Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.808 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27043-2019 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA, 19, presso lo studio dell’avvocato ALDO MINGHELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATAC SPA Azienda per la Mobilità di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRENESTINA, 45, presso lo studio dell’avvocato STEFANO BIBBOLINO che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2939/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto da D.G. avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva respinto l’opposizione all’ordinanza di accertamento della legittimità del licenziamento disciplinare intimato da Atac S.p.A;

in estrema sintesi, a fondamento del decisum, la Corte di appello ha giudicato condivisibile il percorso argomentativo già condotto dal Tribunale e ritenuto che fossero provati i fatti, lesivi irreversibilmente del vincolo fiduciario, “richiamati a sostegno (del recesso) dall’azienda” e consistiti in condotte “accertat(e) in sede penale” ovvero nella partecipazione (del lavoratore) a una rapina nel medesimo giorno in cui aveva usufruito di un permesso ex L. n. 104 del 1992, per assistere alla suocera;

avverso la decisione, ha proposto ricorso il lavoratore con un unico e articolato motivo, illustrato con memoria;

ha resistito, con controricorso, la società ATAC S.p.A.;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico e articolato motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta violazione di norme di diritto con riferimento all’art. 1321 e ss, artt. 2697,2729 c.c., nonchè artt. 101,112,115,116, – iusta alligata et probata partium – artt. 414,421 c.p.c., artt. 24,27 e 111 Cost., della L. n. 104 del 1992, art. 33, del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 132, comma 1, e artt. 192,292,546 c.p.p., per avere il giudice di appello condiviso il ragionamento del Tribunale, attribuendo l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, attribuendo valore di prova a presunzioni semplici prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza (in primis per il fatto di essere riconducibili ad un’unica presunzione) e deducendo la sussistenza di fatti concreti su accertamenti non certi nè definitivi;

ad ulteriore chiarimento delle censure sviluppate nel ricorso, il ricorrente, in sede di memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha precisato che i rilievi mossi alla sentenza riguardavano anche il fatto che la Corte territoriale avesse concesso “qualità di prova” agli elementi “richiamati a sostegno dell’azienda”, onerando, così, il lavoratore a produrre prove inconferenti;

il motivo è, nel complesso, da respingere;

attraverso la formale denuncia della violazione di plurime disposizioni di legge, di natura sostanziale e processuale, il ricorso è, all’evidenza, inteso a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio e scherma dunque vizio di motivazione, nella fattispecie, in radice, precluso ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, a tenore del quale, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado (pronuncia c.d. doppia conforme), il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 – 2 – 3 e 4, sicchè diviene inammissibile la denuncia del vizio di motivazione; nè il ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse siano tra loro diverse (v. Cass. n. 5528 del 2014). La disciplina in oggetto, ratione temporis applicabile alla fattispecie, è riferibile anche alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo L. Fornero, ex art. 1, (ex plurimis, Cass. n. 23021 del 2014);

invero, i vizi di violazione di legge sono argomentati attraverso l’imputazione alla Corte territoriale di non aver adeguatamente valutato le prove raccolte; in tal modo, parte ricorrente omette di considerare, da un lato, che “l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito” (tra le tante, Cass. n. 26110 del 2015) sindacabile nei limiti, qui preclusi, di cui all’art. 360, n. 5, tempo per tempo vigente, e, dall’altro, che “spetta, in via esclusiva, (al giudice di merito) il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (tra le moltissime, Cass. n.19547 e n. 29404 del 2017);

ciò posto, vale la pena osservare che, nel percorso argomentativo della pronuncia impugnata, non emergono errori di diritto;

vi è corretta distribuzione del carico probatorio: la Corte territoriale ha individuato nel datore di lavoro la parte onerata della prova dei fatti posti a base del licenziamento come reso evidente dalla prioritaria verifica di sussistenza degli “elementi richiamati a sostegno dell’azienda”;

risulta coerente il procedimento di inferenza probabilistico impostato dai giudici di merito e fondato sulla considerazione ad est: sulla massima di esperienza) della presenza del lavoratore nel luogo in cui era stato localizzato il suo cellulare;

adeguata è la valutazione delle prove raccolte nel giudizio penale che la corte di appello ha condotto con apprezzamento critico, nel rispetto del principio di autonomia e separazione del giudizio penale da quello civile;

sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va, dunque, rigettato;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono, altresì, i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove versato, dovendosi peraltro rilevare che il D. è stato ammesso al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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