LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3568/2019 R.G. proposto da:
C.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Debora Magrini Pasquinelli;
– ricorrente –
contro
L. & C. S.a.s., di Ba. Fe., Fa. e Fr., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Maurizio Discepolo e Barbara Schiadà;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 318/2018, depositata il 4 settembre 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13/5/2016 il Tribunale di Ancona ha dichiarato estinto, per mancata riassunzione nel termine prescritto, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da C.C. (ingiunto) nei confronti della L. & C. S.a.s. di Ba. Fe.g, Fa. e Fr. (ingiungente), il quale era stato sospeso, ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio pregiudiziale intercorso tra le medesime parti e definito con ordinanza della Corte di cassazione n. 60 del 7/1/2016.
2. La Corte d’appello di Ancona ha confermato tale ordinanza, respingendo l’appello interposto dal C., sul rilievo che (per quanto ancora in questa sede interessa): la cessazione della causa di sospensione era nota alla parte interessata per esserle stato notificato, nel domicilio eletto presso il procuratore domiciliatario, l’avviso di deposito dell’ordinanza della Corte di cassazione, riportante il dispositivo; doveva ritenersi pertanto provata la conoscenza legale in capo all’appellante della cessazione della causa di sospensione, non potendo di contro rilevare il fatto che il predetto avesse partecipato al giudizio pregiudiziale quale socio accomandatario della C.C. & C. s.a.s., non potendo configurarsi “una dicotomia in ragione della diversa veste giuridica assunta dalla medesima persona del giudizio pregiudiziale e nel giudizio sospeso”.
3. Avverso tale sentenza C.C. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’intimata deposita “atto di costituzione nel giudizio… per partecipare alla discussione orale in udienza ex art. 370 c.p.c. al fine di ottenere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato nel merito per infondatezza delle motivazioni in diritto”.
4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101,295 e 305 c.p.c.; “violazione del contraddittorio in relazione alla fase avanti il Tribunale di Ancona che si è definita con ordinanza di estinzione del 13/5/2016”.
Lamenta che il Tribunale, ricevuta l’istanza, fuori udienza, volta alla declaratoria di estinzione del giudizio per mancata riassunzione, ha erroneamente emesso l’ordinanza di estinzione, inaudita altera parte, in violazione del principio del contraddittorio.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 295,303 e 305 c.p.c., “con conseguente nullità dell’ordinanza di estinzione emessa dal Tribunale di Ancona il 13/5/2016 per difetto di comunicazione e/o notificazione della definizione del processo pregiudicante”.
Premesso che del giudizio pregiudiziale erano parti la C.C. s.a.s. e C.C., nella qualità di socio accomandatario, e che l’ordinanza in esso resa dalla Suprema Corte, n. 60 del 2016, venne notificata all’Avv. Giuliano Pierpaoli quale difensore dei predetti, mentre C.C. in proprio, non essendo parte di quel giudizio, non ne ricevette alcuna notifica o comunicazione; ciò premesso, deduce che “essendo C.C. in proprio figura completamente diversa da C.C. quale socio accomandatario della C. s.a.s., onde far decorrere i termini di cui all’art. 305 c.p.c. l’ordinanza n. 60 del 2016 si sarebbe dovuta notificare al predetto C.C. in proprio” presso lo studio del suo procuratore domiciliatario (nel giudizio dipendente) e che, non essendo ciò avvenuto, i termini per la riassunzione non potevano considerarsi decorsi.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo del giudizio”, in relazione “all’eccezione di carenza di legittimazione passiva in capo al signor C.C. in proprio”.
Rileva che il decreto ingiuntivo opposto era stato richiesto e ottenuto per presunti crediti vantati dalla L. & C. S.a.s. nei confronti della C. s.a.s. in dipendenza di contratto di affitto di azienda, rispetto ai quali egli, destinatario “in proprio” della relativa notifica, difettava pertanto di legittimazione passiva.
Lamenta che sulla relativa eccezione la sentenza gravata ha omesso ogni decisione.
4. Il primo motivo è inammissibile.
E’ assorbente in tal senso il rilievo – in disparte il pur preliminare rilievo della evidente inosservanza, per esso, degli oneri di specifica indicazione degli atti richiamati, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 – che la nullità dell’ordinanza di estinzione del giudizio (poichè, secondo l’assunto del ricorrente emessa inaudita altera parte, in accoglimento di istanza proposta fuori udienza dall’opposta e senza la previa rituale riassunzione del giudizio), non risulta dedotta tra i motivi di gravame e, per il principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), la sua deduzione, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, deve ritenersi preclusa dal giudicato formatosi, sotto tale profilo, sulla decisione di primo grado.
Si rammenti in proposito che “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (v. ex multis Cass. 24/01/2019, n. 2038).
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che, ai fini della valutazione della acquisizione di conoscenza legale del passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia pregiudicante (dies a quo per la riassunzione ai sensi dell’art. 297 c.p.c., comma 1, nel testo risultante a seguito della pronuncia di Corte Cost. n. 34 del 1970), ben potesse ritenersi idonea la comunicazione del dispositivo della ordinanza della Corte di cassazione che quell’effetto aveva determinato nei confronti del C., benchè in quella sede (causa pregiudiziale) questo fosse costituito non “in proprio” ma nella veste di socio accomandatario.
L’identità del soggetto, persona fisica, destinatario di quella comunicazione, con quello interessato alla riassunzione del processo sospeso, non può essere posta in dubbio, dovendo ritenersi del tutto irrilevante ai fini in discorso che alla sua indicazione si unisca, nel giudizio pregiudiziale, quella della qualità spesa di socio accomandatario di s.a.s..
Tale specificazione può infatti aver rilievo soltanto ai fini della individuazione del contenuto e delle ragioni delle domande o eccezioni svolte in quel giudizio, ma non anche nel senso di avallare una inconcepibile dissociazione degli effetti della comunicazione ad esso diretta.
Si consideri del resto che, alla stregua delle indicazioni offerte dallo stesso ricorrente, la partecipazione del C., nel giudizio pregiudiziale, era espressamente affiancata a quella della società in accomandita semplice da lui rappresentata, da ciò dovendosi desumere che di quel giudizio egli era parte non nella semplice veste di rappresentante ex lege di tale ultima società (con la conseguenza che parte sostanziale di quel giudizio dovesse ritenersi la sola società), ma anche quale persona fisica coinvolta nella controversia per la illimitata responsabilità che quella veste comportava per le obbligazioni contratte dalla società; in tal senso, pertanto, quella indicazione non valeva certo a individuare un soggetto giuridico, nè un centro d’imputazione di effetti giuridici, diversi da quello rappresentato dalla persona fisica che tale qualità rivestiva.
In altre parole, posto che il C. era in quel giudizio parte diversa e affiancata alla società da lui rappresentata, la specificazione della sua qualità valeva solo a indicare la ragione del suo coinvolgimento nella controversia a latere e quale soggetto distinto dalla società (ragione data per l’appunto dalla responsaiblità illimitata che quella veste comporta, per il socio stesso, in proprio, per i debiti sociali), ma non certo a configurare un soggetto giuridico distinto, da un lato, dalla società e, dall’altro dalla persona fisica che ad essa partecipa quale socio.
Ciò detto, resta poi, a fortiori, del tutto irrilevante la circostanza che, nel giudizio sospeso, nel quale pure si verifica la distinta partecipazione – oltre che del C. “in proprio”, anche – della s.a.s. e del C. come socio accomandatario, questi fosse domiciliato, da un lato, nella predetta veste di socio accomandatario, presso un procuratore, e dall’altro, “in proprio”, presso un difensore diverso. Nel descritto contesto la qualificazione del medesimo soggetto, da un lato, come socio accomandatario, dall’altro, “in proprio”, non vale certamente a individuare due soggetti giuridici distinti, nè tanto meno può escludere, per il secondo, l’idoneità della comunicazione della detta ordinanza quale mezzo di conoscenza legale, solo perchè effettuata con l’indicazione della diversa qualità e presso il procuratore in relazione ad essa indicato come domiciliatario.
E’ questa evidentemente una valutazione che, oltre a rispondere all’esigenza di una lettura non formalistica degli oneri processuali, quali adempimenti non fine a sè stessi ma strumentali all’adozione di una decisione secondo i canoni del giusto processo, si pone in linea con il risalente e costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale nel giudizio di appello, qualora una medesima persona fisica cumuli in sè la qualità di parte in proprio e di erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (Cass. 23/05/2008, n. 13411; 07/05/2012, n. 6844; 09/05/2019 n. 12317).
6. Il terzo motivo è inammissibile, investendo questione non trattata in appello poichè evidentemente rimasta assorbita.
7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese, non avendo controparte svolto difese nella presente sede.
Tale non può infatti considerarsi l'”atto di costituzione in giudizio” sopra menzionato, poichè finalizzato solo a consentire la partecipazione della parte all’eventuale discussione orale, che però non ha avuto luogo, essendo stato il ricorso destinato a diverso modello processuale che tale incombente non prevede, ossia alla trattazione in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021
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