LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30654-2018 proposto da:
CSM CENTRO STAMPA MODULISTICA SRL, con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ALESSANDRO LUPI;
– ricorrente –
contro
AMBIENTE ENERGIA TERRITORIO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO D’AMARIO, che lo, rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1723/2018 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 15/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RITENUTO
che C.S.M. Centro Stampa Modulistica s.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 1723/18, depositata il 15/3/2018, non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio, in controversia concernente avvisi di accertamento TARSU/TIA per gli anni dal 2008 al 2012, in relazione ad unità immobiliare sita in Comune di *****, è stato accolto l’appello di Ambiente Energia e Territorio s.p.a., gestore del servizio di tariffazione e riscossione diretta della tariffa di igiene ambientale per detto comune, avverso la prima sentenza di accoglimento dell’originario ricorso della parte contribuente, e dichiarato la piena legittimità della pretesa tributaria dell’ente territoriale, in quanto riferibile all’esercizio dell’attività accertativa di cui al Reg. TIA, art. 23, diretta al controllo delle dichiarazioni, comunicazioni e dei versamenti dei contribuenti, non preclusa dall’esito di accertamenti riguardanti anni precedenti, confortata, quanto all’estensione delle superfici tariffabili, da planimetrie dei locali su più livelli costituenti l’unità immobiliare e da un sopralluogo, effettuato in data *****, in contraddittorio con la società contribuente.
Resiste Ambi.En. Te. s.p.a. con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, per avere il giudice di appello erroneamente riconosciuto la idoneità dei locali detenuti dalla contribuente a produrre rifiuti assimilabili agli urbani anche per i periodi d’imposta antecedenti all’anno 2013, nel corso del quale era stato effettuato l’accertamento, previo sopralluogo, avendo il gestore del servizio utilizzato un criterio presuntivo circa le condizioni di effettivo utilizzo dell’immobile giungendo a conclusioni in contrasto con altro accertamento (recupero evasione) per l’anno 2008, eseguito sempre da Ambi.En. Te., e con la fattura TARES 2013 (tributo che ha sostituito la TIA) emessa dal Comune di *****, che non aveva accertato maggiori superfici rispetto a quelle dichiarate dalla contribuente.
Con il secondo motivo d’impugnazione deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, e Reg. TIA, art. 12, comma 4, del Comune di *****, per non avere il giudice di appello considerato che dal computo della tariffa andavano comunque escluse tutte le superfici nelle quali si producono rifiuti speciali non assimilati agli urbani, e non solo il locale destinato a magazzino di solventi, per l’estensione di mq. 21, come fatto da Ambi.En. Te., avendo la contribuente depositato documentazione attestante lo smaltimento di detta tipologia di rifiuti, sottratta alla privativa comunale, per gli anni compresi tra il 2009 ed il 2012.
Con il terzo motivo d’impugnazione deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, per avere il giudice di appello erroneamente condannato la società contribuente al pagamento anche delle spese processuali di primo grado nonostante Ambi.En. Te. non avesse svolto in quella fase di giudizio attività difensiva.
I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connessi, appaiono connotati da evidenti profili di inammissibilità, laddove la ricorrente sollecita un rivalutazione del materiale probatorio, e comunque sono infondati.
La società contribuente si duole del fatto che la idoneità dei locali a produrre rifiuti sia stata accertata da Ambi.En. Te., in via presuntiva, con riferimento anche agli anni antecedenti all’accertamento eseguito, previo sopralluogo, nell’anno 2013, utilizzando criteri presuntivi circa le condizioni di effettivo utilizzo dell’immobile, allega al riguardo alcune circostanze che paleserebbero esiti accertativi nel tempo contrastanti circa la misura delle superfici ritenute tariffabili, ed evidenzia che quelle improduttive di rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, ai sensi di legge e del Regolamento TIA, andrebbero esenti dal pagamento del tributo.
Quanto al primo profilo censorio, stante il carattere “universale” della Tarsu (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1), ad essa sono soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore, e questa Corte è ferma nel ritenere che la previsione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, il quale stabilisce che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è dovuta per l’occupazione o la detenzione delle aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni, costituisce una previsione di carattere generale e subisce solo le deroghe indicate nei successivi commi (il secondo e il terzo) dello stesso articolo che non sono automatiche, ma devono essere di volta in volta dedotte ed accertate con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione (Cass. n. 21780/2018, n. 11070/9019).
La Corte ha anche precisato che la circostanza che norma sopra richiamata riguardi la TARSU, “non ne esclude la rilevanza interpretativa anche con riferimento alla TIA, non solo perchè espressiva di una finalità pratica comune all’imposizione ambientale in quanto tale – connotata dall’esigenza non di ricostruire documentalmente un patrimonio ovvero un movimento di affari, quanto di accertare, in una data annualità, l’effettiva e materiale detenzione/occupazione di superfici produttive di rifiuti – ma anche perchè relativa ad un tributo (appunto la Tarsu) nei cui confronti la TIA si pone in rapporto di sostanziale continuità, per natura e caratteri distintivi: v. Cass. SSUU 23114/15 e SSUU 26268/16 (ed ora anche SSUU n. 863/20, sulla TIA 2), secondo cui la TIA “non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (…)” (Cass. nn. 4602/2018, 5078/2016, 23114/2015, 14903/2010).
Ebbene, sulla base di tali presupposti normativi, si deve ritenere che la disciplina regolamentare in forza dei quali la CTR ha risolto il caso sia stata correttamente applicata.
Il Reg. TIA, art. 12, del Comune di *****, tra l’altro, prevede che “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano, di regola, rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani, rifiuti tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere i produttori dei rifiuti stessi ai sensi delle disposizioni legislative vigenti in materia. Quando si tratti di locali ed aree che presentino il carattere della promiscuità nella produzione di rifiuti, la tassazione è determinata tenendo conto della sola superficie in cui si producono rifiuti urbani o assimilati agli urbani. Il soggetto interessato all’esclusione deve osservare scrupolosamente le disposizioni del presente Regolamento Comunale per la disciplina dei servizi di smaltimento dei rifiuti, ed allegare alla denuncia iniziale o di variazione, planimetria dei locali ed aree utilizzati con l’indicazione degli spazi ove si producono rifiuti speciali, tossici e nocivi, urbani e assimilati agli urbani nonchè copia del contratto relativo stipulato con ditta autorizzata alla raccolta e dallo smaltimento dei rifiuti speciali, tossici e nocivi, assimilati agli urbani. In mancanza di tali indicazioni la tassa si applicherà su tutta la superficie occupata”.
La sentenza impugnata ha chiaramente evidenziato che l’attività di accertamento esercitata dal Gestore, ai sensi di detto Reg., art. 23, al fine di individuare i soggetti obbligati a pagare la tariffa e controllare i dati dichiarati in denuncia, si è tradotta in una verifica diretta delle superfici, mediante il sopralluogo ai locali ed aree tariffati, con la piena collaborazione dell’utente, per cui, nel caso di specie, non è stato necessario “fare ricorso alle presunzioni semplici previste dal Codice Civile” (art. 2729 c.c.), cosa peraltro consentita dalla medesima disposizione regolamentare “in caso di mancata collaborazione dell’utenza o di altro impedimento alla diretta rilevazione” dei presupposti di fatto del tributo in oggetto.
Nè la società contribuente ha contestato la tempestività della notifica dell’avviso di accertamento, eccependo l’intervenuto decorso del termine di decadenza quinquennale di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, il quale prevede che “gli enti locali, relativamente ai 3 tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno, successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.
Tale disciplina, com’è noto, ha aumentato a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 172, lett. b, con decorrenza dal 1 luglio 2007, il previgente del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale; della citata L., art. 1, comma 171, lett. b, prevede, inoltre, che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini, si applicano anche ai rapporti di imposta pendenti (e precedenti) al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria 2007.
Nè, ai fini qui considerati, può fondatamente ritenersi attribuirsi all’emissione, da parte di Ambi.En. Te., di una fattura volta al recupero della TIA (anno 2008) non versata dalla contribuente un qualche rilievo impeditivo al successivo esercizio della potestà impositiva; diverso sarebbe il caso – che qui non ricorre – dell’esistenza di un giudicato esterno, con accertamento dei fatti imponibili, quale fattore di stabilizzazione del rapporto tributario.
Quanto sopra esposto vale a maggior ragione rispetto all’emissione, da parte dell’ente territoriale, e sulla base delle superfici dichiarate dalla società contribuente della fattura TARES 2013 (tributo che ha sostituito la TIA).
Merita, invece, accoglimento il terzo motivo d’impugnazione atteso che Ambi.En. Te. che non contesta la circostanza e riconosce la non spettanza delle spese liquidate per il primo giudizio – non aveva svolto in primo grado alcuna attività difensiva.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che “La statuizione con la quale il giudice liquidi, in favore della parte vittoriosa in appello, le spese processuali del primo grado di giudizio, nel quale la stessa era rimasta contumace, va cassata senza rinvio, in applicazione dell’art. 382 c.p.c., comma 3, in quanto, pur essendo espressione di un potere officioso del giudice, la condanna alle spese in favore della parte vittoriosa che non si sia difesa e non abbia, quindi, sopportato il corrispondente carico non può essere disposta ed è assimilabile ad una pronuncia resa in mancanza del suddetto potere.” (Cass. n. 16786/2018).
Valutato l’esito complessivo del presente giudizio giustifica va disposta la compensazione delle spese processuali.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, limitatamente alla censura concernente la condanna alle spese del primo grado a carico della contribuente. Rigetta il primo e secondo motivo. Cassa senza rinvio la sentenza limitatamente alla sola statuizione di condanna alle spese del primo grado di giudizio a favore di Ambi.En. Te. s.p.a.. Compensa le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021