Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.546 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25319/2015 proposto da:

A.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA FLORIANA BURGARETTA;

– ricorrente –

contro

TECNO JACKET S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 768/2014 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 15/04/2015 r.g.n. 768/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Nicosia dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato per g.m.o. con comunicazione del 31.7.2008 dalla Tecno Jacket s.r.l. nei confronti di A.N. e condannava la società alla reintegrazione del predetto, nonchè al pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del 29.2.2009 all’effettiva reintegrazione, nonchè al pagamento di Euro 55.142,60 a titolo di differenze retributive tra quanto percepito sulla base del c.c.n.l. Aziende Lavorazioni Conto Terzi “Facon” e quanto previsto dal CCNL settore tessile industria;

1.1. per quel che rileva nella presente sede, il primo giudice riteneva conforme ai criteri direttivi di cui all’art. 36 Cost., il riferimento al trattamento economico previsto dal CCNL Tessile -Industria piuttosto che a quello applicato dalla società datoriale, riconoscendo al ricorrente il diritto ai maggiori importi previsti dal primo contratto;

2. sul gravame principale della società, la Corte d’appello di Caltanissetta riformava la decisione impugnata rigettando la domanda di differenze retributive proposta dall’ A., sul rilievo che non poteva ritenersi preclusa la modifica in peius del trattamento economico dei lavoratori, fatti salvi i diritti quesiti, e che i contratti collettivi di diritto comune operavano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti per il principio che le clausole di contenuto retributivo non avevano efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, anche se, sul piano del rapporto individuale di lavoro, operava la tutela assicurata dall’art. 36 Cost., in relazione al quale poteva essere prospettata una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto;

2.1. non si era trattato nella specie nè di disdetta unilaterale dal CCNL tessile, bensì di applicazione, ex novo, del c.c.n.l. Fagon approvato dalle parti sindacali e riguardante il settore di riferimento, nè vi era contrarietà al precetto costituzionale dell’art. 36 Cost., perchè per ravvisare tale contrarietà era necessario avere riguardo non a tutto il trattamento economico complessivo previsto dal contratto, ma solo a ciò che era definito come minimo costituzionale, potendo oltre tale limite ritenersi consentita la riduzione ad opera della successiva contrattazione collettiva;

2.2. nel caso di specie, secondo la Corte distrettuale, il nuovo contratto era conforme al richiamato precetto in quanto regolarmente approvato dalla contrattazione sindacale;

2.3. il giudice del gravame confermava, invece, la statuizione relativa alla decorrenza dell’indennità risarcitoria, ancorata alla data del deposito del ricorso introduttivo e non a quella del licenziamento, respingendo sul punto il gravame incidentale proposto dal lavoratore;

3. di tale pronuncia domanda la cassazione l’ A., affidando l’impugnazione a quattro motivi;

4. la società è rimasta intimata;

5. il P.G. ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, l’ A. denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro e falsa applicazione del c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende di Lavorazione in Conto terzi Fagon in luogo del c.c.n.l. Tessile – Industria, osservando che il giudice del gravame non ha fatto riferimento al caso di successione temporale dei c.c.n.l., in conferente rispetto alla fattispecie in oggetto, ma alla diversa ipotesi di contemporanea vigenza di due diversi c.c.n.l., entrambi astrattamente applicabili al rapporto pur se difformi notevolmente quanto alle previsioni economiche; premette in particolare che era stata esclusa dal Tribunale l’efficacia vincolante del c.c.n.l. per i dipendenti di aziende di lavorazione in conto terzi Fagon per la non appartenenza delle parti ai soggetti stipulanti ed assume che, in ogni caso, non poteva valere il richiamo ad una presunta disdetta del c.c.n.l. tessile industria in data 18.3.2003, non potendo il datore sottrarsi all’osservanza del c.c.n.l. sino alla sua naturale scadenza, sicchè era stato violato il divieto di inderogabilità in peius, essendo almeno fino alla data dell’assunzione del ricorrente del 3.6.2003 applicabile ed applicato il c.c.n.l. Tessile – Industria;

2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione di dell’art. 8 c.c.n.l. settore Tessile – Industria quanto a termini, competenze e modalità di disdetta del c.c.n.l. tre mesi prima della scadenza, pena il rinnovo di anno in anno, non essendo possibile la disdetta – che spetta alla parti stipulanti – ad opera del singolo datore di lavoro;

3. con il terzo motivo, l’ A. si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 Cost., in relazione al c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende di lavorazione in Conto Terzi “Fagon” e dell’art. 1419 c.c., comma 2, adducendo l’inderogabilità, comunque – anche ammettendosi la natura vincolante del richiamo espresso nell’atto di assunzione del ricorrente al c.c.n.l. Lavorazione in conto terzi Fagon del precetto di cui all’art. 36 Cost., per essere la discrepanza tra i minimi retributivi previsti dal contratto Fagon inferiore di oltre la metà rispetto alla retribuzione (minimo contrattuale ai fini dell’adeguamento ex art. 36 Cost.) prevista dal CCNL Tessili, nonchè rispetto a quella prevista con riguardo anche a differenti settori merceologici per il livello di inquadramento di appartenenza, 3^ S (mansioni equivalenti a quelle svolte dal ricorrente);

4. l’ultimo motivo si incentra sulla dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione alla statuita decorrenza della indennità risarcitoria non dalla data del licenziamento, ma da quella di deposito del ricorso introduttivo, adducendo il ricorrente una erronea applicazione della norma, per irrilevanza, ai fini della integrazione della colpa, del differimento del deposito del ricorso, non effettuato nell’immediatezza del tentativo di conciliazione, al quale il datore di lavoro non si era presentato;

5. non è indicata dal ricorrente, in dispregio del principio di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6, la sede di deposito nei fascicoli di gradi di merito dei c.c.n.l. cui si fa riferimento nei motivi di impugnazione, nè si forniscono, in alternativa, i dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., ex aliis, Cass. 18.9.2017 n. 21554);

5.1. peraltro, a fronte di un iter argomentativo della pronuncia impugnata che si fonda sulla avvenuta scadenza contrattuale del precedente contratto, le censure si rivelano inconferenti in quanto si incentrano su una diversa ricostruzione della vicenda con indicazione di date e di accordo sindacale di conciliazione non invocati nei gradi di merito; ciò anche condividendosi in astratto l’assunto che la disdetta unilaterale prima della scadenza non sarebbe consentita, per essere il contratto collettivo applicabile sino alla sua naturale scadenza, in mancanza di una disdetta dello stesso da parte di soggetti a ciò legittimati (cfr., oltre a Cass. 25062/2013 sopra cit. Cass. 31.10.2013 n. 24575 negli stessi termini, nonchè Cass. 8994/2011; 3296/2002, 15863/2002; Cass. 18508/2005, quest’ultima riferita ad ipotesi in cui la facoltà di recesso di cui all’art. 1373 c.c., non era stata convenzionalmente pattuita, nè risultava esercitabile in presenza della predeterminazione del termine finale, preclusiva di disdetta unilaterale gli accordi integrativi);

6. quanto al secondo motivo, è sufficiente il richiamo alle osservazioni effettuate in ordine alla mancata indicazione della sede di deposito del c.c.n.l. di cui si chiede l’interpretazione in relazione in particolare all’art. 8 del CCNL settore Tessile – Industria e, peraltro, non è precisato in quali termini la specifica questione sia stata prospettata in appello, ciò che ne evidenzia un profilo di novità che incide in termini di inammissibilità del relativo motivo di impugnazione;

7. quanto al terzo motivo, è pacifico orientamento giurisprudenziale di questa Corte – richiamato dalla Corte distrettuale – quello secondo cui in tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito, anche nell’ipotesi in cui assuma come criterio orientativo un contratto collettivo non vincolante per le parti, non può fare riferimento a tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma “deve prendere in considerazione solo quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale” (cfr. Cass. 13.5.2002 n. 6878, Cass. 17.1.2004 n. 668);

7.1. è stato chiarito come, alla stregua dell’art. 36 Cost., comma 1, il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e che, di conseguenza, ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro, individuale o collettivo, risulti inferiore a questa soglia minima, la clausola contrattuale è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell’art. 1419 c.c., comma 2, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell’art. 36, con valutazione discrezionale; tuttavia, ove la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto ad usare tale discrezionalità con la massima prudenza, e comunque con adeguata motivazione, giacchè difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali (cfr. Cass. 1.2.2006 n. 2245);

7.2. nella specie ogni valutazione al riguardo risulta essere stata effettuata dalla Corte distrettuale ed alla stessa non si oppongono rilievi idonei a scalfirne la correttezza e validità, in forza di previste riduzioni del trattamento retributivo oltre i limiti già considerati dalla stessa Corte, sicchè la critica involge apprezzamenti di merito non suscettibili di sindacato nella presente sede di legittimità, e ciò a prescindere dal riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, ininfluente ai fini del già vagliato aspetto di congruità rispetto al parametro di cui all’art. 36 Cost. – all’approvazione in sede sindacale del ccnl Facòn che ne consentirebbe la piena applicabilità;

8. il quarto motivo è, invece, da accogliere, in quanto il differimento della decorrenza del risarcimento del danno, conseguente alla reintegrazione disposta per effetto della ritenuta illegittimità del licenziamento, non può in ipotesi ritenersi condizionato dall’eventuale colpa del creditore danneggiato, trattandosi di una decorrenza legalmente predeterminata e potendo il comportamento del creditore incidere solo sul quantum, in termini di aliunde perceptum o percipiendum, con onere della prova a carico del datore;

9. all’accoglimento del quarto motivo consegue la cassazione della decisione impugnata in parte qua, con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, seconda parte (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto) nel senso della decorrenza dell’indennità risarcitoria dalla data del licenziamento e non da quella della notifica del ricorso di primo grado;

10. quanto alla regolamentazione delle spese di lite, nulla va statuito sulle spese di lite di primo grado, rispetto alle quali deve ritenersi formato il giudicato interno, posto che non è stata impugnata la mancata statuizione sulle stesse in sede di riforma in appello, laddove, per quelle di secondo grado, si reputa congrua la relativa compensazione per 3/4 e la condanna della società, per la prevalente soccombenza, al pagamento del residuo 1/4 di quanto indicato per l’intero dal giudice del gravame, in relazione all’esito complessivo della lite, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario; analoga statuizione va adottata anche per le spese del presente giudizio di legittimità, determinate in dispositivo (condanna della società al pagamento di 1/4 delle spese, compensate per i residui 3/4);

11. non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13 comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibili i primi tre motivi, accoglie il quarto, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dispone la decorrenza dell’indennità risarcitoria conseguente alla reintegrazione dalla data del licenziamento. Compensa tra le parti 3/4 delle spese del giudizio di appello e condanna la società al pagamento del residuo 1/4 di quanto liquidato per l’intero dal giudice del gravame, con distrazione in favore dell’avv. Mattia Testa.

Compensa per 3/4 le spese del presente giudizio di legittimità e condanna la società al pagamento del residuo 1/4, liquidato per l’intero in Euro 6000,00, oltre che al pagamento di esborsi in misura di Euro 200,00 oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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