LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15145/2017 proposto da:
F.F., e C.M., elettivamente domiciliati in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Merusi, che li rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato Giuseppe Toscano, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Comune di Livorno, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo Studio Grez e Associati s.r.l., rappresentato e difeso dall’Avvocato Lucia Macchia, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2012/2016 della Corte d’appello di Firenze, pubblicata il 5/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Livorno, con sentenza n. 279/2012, rigettava la domanda proposta da F.F. e C.M. nei confronti del Comune di Livorno perchè fossero loro restituiti i fondi espropriati con decreto del presidente della giunta regionale n. 38/1983 ai fini della realizzazione del PEEP n. 7 (denominato Corea) e l’amministrazione municipale venisse condannata a corrispondere un’indennità per il mancato godimento dei beni espropriati.
2. La Corte d’appello di Firenze, a seguito dell’impugnazione proposta dal F. e dal C., rilevava che gli appellanti non avevano dimostrato, come era loro onere fare, che l’opera non fosse stata realizzata e/o, comunque, che l’opera fosse stata realizzata al di fuori dei termini, concessi o prorogati, dalla data dell’espropriazione. La congerie istruttoria dimostrava, invece, – a giudizio della Corte distrettuale – che del PEEP 7 Corea erano state realizzate le opere costituite dalla strada ***** (ricomprendente parte della particella *****), da un’area adibita a parcheggio (insistente anche sulla particella *****) e da un’area a verde pubblico (su particelle non oggetto di causa), mentre non vi era la prova che tali opere non fossero state realizzate nei termini concessi o prorogati dalla data dell’espropriazione.
Ricorreva pertanto un’ipotesi di retrocessione parziale delle aree espropriate, che non era stata chiesta nè comunque avrebbe potuto essere esaminata, perchè rientrante nella competenza del giudice amministrativo, dovendosi di conseguenza confermare la statuizione di rigetto della domanda pronunciata dal primo giudice.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 5 dicembre 2016, hanno proposto ricorso F.F. e C.M. prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Livorno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in ragione dell’avvenuto travisamento delle risultanze istruttorie, in quanto la decisione impugnata troverebbe fondamento su una conclusione non contenuta e non rinvenibile nella relazione peritale predisposta all’esito dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
In particolare, i giudici distrettuali avrebbero posto a fondamento della propria decisione risultanze dell’accertamento peritale, relative al fatto che la strada e il parcheggio fossero opere realizzate in esecuzione del PEEP 7 Corea, che però non si rinvenivano all’interno della relazione del C.T.U..
Quest’ultima aveva invece negato l’avvenuta realizzazione, anche solo parziale, del PEEP da parte del Comune di Livorno, limitandosi ad attestare la presenza di opere non previste dal piano (il parcheggio) e di una strada realizzata da autore rimasto sconosciuto e in epoca imprecisata.
La Corte distrettuale avrebbe perciò fatto cattivo uso del proprio compito di valutazione del mezzo istruttorio, che aveva travisato completamente attribuendo ad esso conclusioni letterali non presenti e ravvisando accertamenti invece non effettuati; in questo modo la Corte distrettuale avrebbe posto a fondamento della propria decisione ragioni di fatto inesistenti e/o verificate in senso opposto nel corso del processo.
5. Il motivo è inammissibile.
5.1 In sede di legittimità, ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (v. Cass. 10749/2015, Cass. 3796/2020).
Una simile ipotesi non ricorre nel caso di specie, non potendosi ravvisare l’acquisizione di un’informazione probatoria che non sia stata valutata, tanto meno su un punto decisivo.
Il consulente tecnico, all’interno dei passi di cui i ricorrenti denunciano il travisamento, non ha infatti accertato che le opere in questione erano state eseguite in ambiti e tempi diversi da quelli relativi alla realizzazione del piano di edilizia economica popolare a cui l’esproprio era funzionale, ma si è limitato a constatare la mancanza di elementi utili per accertare in quale epoca fossero stati costruiti la strada e il parcheggio e se gli stessi fossero o meno ricompresi nel PEEP 7 Corea.
Si tratta, dunque, non dell’acquisizione di un’informazione probatoria non valutata, ma della constatazione di una mancanza di prova in merito all’inclusione delle opere realizzate sui fondi espropriati all’interno del piano di edilizia economica popolare e ai tempi di esecuzione.
Mancanza di prova che ridondava a scapito degli attori, sui quali, stando a quanto affermato dai giudici distrettuali (senza che sul punto sia stata proposta alcuna contestazione in questa sede), incombeva l’onere della prova in relazione ai presupposti della domanda di retrocessione.
5.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione dell’effettiva esecuzione dell’opera pubblica o di interesse pubblico ai fini della distinzione tra retrocessione totale o parziale deve essere compiuta con riferimento all’intero complesso di beni interessati dalla dichiarazione di pubblica utilità e non riguardo ai soli fondi di proprietà del privato; ne discende che, quando l’opera programmata non abbia poi in concreto riguardato qualcuno di tali fondi o porzioni, ma sia stata comunque eseguita, anche se in termini ridotti, la loro mancata utilizzazione non fa sorgere il diritto alla retrocessione, direttamente tutelabile innanzi al giudice ordinario, ma il mero interesse legittimo all’accertamento dell’inservibilità dei beni, cui soltanto consegue il diritto alla restituzione (v. Cass. 18580/2020, Cass., Sez. U., 23823/2009).
Nel caso di specie la Corte d’appello ha acclarato (con accertamento ancora una volta non specificamente contestato) la realizzazione del PEEP 7 Corea quanto meno rispetto all’area a verde pubblico, seppur su particelle non oggetto di causa.
Questa constatazione, tenuto conto del principio appena richiamato, rendeva comunque irrilevante qualsiasi accertamento positivo eventualmente trascurato rispetto alle aree appartenenti agli odierni ricorrenti.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e del principio dispositivo dell’onere della prova: in tesi di parte ricorrente, una volta escluso che il C.T.U. avesse affermato la sussistenza dei presupposti per la retrocessione parziale, la Corte d’appello, in presenza di un complesso di dati del processo che evidenziavano il raggiungimento della prova della mancata esecuzione del PEEP 7 Corea, avrebbe erroneamente negato il ricorrere dei presupposti della domanda di retrocessione totale formulata dagli appellanti.
7. Il motivo è inammissibile.
Il mezzo assume che “il complesso dei dati agli atti del processo evidenziano che ivi è stata raggiunta la prova della mancata esecuzione del PEEP 7 Corea” e ipotizza che andasse escluso che il C.T.U. avesse affermato la sussistenza dei presupposti per la retrocessione parziale.
Il che, tuttavia, non coincide affatto con l’accertamento compiuto dalla Corte di merito, che invece ha ritenuto che il piano di edilizia popolare avesse avuto un’articolata esecuzione, anche tramite la realizzazione (incontestata, come detto) di un’area a verde pubblico. La doglianza in esame non si cura quindi degli accertamenti compiuti dal giudice di merito, a dispetto della necessaria riferibilità del ricorso per cassazione alla decisione impugnata, e, sotto le spoglie della denunciata violazione di legge, intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa.
Ciò benchè il ricorso per cassazione conferisca al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
8. Il terzo motivo di ricorso assume che la decisione impugnata tragga argomento dalla sentenza n. 5619/1998 di questa Corte al fine di sostenere che la domanda di retrocessione totale dovesse essere accompagnata dalla contestuale richiesta di determinazione del prezzo di retrocessione, richiesta che invece non è condizione di ammissibilità o procedibilità della domanda.
Il riferimento a una sentenza di legittimità che non conteneva l’affermazione del principio sottointeso dalla Corte di merito costituirebbe – in tesi di parte ricorrente – una motivazione apparente, in violazione del disposto dell’art. 132 c.p.c..
9. Il motivo è inammissibile.
In vero, quand’anche si volesse attribuire ai passaggi valorizzati all’interno della censura in esame il significato voluto dai ricorrenti (malgrado la Corte distrettuale nulla abbia detto in merito alle conseguenze che discenderebbero dalla mancata contestuale richiesta di determinazione del prezzo, limitandosi a prenderne atto) in termini di necessaria presentazione della domanda di determinazione del prezzo di retrocessione contestualmente alla domanda di retrocessione totale, occorrerebbe comunque rilevare che la Corte di merito ha ritenuto che gli appellanti non avessero assolto l’onere probatorio che su di loro incombeva in merito alla sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di retrocessione.
Vi sarebbero così due ragioni distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggere la decisione sul piano logico e giuridico.
La ritenuta infondatezza delle censure mosse alla ratio decidendi relativa all’insussistenza dei presupposti per la retrocessione totale renderebbe inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative all’altra (supposta) ragione esplicitamente fatta oggetto di doglianza, in quanto quest’ultima non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (v. Cass. 2108/2012).
10. In conclusione, in forza delle ragioni sopra illustrate, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021
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