LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17180/2018 R.G. proposto da:
V.P., M.A., M.S., M.R., rappresentati e difesi dall’avv. Alberto Gerosa, e dall’avv. Francesca Revelli, con domicilio eletto in Roma, Viale dei Colli Portuensi n. 536.
– ricorrenti –
contro
R.M.C., C.G., CL.GA., R.G., B.V.G., MI.RO.MA.LA., rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Mazzucchi, con domicilio in Corbetta, Via Dante Alighieri n. 2.
– controricorrenti –
e L.G., RO.RO., R.F., R.G.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1693/2017, depositata 20.4.2017.
Udita la relazione svolta dal Cons. Dott. Giuseppe Fortunato, nella Camera di consiglio del giorno 9.11.2020.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi gli avv.ti. Francesca Luisa Revelli, e Roberto Giovanni Mazzucchi.
FATTI DI CAUSA
V.P., M.A., S. e R., hanno adito il Tribunale di Como, chiedendo di dichiarare l’intervenuta estinzione per non uso di una servitù di non sopraelevazione, costituita con rogito del 13.8.1873 sull’immobile di loro proprietà, sito in *****, a favore dell’edificio distinto ai mappali nn. *****.
I convenuti hanno resistito alla domanda, instando in via riconvenzionale per la demolizione delle opere eseguite dagli attori in violazione della servitù.
Esaurita la trattazione, il tribunale, con sentenza n. 709/2014, ha respinto la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, ha ordinato l’abbattimento delle costruzioni realizzate dagli attori oltre l’altezza di mt. 10,50.
La pronuncia è stata confermata in appello.
La Corte territoriale ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 102 c.p.c., rilevando che non vi era prova che Co.Or., evocato dagli appellanti in altro giudizio possessorio in qualità di litisconsorte necessario, fosse effettivamente comproprietario dell’edificio. Ha giudicato valida la clausola costitutiva della servitù pur se mancante della previsione di un corrispettivo, dato il rapporto di corrispettività tra l’insieme dei rispettivi obblighi contrattuali fissato dalle parti, precisando inoltre che il titolo originario e quelli successivi contemplavano non un diritto di natura personale, ma una vera e propria servitù e indentificavano compiutamente sia il fondo dominante che quello servente.
La sentenza ha anche escluso che il diritto si fosse estinto per non uso, poichè, già all’epoca di costituzione della servitù, l’edificio degli appellanti era disposto su due piani senza che le opere realizzate successivamente sull’immobile avessero reso impossibile l’esercizio del diritto.
La cassazione di questa sentenza è chiesta da V.P., M.A., M.S. e M.R. sulla base di tre motivi di ricorso.
R.M.C., C.G., R.G., B.V.G. e Mi.Ro.Ma.La. hanno depositato controricorso e memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Le altre parti sono rimaste intimate.
Con ordinanza interlocutoria n. 21030/2019 della Sesta sezione civile la causa è stata rimessa in pubblica udienza, in prossimità della quale i controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 1117 c.c., artt. 102 e 155 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la Corte ritenuto indimostrato che co.or. fosse comproprietario dell’edificio pur in assenza di contestazioni e benchè la parte pretermessa fosse stata già evocata in un precedente giudizio possessorio riguardante le medesime violazioni oggetto di causa.
Il motivo è infondato.
Gli attuali ricorrenti avevano sostenuto che co.or. fosse proprietario di un appartamento sito nello stabile comune, poichè era stato evocato come condomino dagli stessi R. nel giudizio possessorio avente ad oggetto le medesime violazioni denunciate nel presente giudizio petitorio.
La Corte distrettuale, respingendo la tesi degli appellanti, ha evidenziato l’assoluta mancanza di elementi a conferma della comproprietà del fondo servente, nei termini discussi in giudizio (ossia quanto all’effettiva titolarità in capo al Co., di una porzione esclusiva situata nello stabile), giudicando altresì insufficienti, in mancanza di prova documentale della proprietà, le circostanze allegate in giudizio.
La prova della titolarità di un’unità immobiliare sita nell’edificio era precondizione affinchè operasse la presunzione sancita dall’art. 1117 c.c. e affinchè si rendesse necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini, allo scopo di eseguire l’ordine di demolizione (Cass. 12767/1999; Cass. 1158/1999; Cass. 5603/2001; Cass. 23564/2019).
Ciò considerato, deve però evidenziarsi che il ricorso si limita, in proposito, a sollecitare un diverso apprezzamento delle emergenze processuali senza farsi carico di confutare il convincimento espresso dalla sentenza quanto alla ravvisata necessità della prova scritta della proprietà facente capo alla parte pretermessa, prova che, secondo il giudice di merito, richiedeva l’esibizione documentale del titolo di acquisto.
La doglianza è pertanto inammissibile per difetto di pertinenza, non sottoponendo a critica il principio di diritto enunciato dalla Corte di merito e non confrontandosi, pertanto, con il reale contenuto della decisione.
2. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1325,1346 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza respinto l’eccezione di nullità del contratto costitutivo della servitù per insufficiente identificazione del fondo dominante e per aver superato il vizio del titolo, facendo ricorso agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza omesso di esaminare la genetica indeterminatezza dell’oggetto del patto costitutivo della servitù.
I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati. La circostanza che il fondo dominante non fosse stato compiutamente individuato dal titolo costituivo della servitù è assunto decisamente smentito dalla sentenza, la quale, mediante un’analitica disamina del contratto originario (cfr. sentenza pag. 5), confortata dal contenuto dei titoli successivi (cfr. pag. 7 e ss.), ha motivatamente evidenziato come l’atto del 13.8.1873 specificasse con chiarezza che l’asservimento era costituito a favore della “casa di abitazione” dell’Avv. Polti e che l’immobile era il medesimo individuato nei successivi atti del 30.12.1981 e del 24.4.1938, restando irrilevante l’assenza di più espliciti riferimenti al bene “in proprietà” del titolare del fondo dominante.
La c.t.u. non è stata affatto impiegata per superare o colmare eventuali carenze del titolo che lo rendessero invalido in parte qua, alla stregua del dettato normativo applicabile ratione temporis (artt. 630,635 c.c. del 1865 in tema di servitù non apparenti e continue, e art. 1117 c.c., in tema di determinazione dell’oggetto del contratto), ma solo per stabilire che il fondo dominante coincideva con quello attualmente in proprietà dei resistenti (cfr. sentenza, pag. 6).
L’inciso sulla destinazione abitativa del bene, unitamente all’indicazione del contenuto dell’asservimento e della collocazione degli immobili, era elemento utile a ritenere soddisfatti i requisiti di validità del titolo.
In ogni caso, l’accertamento in ordine alla compiuta indicazione, da parte dei contraenti, degli elementi essenziali della servitù, resta incensurabile poichè pertinente al merito ed ampiamente e correttamente motivato (Cass. 380/1970; Cass. 1567/1972).
Il ricorso è respinto, con regolazione delle spese secondo soccombenza.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5300,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021
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