LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TELECOM EMI s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. Piergiorgio Loi, elettivamente domiciliata in Roma, nella via Ugo De Carolis n. 34/B, presso lo studio dell’avv. Maurizio Cecconi, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l. A SOCIO UNICO, in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difeso dall’Avv. Stefano Demuro ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giorgio Altieri in Roma, alla via Principessa Clotilde n. 7, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza App. Cagliari 27/07/2017, n. 719/2017, in R.G. n. 224/2015, rep. *****, corretta con decreto 15.11.2017 della stessa App. Cagliari;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 dal Presidente relatore Dott. Massimo Ferro.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. TELECOM EMI s.r.l. impugna la sentenza App. Cagliari 27/07/2017, n. 719/2017, in R.G. n. 224/2015, rep. ***** (corretta con decreto 16.11.2017 sul solo punto della rideterminazione delle spese, liquidate in favore dell’Erario dello Stato) con cui è stato accolto parzialmente l’appello proposto dalla Telecom Emi s.r.l. avverso la sentenza Trib. Cagliari *****, n. 414/2015, con la quale, in accoglimento della domanda proposta dal Fallimento ***** s.r.l., era stata dichiarata l’inefficacia nei confronti della massa dei creditori della compravendita immobiliare ***** tra ***** s.r.l. e Telecom Emi s.r.l.;
2. premette la sentenza che: a) il fallimento aveva agito per la dichiarazione di revocatoria ovvero invalidità L. Fall., ex art. 66, e art. 2901 c.c., della compravendita fra le parti ***** e, in subordine, l’annullamento della stessa ai sensi dell’art. 1394 c.c., per conflitto d’interessi dell’amministratore unico delle due società; b) il tribunale aveva dichiarato l’inefficacia dell’atto;
3. la corte ha ritenuto, per quanto qui d’interesse, che: a) l’eccezione di esenzione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3 lett. c), pur se formulata dalla convenuta solo in sede di discussione orale della causa, era in sè ammissibile, quale argomentazione difensiva non soggetta alle decadenze eccepite dall’attore, non introducendo fatti o titoli diversi da quelli fatti valere con la citazione ma richiamando fatti acquisiti agli atti, desumibili dalla stessa domanda, in sostanza dunque realizzando non un’eccezione in senso proprio ma una condizione di mera fondatezza della domanda, da esaminare d’ufficio; b) l’appellante non ha assolto alla prova del giusto prezzo, al fine di giustificare l’eccezione, essendo improprio il richiamo al valore della causa assegnato dall’attore, rilevante solo ai fini del contributo unificato, oltre che temporalmente scisso rispetto alla sollevazione dell’eccezione, invocata dalla convenuta in primo grado ben oltre il primo atto difensivo; c) non era accoglibile la istanza di c.t.u., poichè esplorativa e non supportata da una preliminare allegazione della sproporzione del prezzo rispetto a quello di mercato ovvero di squilibrio di oltre un quarto; d) inoltre, risultava violata nella fattispecie la ratio di tutela dell’acquisto immobiliare e per come posta dalla norma, dato che vi era identità di organo amministrativo tra venditrice e acquirente e “la confluenza della partecipazione societaria nell’unico socio”, così favorendo l’atto e piuttosto gli interessi personali di questi (come specificato a pag. 8); e) era poi carente d’interesse il motivo d’appello ove era contestato il mancato esame dell’eccezione d’inapplicabilità dell’esenzione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. c), anche alla revocatoria ordinaria, dato che il tribunale l’aveva affrontata invece nel merito, rigettandola;
4. il ricorso è su due motivi e ad esso resiste con controricorso il fallimento ***** s.r.l. a socio unico, che ha anche depositato memoria;
5. con il ricorso si deduce: a) (primo motivo) la sussistenza di una motivazione solo apparente, in violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., risultando la sentenza illogica e contraddittoria ove da un lato ascrive la esenzione invocata quale mera difesa e dall’altro ne decide per il rigetto, in quanto la parte stessa non avrebbe assolto al relativo onere dimostrativo; b) (secondo motivo) violazione dell’art. 2697 c.c., avendo errato la sentenza ove ha posto a carico dell’appellante l’onere di provare le cd. eccezioni in senso stretto, in concreto la non incongruità del prezzo d’acquisto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. il ricorso, riuniti in trattazione i motivi per intima connessione, è inammissibile; in primo luogo, la ricorrente non censura la seconda ratio decidendi, alla cui stregua l’appello è stato rigettato, in punto di enunciato conflitto d’interessi in presenza del quale la compravendita sarebbe stata stipulata, poichè conclusa fra due società con il medesimo amministratore e socio; si tratta di statuizione che, pur indulgendo in motivazione sino ad abbracciare – per negarne l’avvenuto rispetto – la ragione normativa alla base della contestata clausola di esenzione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. c), se ne discosta nettamente laddove, in correlazione con le domande iniziali della curatela ed in via aggiuntiva, è ravvisabile il collegamento diretto con quella subordinata di cui all’art. 1394 c.c., per come chiaramente riportata al n. 2) delle conclusioni dell’appellato; la corte, infatti, enuncia che la vendita in oggetto sarebbe incorsa in una “pacifica mancanza di terzietà dell’avente causa rispetto all’alienante”;
2. va così ribadito che “la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa “ratio decidendi”, nè contiene, quanto alla “causa petendi” alternativa o subordinata, un mero “obiter dictum”, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso” (Cass. 10815/2019);
3. in ogni caso, la stessa prospettazione dei motivi enuncia – al di là della loro intestazione, almeno quanto al primo – non una motivazione apparente, ma rilevanti tratti di contraddittorietà della stessa, così infrangendosi nei limiti ordinamentali del ricorso, alla stregua del principio, cui dare continuità, per cui “dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5), presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. 21257/2014, sulla scia di Cass. s. u. 8053/2014); invero, “non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6" (Cass. 23940/2017);
4. va poi aggiunto che l’intera impugnazione ha concentrato ogni critica sulla prospettata esenzione dalla revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. c), all’esame del cui fondamento – in realtà e così dovendosi correggere la motivazione della sentenza – nemmeno era ammissibile procedere, per più ragioni; in primo luogo, infatti, la clausola di esonero invocata risulta pacificamente introdotta in virtù di modifica dovuta al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, comma 1, lett. a), n. 01), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, vigente da data (12.8.2012) successiva a quella della compravendita in esame;
5. in secondo luogo, questa Corte già ha manifestato un orientamento contrario all’applicazione della citata clausola di esonero, per come – al pari di altre inserite nella novellata L. Fall., art. 67, comma 3, – in realtà dettata avendo riguardo solo alle revocatorie fallimentari; così, oltre a Cass. 3778/2019 (quanto agli atti, i pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato ai sensi della L. Fall., art. 182-bis), più di recente, Cass. 4796/2020 proprio in tema ha condiviso “una indicazione generale, certamente applicabile a tutte le ipotesi contemplate dalla norma cioè anche quella cui si riferisce l’art. 67, comma 3, lett. c)”; si è così ripetuto che “un diverso trattamento è ampiamente giustificato dalla nota diversità dei due tipi di azione revocatoria – ordinaria e fallimentare – in discussione, in quanto dirette: la prima, a tutelare (ricostituendola) la garanzia patrimoniale generica del debitore, ex art. 2740 c.c…. avendo perciò come presupposto soggettivo la cd. scientia damni da parte di debitore e terzo (ovvero il consilium fraudis del debitore e la partecipatio fraudis del terzo, in caso di atto anteriore dolosamente preordinato al pregiudizio delle ragioni creditorie); la seconda, più specificamente, a salvaguardare il rispetto del principio della par condicio creditorum ed avente perciò come diverso presupposto soggettivo la cd. scientia decoctionis, ovvero la conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del debitore, a prescindere dalla consapevolezza del concreto pregiudizio cagionato dall’atto (cd. eventus damni) – anche in termini di mero aggravamento dell’insufficienza del patrimonio del debitore a soddisfare i creditori – invece necessario nella prima… tanto da potersi suggestivamente dire che mentre la revocatoria ordinaria colpisce atti idonei ad indurre l’insolvenza del debitore, quella fallimentare colpisce gli atti compiuti quando questi era già insolvente”; ne consegue anche, in terzo luogo, che non avendo il ricorrente sviluppato censure avverso la statuizione afferente al fondamento dell’azione revocatoria, altresì per tali limiti i motivi divengono inammissibili, per difetto d’interesse; anche richiamati detti termini, la motivazione della sentenza impugnata, esatta in dispositivo, va dunque corretta;
il ricorso è, pertanto, inammissibile, corretta la motivazione della sentenza impugnata come da superiore punto 5; ne conseguono la condanna alle spese del procedimento, secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso, corretta la motivazione della sentenza impugnata come da parte motiva; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità in favore dell’Erario dello Stato, liquidandole in Euro 7.600 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021
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