LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 314/2015 proposto da:
V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE, 2, presso lo studio dell’avvocato UGO PRIMICERJ, rappresentata e difesa dall’avvocato MANLIO LUBRANO DI SCORPANIELLO;
– ricorrente –
contro
ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE NOTARIATO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 160, presso lo studio dell’avvocato ONOFRIO SPINOSO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7487/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/12/2013 R.G.N. 7446/2006.
RILEVATO
Che:
Con sentenza n. 7487 del 2013, la Corte d’appello di Napoli, accogliendo l’impugnazione proposta dalla Associazione Cassa Nazionale del Notariato (d’ora in avanti Cassa) nei confronti di V.R. (vedova del notaio S.C.) avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, ha rigettato la domanda proposta dalla medesima V. al fine di ottenere i ratei di pensione di reversibilità maturati dal *****, ossia dall’epoca del decesso del coniuge e sino al primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda relativa a tale prestazione;
la Cassa aveva disatteso la richiesta in forza dell’art. 24 del proprio Regolamento per l’attività di Previdenza e solidarietà, a tenore del quale la domanda di pensione deve essere presentata, con i documenti prescritti, entro un anno dal giorno in cui l’avente diritto avrebbe potuto goderne; decorso tale termine, la pensione viene erogata con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda e dei relativi documenti; i ratei di pensione non richiesti entro due anni dalla scadenza si prescrivono a favore della Cassa;
la Corte territoriale, dopo aver richiamato il contenuto del D.P.R. n. 317 del 1990, artt. 1 e 3 e del D.Lgs. n. 504 del 1994, ha ribadito la natura pubblicistica del rapporto intercorrente tra la Cassa ed i Notai, nonchè l’assoluta estraneità alla relativa disciplina della tesi accolta dal primo giudice, che aveva ritenuto l’art. 24 sopra citato affetto da nullità per contrasto con l’art. 2936 c.c. (in materia di prescrizione estintiva) e con l’art. 2965 c.c. (in materia di decadenza) in ragione della affermata natura privatistica del rapporto previdenziale intercorrente tra la Cassa ed i propri iscritti;
fatte tali premesse, la Corte territoriale ha rilevato che l’art. 24 del Regolamento citato era pienamente coincidente con il previgente del D.P.R. n. 317 del 1990, art. 24 e, quindi, aveva mantenuto nella sostanza il carattere di normativa di carattere pubblicistico che impediva l’applicazione delle norme codicistiche sopra richiamate;
avverso tale sentenza, ricorre per cassazione V.R. sulla base di due motivi: 1) violazione di legge riferita agli artt. 1 e 4 preleggi, artt. 2934 e 2936 cc., L. n. 400 del 1988, art. 17 ed alla L. n. 335 del 1995, art. 3, in ragione della irrilevanza della questione della natura pubblicistica della disciplina del rapporto contributivo intercorrente tra la Cassa ed i Notai nella definizione della questione agitata, relativa alla nullità dell’art. 24 del Regolamento in punto di decorrenza della pensione di reversibilità; 2) omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5), in relazione all’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 1 e 4 preleggi, artt. 2934 e 2936 c.c. e L. n. 400 del 1988, art. 17, in ragione della carenza di effettiva motivazione, essendosi il giudice, dopo aver impostato in modo erroneo la questione giuridica, limitato a riprodurre il testo di varie disposizioni;
resiste, con controricorso, la Cassa;
la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., con la quale illustra ulteriormente i contenuti dei motivi pur concludendo (per evidente refuso) per il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO
Che:
i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;
la Cassa Nazionale del Notariato, la più risalente tra le casse di previdenza professionali (prevista dal R.D.L. 9 novembre 1919, n. 2239, modif. dal R.D.L. 27 maggio 1923, n. 1324), ha, nel tempo, gestito la previdenza dei Notai sulla base di un articolato tessuto normativo costituito, oltre che dalla L. 3 agosto 1949, n. 577 e relative modificazioni, dal precedente D.M. 26 aprile 1948, di approvazione di un testo unico delle disposizioni concernenti la concessione di pensioni, indennità ed assegni ai notai e alle loro famiglie contenute nel R.D.L. n. 1324 del 1923, conv. in L. n. 473 del 1925; al citato T.U. si è aggiunta la disciplina contenuta nei regolamenti emanati dalla Cassa in virtù della delega contenuta del cit. R.D.L. 27 maggio 1923, n. 1324, artt. 3 e 17, convertito in L. 17 aprile 1925, n. 473;
per quanto qui di più specifico interesse, sulla base di tale impianto normativo e della L. n. 400 del 1988, successivo art. 17, fu emanato il D.P.R. 12 ottobre 1990, n. 317, avendo all’epoca la Cassa natura giuridica di ente pubblico non economico secondo le previsioni della L. n. 75 del 1970; con tale D.P.R., ritenuto da questa Corte di cassazione di natura regolamentare e non legislativa (Cass. 13 novembre 2001, n. 14095), fu approvato il Regolamento per il coordinamento delle disposizioni vigenti in tema di concessione di provvidenze a favore dei notai e delle loro famiglie con le leggi di portata generale incidenti anche sul regime delle pensioni; successivamente alla trasformazione degli enti che gestivano le assicurazioni obbligatorie in soggetti privati (a seguito del D.Lgs. n. 509 del 1994, di attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32), la Cassa ha adottato il Regolamento per l’attività di previdenza e solidarietà il quale contiene l’art. 24 di cui si discute (intitolato “Pensione. Prescrizione dei ratei”) del tutto corrispondente, nel contenuto, al medesimo art. 24 del regolamento adottato con D.P.R. n. 317 del 1990;
la questione prospettata dalla ricorrente si incentra sulla tesi secondo la quale la natura regolamentare sia del D.P.R. n. 317 del 1990, che del successivo Regolamento adottato ai sensi dell’art. 4 dello Statuto della Cassa, porrebbe la relativa disciplina in insanabile contrasto con la disciplina inderogabile di legge contenuta negli artt. 2936 e 2934 c.c., in tema di prescrizione;
va ricordato che la trasformazione in enti privati dei soggetti pubblici che gestivano le assicurazioni obbligatorie dei professionisti, secondo le previsioni del D.Lgs. n. 509 del 1994, non ha modificato la funzione dell’ente nel sistema come centro d’imputazione dei rapporti e soprattutto come soggetto preposto a svolgere le attività previdenziali ed assistenziali in atto, posto che all’autonomia organizzativa, amministrativa e contabile riconosciuta ai singoli enti in ragione della loro mutata veste giuridica fanno riscontro un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e d’intervento sugli organi di amministrazione, nonchè una generale funzione di controllo sulla gestione da parte della Corte dei Conti;
la suddetta trasformazione, dunque, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale (Corte Costituzionale n. 248 del 2007);
quanto alla rilevanza da riconoscere all’attività regolamentare degli enti previdenziali privatizzati, questa Corte di Cassazione (ex multis Cass. n. 1841 del 2019; Cass. n. 3461 del 2019) ha evidenziato che l’esercizio dei poteri regolamentari delle Casse professionali è retto dal rispetto sia del principio di autonomia riconosciuto agli enti previdenziali privati che dalla natura obbligatoria del regime assicurativo che gli stessi gestiscono e tale legame comporta necessariamente una relazione con la fonte legislativa nei cui confronti esiste un obbligo di conformazione;
la realizzazione del fine pubblico, imposto dall’art. 38 Cost., è mediata dalla legge ed è, dunque, la legge che di volta in volta fissa i corretti parametri di riferimento dei poteri regolamentari imponendo ai medesimi poteri i limiti al cui interno la detta potestà può estendersi;
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (tra le tante, oltre alle sentenze sopra citate, Cass. n. 24202 del 2009; n. 13602 del 2012; n. 24534 del 2013), ha esaminato soprattutto il profilo dei possibili effetti derogatori, rispetto alla disciplina di rango primario esistente, della potestà regolamentare riconosciuta alle Casse privatizzate e l’ha differenziata rispetto al generale fenomeno della cd. delegificazione previsto dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2;
il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha posto alle Casse “privatizzate” l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto D.Lgs., ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria, costituita dal D.Lgs., autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (cfr, Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti”;
tale assetto è stato richiamato anche dalla più recente giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 67 del 2018) che, sintetizzando gli esiti della privatizzazione delle Casse professionali, ha precisato: “(…) Con il citato D.Lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti (L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 23, recante “Interventi correttivi di finanza pubblica”), ha arretrato la linea d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegificazione della disciplina: da ultimo, Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 13 febbraio 2018, n. 3461), lasciando spazio alla regolamentazione privata delle fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di modellare tale forma di previdenza secondo il criterio solidaristico”;
nel caso di specie, va osservato, non vi è stato esercizio del potere regolamentare a fini derogatori delle previsioni di legge, posto che il testo dell’art. 24 del vigente Regolamento dell’Associazione Cassa Nazionale del Notariato è del tutto corrispondente a quello del previgente D.P.R. n. 317 del 1990, a sua volta riproduttivo nella sostanza dell’art. del 18 del testo unico approvato con D.M. 26 aprile 1948;
la Cassa ha, dunque, recepito tale contenuto trasfondendolo in un proprio regolamento che, provenendo da una persona giuridica di diritto privato, non può essere considerato come un regolamento ai sensi dell’art. 1 preleggi, n. 2 e, quindi, come norma di diritto invocabile dal ricorrente per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si è infatti in presenza di un organismo espressamente definito come persona giuridica di diritto privato dal D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 1, comma 2, senza che tale natura privatistica sia contraddetta dall’obbligo di iscrizione di cui del medesimo art. 1, comma 3 e dalla prevista necessità che gli atti statutari e regolamentari, a mente del successivo art. 3, comma 2, siano approvati del Ministero vigilante (cfr., Cass. 26 settembre 2012, n. 16381; Cass., n. 11792/2005, in motivazione; nonchè, con riferimento agli statuti e regolamenti degli enti pubblici, Cass., nn. 5038/1998; 21/1986);
alla stregua di tale peculiare natura, la validità del regolamento va verificata dal giudice nel rispetto degli ambiti attribuiti dalla legge alla potestà regolamentare degli enti previdenziali ed in coerenza ai parametri costituzionali ed alle disposizioni imperative di legge ovvero inderogabili;
il testo da sottoporre a verifica è il seguente:” La domanda di pensione deve essere presentata, con i documenti prescritti, entro un anno dal giorno in cui l’avente diritto avrebbe potuto goderne. 2. Decorso tale termine, la pensione viene erogata con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda e dei relativi documenti. 3. I ratei di pensione non richiesti entro due anni dalla scadenza si prescrivono a favore della Cassa”; come è evidente, l’art. 24 in esame si riferisce in generale alle pensioni erogate dalla Cassa e non solo a quella di reversibilità, in particolare la disposizione, al fine di consentire che l’erogazione del trattamento sia correlata alla data in cui si verifica l’evento che la legittima (raggiungimento dell’età prevista, stato di inabilità o decesso), richiede che la domanda di pensione sia avanzata entro un anno dal predetto accadimento;
in caso contrario, la pensione avrà effetto dal primo giorno del mese successivo a quello in cui la domanda e la necessaria documentazione sarà ricevuta dalla Cassa, con consequenziale impossibilità di ottenere i ratei astrattamente maturati nel periodo precedente giacchè non può logicamente immaginarsi la maturazione di ratei rispetto ad un trattamento non ancora costituito;
il termine di prescrizione di due anni dalla scadenza per i ratei di pensione non riscossi, dunque, non può che riguardare ratei successivi alla costituzione della pensione, già liquidati dalla Cassa ma non riscossi dal titolare della prestazione pensionistica;
il dato testuale, come riconosciuto anche dalla Cassa, non consente di ritenere che la disciplina regolamentare abbia implicitamente introdotto una decadenza integrale dal diritto alla pensione che violerebbe senz’altro il diritto riconosciuto dall’art. 38 Cost.;
piuttosto, si profila un meccanismo, per così dire, di tipo mobile che, nella sostanza, vale a neutralizzare un periodo di due anni da contare a ritroso rispetto alla data (successiva all’evento legittimante) in cui si presenti la domanda di pensione;
l’adozione di una forma di decadenza al di fuori delle espresse previsioni di legge è prevista dall’art. 2965 c.c. (si veda per una applicazione in materia di interesse previdenziale Cass. n. 23373 del 2018), per cui non può, solo per tale ragione, ipotizzarsi una violazione di norma imperativa, occorrendo anche che la previsione renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto, nel senso voluto dall’art. 2965 c.c.;
inoltre, tale meccanismo non incorre in alcun contrasto con principi costituzionali, da ritenere come norme imperative;
quanto, infatti, alla legittimità costituzionale della previsione che impone di presentare domanda per ottenere il trattamento pensionistico, Corte Costituzionale n. 345 del 22/07/1999, resa in ragione del dubbio di violazione degli artt. 3,36 e 38 Cost., della L. n. 1646 del 1962, art. 13, commi 1 e 3 (disciplinante gli istituti di previdenza dipendenti dal Ministero del Tesoro) che prevedevano l’onere della domanda da parte dell’interessato entro un termine, decorrente dalla data dell’acquisizione del diritto, ai fini del conferimento della pensione con la stessa decorrenza, ha affermato che non comporta violazione dell’art. 3 Cost., il solo fatto che, nel sistema previdenziale di talune categorie, a differenze di altre, sia previsto l’onere della domanda per conseguire il trattamento di quiescenza, in quanto i diversi sistemi pensionistici hanno una loro specificità, e la circostanza che le discipline in essi previste non siano uniformi non lede di per sè il principio di eguaglianza, salvo il caso, nella specie non sussistente, di una evidente irragionevolezza della differenza di disciplina (cfr. sentenze n. 26 del 1980, n. 454 del 1993) ed occorrerebbe dimostrare la manifesta arbitrarietà di tale differenza e ciò può fondarsi solo ove si dimostri che si tratti di un onere tale da incidere sostanzialmente sulla garanzia costituzionale di effettività della tutela previdenziale;
che poi all’onere della domanda si colleghi un termine di decadenza, decorso il quale si perde non già il diritto alla pensione, ma solo quello a percepire le quote del trattamento relative al periodo di tempo anteriore alla domanda stessa, è frutto – ad avviso della Corte Costituzionale – a sua volta di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il sistema prescelto, e giustificabile se non altro per ragioni di certezza della situazione finanziaria dell’ente erogatore del trattamento: una scelta che non dà luogo, per le stesse ragioni già dette, ad una illegittima disparità di trattamento;
neppure si è ravvisata violazione degli artt. 36 e 38 Cost., giacchè non contraddice i caratteri del diritto alla pensione, come “situazione finale” sottratta “a conseguenze negative astrattamente collegabili all’inerzia del titolare in ragione delle esigenze di certezza e di stabilità connesse alla sua funzione, attinente alla sopravvivenza della persona”, il fatto “che le vicende volte a determinare i presupposti di consistenza quantitativa o addirittura di esistenza del diritto alla pensione si svolgano entro limiti temporali”, nè in particolare “che l’azionamento di tali vicende sia rimesso dalla legge all’iniziativa dell’interessato, atteggiata come esercizio di un distinto diritto strumentale, e che questo sia sottoposto a decadenza in caso di mancato esercizio entro un termine” (sentenza n. 203 del 1985);
la Corte delle leggi ha quindi esplicitato che non vi è dubbio che il diritto a pensione sia un diritto fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile, ma ciò non significa che il suo concreto esercizio non possa dalla legge essere subordinato ad adempimenti, non gravosi, dell’interessato, come è la presentazione di una domanda;
pertanto, qualora si collegasse al decorso del termine per la presentazione della domanda la decadenza anche per il futuro dal diritto sostanziale, la relativa disciplina potrebbe essere ritenuta incompatibile con i caratteri di tale diritto costituzionalmente tutelato, finalizzato ad assicurare le esigenze primarie di vita della persona, ma non altrettanto può dirsi ove ci si limiti – come nel caso di specie – a far discendere dalla mancata osservanza del termine la decadenza dal diritto alla corresponsione dei ratei di pensione relativi ai periodi di tempo anteriori alla domanda stessa;
Corte Costituzionale n. 345 del 1999 ha pure osservato che la mancata presentazione della domanda, secondo una ragionevole presunzione, va ricondotta ad una consapevole scelta dell’interessato, per cui deve riaffermarsi che “l’esercizio di ogni diritto, anche quello costituzionalmente garantito, può essere dalla legge regolato e così sottoposto a limite, sempre che questo sia compatibile con la funzione del diritto di cui si tratta (…) e non si traduca comunque nella esclusione dell’effettiva possibilità dell’esercizio in parola” (sentenza n. 203 del 1985; e cfr. anche, tra le altre, sentenze n. 10 del 1970, n. 33 del 1974, n. 33 del 1977, n. 71 del 1993);
non vengono, infine, lesi nè il principio di proporzionalità della pensione al lavoro prestato (nei limiti in cui esso possa essere riconosciuto nell’ambito del concreto sistema previdenziale), nè quello di adeguatezza della stessa alle esigenze di vita del lavoratore, poichè l’effetto sospensivo nell’erogazione della pensione prima della domanda, opera sul piano procedurale e non su quello sostanziale, nulla opponendosi a che l’interessato, fin dal momento in cui matura il suo diritto, ottenga, attraverso un adempimento certo non gravoso come la presentazione della domanda, il trattamento che gli spetta;
a tali considerazioni, pienamente valorizzabili anche al fine di vagliare l’eventuale contrasto con i contenuti imperativi delle disposizioni costituzionali di atti a contenuto normativo diversi da quelli passibili di sindacato da parte del giudice costituzionale, va aggiunta la considerazione che la parte ricorrente non ha in alcun modo espresso in che termini la previsione della decadenza in esame abbia reso eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di richiedere la pensione, ai sensi dell’art. 2965 c.c.;
in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza, in favore della parte contro-ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021
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