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione T.U. n. 267 del 2000, artt. 48 e 50 – artt. 75 e 182 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 113 c.p.c. – in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – difetto di motivazione per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove – violazione art. 132 c.p.c. – insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia”, in relazione al rigetto della reiterata preliminare eccezione di difetto di legittimazione attiva e di capacità processuale.
Afferma che “la sentenza è errata in ordine all’onere della prova in quanto la prova della carenza di legittimazione era agli atti fin dall’origine del processo”, essendo documentato che il Sindaco avesse agito in forza della Delib. n. 199 del 2011 con la quale la Giunta comunale ne aveva delimitato in modo preciso i poteri con riferimento a fatture diverse da quelle cedute.
Sostiene che tale delibera, per un verso, prova la necessità di autorizzazione a stare in giudizio e, per l’altro, dimostra che, mancando in essa l’incarico ad agire in ordine alle fatture oggetto di cessione, mai contestate, tale autorizzazione non sussisteva.
Con riferimento poi al subordinato rilievo secondo il quale il Sindaco poteva comunque legittimamente avocare a sè il potere di resistere alla domanda riconvenzionale, osserva che: la Corte d’appello ha, a tal fine, fatto riferimento, contraddittoriamente, allo statuto comunale, pur ritenuto tardivamente prodotto ai fini della declaratoria di carenza di legittimazione; nella specie si trattava comunque di domanda volta all’accertamento negativo del credito; nessun provvedimento sindacale di avocazione risultava agli atti, nè era stata dedotta e provata l’urgenza che tale avocazione avrebbe in ipotesi consentito.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione artt. 164 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia”.
Lamenta che il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto che: a) il solo richiamo in citazione della cessione di alcune fatture a Centro Factoring, senza alcuna censura in ordine alle stesse (le uniche contestazioni svolte in citazione riguardando esclusivamente crediti della Edison, non ceduti), fosse sufficiente per ritenere valido l’atto di citazione; b) la contestazione delle fatture oggetto di cessione, per la prima volta operata nella memoria ex art. 183 c.p.c., costituisse mera specificazione della domanda introduttiva.
Sostiene che tale assunto è in palese violazione dell’art. 163 c.p.c., circa l’obbligo, presidiato da nullità ex art. 164 cod. proc., di indicare nell’atto di citazione petitum e causa petendi, e dell’art. 183 c.p.c., che consente il deposito di memoria al solo scopo di precisare la domanda e non consente l’introduzione di nuovi elementi di fatto e di diritto.
Rileva inoltre che le fatture cedute, oggetto di rituale notifica, erano ben note al Comune, non potendosi pertanto ritenere che la loro contestazione nella memoria ex art. 183 c.p.c. fosse giustificata dalla loro produzione con la comparsa di costituzione.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, infine, “violazione e falsa applicazione norme in materia di compensazione crediti/debiti – violazione e falsa applicazione artt. 1241 e 1243 c.c. – violazione e falsa applicazione norme in materia di onere della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia”.
Sulla premessa che “la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado non più in forza di un valore confessorio di una fattura, bensì operando la compensazione fra due fatture aventi segno opposto, una ceduta e una no, e quindi ritenuto compensato il credito vantato da Mediocredito con la fattura non ceduta di segno negativo”, rileva che il preteso controcredito era però oggetto di contestazione in separata causa tra il Comune e la Edison – la quale, in forza di fatture non cedute, vantava nei confronti del primo un credito di Euro 116.525,08 – e che pertanto la Corte di merito, omettendo di considerare quest’ultimo, ha operato “una inammissibile sorta di parcellizzazione, estrapolando una fattura con segno negativo pur in presenza di un complesso di fatture di segno positivo con credito – sia pure litigioso e contestato – di Edison… verso il Comune ed operato la compensazione fra due fatture”, senza che ne ricorressero i presupposti.
Rileva al riguardo che il Comune non ha provato il preteso fatto estintivo del controcredito, così venendo meno anche all’obbligo imposto con Circolare del M.E.F., circa le modalità di attuazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 48-bis secondo cui la P.A., cui sia stata notificata una cessione di credito dovrà accertare, ai fini dell’accettazione della medesima, la “non inadempienza” dell’azienda ceduta.
Rimarca ancora che, nella specie, è pacifico che l’energia elettrica sia stata fornita.
4. Il primo motivo è inammissibile, sotto diversi profili.
4.1. Lo è anzitutto per inosservanza dell’onere di specifica indicazione del documento sul quale esso è fondato (Delib. di Giunta n. 199 del 2011), in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
Le censure si fondano, in parte, su tale Delib., che non viene però riprodotta nel suo contenuto, nè ne viene indicata la specifica collocazione nel fascicolo processuale, salvo che con l’indicazione del suo inserimento in quello di primo grado, mentre è invece necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
4.2. Palesemente inammissibili le doglianze di vizio motivazionale, poichè dedotte secondo ipotesi censoria (quella della insufficiente o contraddittoria motivazione) non più compresa nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e, prima ancora, poichè riferite a questione di carattere processuale, essendo noto che in tema di vizi del procedimento, l’accertamento demandato alla Corte di cassazione deve consistere unicamente nella verifica del rispetto, da parte del giudice di merito, della legge processuale, a nulla rilevando se e come egli abbia motivato la propria decisione, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. ex multis Cass. 31/07/2012, n. 13683; 21/04/2016, n. 8069).
4.3. Per la stessa ragione non può trovare ingresso, con riferimento alla questione in oggetto, la pure dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c..
4.4. L’inammissibilità, infine, è predicabile anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte d’appello deciso, sulla preliminare questione dibattuta, “in modo conforme alla giurisprudenza della Corte”, senza che gli argomenti censori offrano elementi per discostarsene.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, invero, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione (Cass. 10/06/2010, n. 13968; 15/02/2019, n. 4583; v. anche da ultimo Cass. 30/12/2019, n. 34599).
Secondo la ricorrente tale principio sarebbe stato malamente applicato nella fattispecie poichè, in realtà, la prova della carenza di legittimazione ad processum “era agli atti fin dall’origine del processo”.
Trattasi, però, di censura inconferente, atteso che la limitazione alla rappresentanza processuale del sindaco, da ritenersi in via di principio, potrebbe ricavarsi non da una specifica Delib. Giunta ma dallo Statuto comunale, che nella specie, secondo accertamento non fatto segno di specifica critica, non è stato tempestivamente prodotto.
Resta conseguentemente assorbito l’esame della critica riferita all’ulteriore argomento speso in sentenza (circa la legittimazione del sindaco, comunque, anche in presenza della eccepita deroga statutaria), atteso il suo carattere subordinato e meramente aggiuntivo.
5. Il secondo motivo è parimenti inammissibile, per analoghe ragioni.
E’ in tal senso assorbente il rilievo della inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti richiamati (atto di citazione introduttivo e memoria ex art. 183 c.p.c.), in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
Occorre rammentare al riguardo che, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, anche la proposizione dei motivi di ricorso con cui si denuncia error in procedendo – e tale è certamente, in tesi, il vizio denunciato, al di là dell’ininfluente erroneo riferimento alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, ai nn. 3 e 5, anzichè al n. 4 (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) – “resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte”.
Nemmeno in tal caso viene meno, infatti, “l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, … sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077, con riferimento a fattispecie non ancora soggetta all’applicazione delle novellate norme sopra citate; v. anche ex multis Cass. 29/09/2017, n. 22880; 20/07/2012, n. 12664; 20/09/2006, n. 20405).
Nel caso di specie la ricorrente omette di riprodurre il contenuto degli atti richiamati, nè viene specificamente indicata la loro collocazione nell’incartamento processuale, quale formato ai fini del presente giudizio di legittimità.
6. E’ infine inammissibile anche il terzo motivo.
Al di là dell’inammissibile riferimento, anche per esso, a paradigma censorio non più consentito per il vizio motivazionale, è assorbente il rilievo che la censura, nel suo nucleo di fondo, ruota attorno a questione (quello del rispetto dei presupposti per la compensazione giudiziale di contrapposti crediti) che non risulta esaminata nel giudizio di appello, ed estranea altresì alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, a ben vedere, conformemente del resto a quella di primo grado, muove piuttosto dal diverso rilievo della inidoneità di una delle fatture cedute e dimostrare il credito da essa portata, in quanto contraddetta da altra fattura emessa per la stessa causale e con riferimento allo stesso periodo: argomento, dunque, che si muove sul piano processuale della efficacia probatoria del documento posto a base della pretesa e non su quello sostanziale della estinzione del credito medesimo per compensazione.
7. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021
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