Rapporto previdenziale, datore di lavoro, sostituzione processuale, esclusione

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.5244 del 25/02/2021

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Rapporto previdenziale, datore di lavoro, sostituzione processuale, esclusione

Non essendo consentito a nessuno di far valere processualmente in nome proprio un diritto altrui (art. 81 c.p.c.), il datore di lavoro non ha titolo diretto a formulare una domanda attinente al rapporto previdenziale intercorrente tra lavoratore ed Istituto previdenziale, rapporto diverso e distinto da quello contributivo intercorrente tra datore di lavoro ed istituto previdenziale.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11882/2015 proposto da:

P.P., nella qualità di titolare dell’azienda agricola omonima, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI COLLI ALBANI, 26, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ROCCO ALECCI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1428/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 10/10/2014 R.G.N. 1079/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2020 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO.

CONSIDERATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri, ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, la domanda proposta da P.P. nei confronti dell’Inps con la quale il ricorrente aveva chiesto accertarsi l’esistenza di 47 rapporti di lavoro in agricoltura, disconosciuti dall’Istituto ed,in subordine, la restituzione di quanto versato all’Inps per contributi relativi ai suddetti lavoratori.

La Corte ha accolto l’eccezione di difetto di interesse ad agire del datore di lavoro in ordine alla domanda di mero accertamento nei confronti dell’Inps di un rapporto di lavoro e del diritto dei lavoratori di reiscriversi nelle liste dei lavoratori agricoli – diritto del lavoratore e non del datore di lavoro, nonchè di difetto di legittimazione passiva dell’istituto.

Ha osservato, inoltre, che il P. aveva formulato una domanda di restituzione dei contributi versati per i lavoratori disconosciuti; che tale domanda non era stata riproposta in appello e che anche gli specifici effetti lesivi derivanti dal disconoscimento,indicati dal P. peraltro solo nèl costituirsi in appello, non avevano evidenziato la sussistenza dell’interesse alla domanda proposta, con conseguente inammissibilità della domanda stessa.

2. Avverso la sentenza ricorre il P. con un unico motivo. L’Inps ha rilasciato delega in calce.

RITENUTO IN DIRITTO

3. Il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), violazione dell’art. 100 c.p.c..

In ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire osserva che i rapporti di lavoro di cui trattasi erano intercorsi tra l’azienda agricola ed i lavoratori e, dunque, il riconoscimento del rapporto di lavoro non poteva che riguardare anche il datore di lavoro e che, anche per la tutela di interessi non attuali, sussisteva l’interesse ad agire purchè dalla situazione da accertare potessero scaturire diritti specifici.

4. Il ricorso è infondato.

5. La Corte territoriale ha rilevato,da un lato, che il P. aveva formulato una domanda di condanna dell’Inps alla restituzione dei contributi versati per i lavoratori i cui rapporti erano stati disconosciuti dall’Inps e che, tuttavia, tale domanda non era stata riproposta in appello con la conseguenza che essa doveva intendersi rinunciata ex art. 346 c.p.c..

Dall’altro lato, la Corte d’appello ha esaminato gli specifici effetti lesivi, indicati dal ricorrente, derivanti dal disconoscimento dei rapporti di lavoro. Anche con riferimento a detti effetti la Corte ha escluso la possibilità di ravvisare un interesse concreto ed attuale del ricorrente.

6. Ciò premesso va rilevato, con riferimento alle censure in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, che la sentenza impugnata è stata depositata dopo l’11 settembre del 2012 e, pertanto, al ricorso per cassazione è applicabile, quanto all’anomalia motivazionale, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. con L. n. 134 del 2012.

Nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Con esso si è invero avuta (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Nella specie tali vizi, all’evidenza, non sussistono. La Corte ha dato conto ampiamente delle ragioni che l’hanno indotto ad escludere la sussistenza dell’interesse all’accertamento della sussistenza dei rapporti di lavoro, in contrasto con quanto accertato dagli ispettori dell’Inps.

7. Circa la violazione dell’art. 100 c.p.c., va rilevato che colui che agisce con l’azione di accertamento, anche se negativo, deve essere titolare dell’interesse, attuale e concreto, ad ottenere un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa. L’interesse rilevante presuppone, dunque, una pregiudizievole situazione di incertezza oggettiva, relativa non a meri fatti o a norme giuridiche astratte, ma incidente su diritti soggettivi, la quale non sia eliminabile senza l’intervento del giudice. (cfr. tra le tante n. 2057/2019).

8. Nella specie la Corte ha escluso che il ricorrente abbia dimostrato di poter conseguire un risultato concretamente rilevante derivante dall’accertamento dei rapporti di lavoro e dal conseguente obbligo dell’istituto di reiscrivere i lavoratori nell’elenco dei braccianti.

Risulta, infatti, correttamente escluso dalla Corte che il datore di lavoro abbia titolo diretto, non essendo consentito a nessuno di far valere processualmente in nome proprio un diritto altrui (art. 81 c.p.c.), a formulare una tale domanda attinente al rapporto previdenziale intercorrente tra lavoratore ed Istituto previdenziale, rapporto diverso e distinto da quello contributivo intercorrente tra datore di lavoro ed istituto previdenziale (cfr. Cass. n. 3491/2014, n. 17320/2020).

La Corte ha,anche, esaminato gli eventuali effetti negativi conseguenti al disconoscimento, indicati dal ricorrente peraltro solo in appello,ed ha escluso in concreto la loro rilevanza ed idoneità a dimostrare l’interesse ad agire.

Gli argomenti sviluppati dalla Corte, anche sotto tale profilo, non risultano adeguatamente censurati con il ricorso.

In conclusione, pertanto, il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l’azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte del medesimo attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare – attraverso la rimozione degli effetti dell’accertamento dell’Inps – una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica.

8. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Non deve provvedersi alla liquidazione delle spese di lite non avendo l’Istituto svolto attività difensiva.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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