LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ANGELO Cosimo – rel. Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28111/2018 R.G. proposto da:
*****, in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Mano, domiciliato, ai sensi dell’art.
366 c.p.c., comma 2, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
AMAP s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Benigno, domiciliato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso a sentenza n. 403 della Corte d’appello di Palermo depositata il 26 febbraio 2018;
Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.
RITENUTO
Il ***** e la AMAP s.p.a. stipulavano due diversi contratti di fornitura idrica, ad esecuzione dei quali venivano istallati nell’immobile due diversi contatori.
In relazione al primo contatore, l’unico attivato sin dall’inizio del rapporto contrattuale, con lettera del 24 marzo 2006 la AMAP s.p.a. comunicava al Condominio che erano stati rilevati consumi anomali, in quanto molto elevati rispetto al consumo idrico abituale.
Successivamente, la società somministrante emetteva alcune fatture con importi di rilevante entità, che il Condominio non provvedeva a pagare. La AMAP s.p.a., dopo averne sollecitato il pagamento, procedeva al distacco definitivo del contatore, rimuovendolo fisicamente, senza alcuna comunicazione al Condominio. Contemporaneamente attivava l’erogazione dell’utenza relativa all’altro contratto, mai aperta in precedenza, mettendo in funzione il secondo contatore.
In data 29 ottobre 2009, su richiesta di AMAP s.p.a., il Tribunale di Palermo emetteva un decreto ingiuntivo nei confronti del Condominio per il pagamento delle fatture relative al primo contatore, ormai rimosso, per un totale di Euro 164.048,10.
Il Condominio proponeva opposizione, evidenziano l’abnormità dei consumi idrici addebitati e l’improvviso ed ingiustificato mutamento fra i consumi abituali e quelli registrati nelle bollette oggetto di ingiunzione.
Il Tribunale di Palermo rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.
Il Condominio appellava la decisione, deducendo, fra i motivi di gravame, che il Tribunale aveva errato nel non riconoscere valore confessorio all’interrogatorio formale del legale rappresentante dell’AMAP s.p.a. e che era stato invertito l’onere probatorio gravante sulle parti.
La Corte d’appello di Palermo rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza il Condominio ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi illustrati da successive memorie. L’AMAP s.p.a. ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.: la sentenza impugnata avrebbe ritenuto provato il credito della AMAP s.p.a. esclusivamente sulla base delle fatture, le quali, costituendo un atto unilaterale della creditrice, non potevano assumere valore probatorio.
In particolare, il Condominio afferma di aver contestato le fatture emesse dalla società somministrante. Pertanto, sarebbe stato onere di quest’ultima provare che il contatore di rilevazione dei consumi fosse stato funzionante. Il Condominio sottolinea, inoltre, che esso non poteva verificare, nè tantomeno provare, il mal funzionamento del contatore, a causa della rimozione ed eliminazione dello stesso a sua insaputa.
1.2 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e comunque perchè volto a sollecitare una revisione nel merito delle risultanze istruttorie.
1.3 In diritto, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di somministrazione con registrazione del consumo mediante l’impiego di apparecchiature meccaniche o elettroniche, in forza del principio di vicinanza della prova, spetta all’utente contestare il malfunzionamento del contatore – richiedendone la verifica – e dimostrare l’entità dei consumi effettuati nel periodo (avuto riguardo al dato statistico di consumo normalmente rilevato in precedenti bollette e corrispondente agli ordinari impieghi del bene somministrato); incombe, invece, sul gestore l’onere di provare che lo strumento di misurazione è regolarmente funzionante e, in questo caso, l’utente è tenuto a dimostrare che l’eccessività dei consumi è imputabile a terzi e, altresì, che l’impiego abusivo non è stato agevolato da sue condotte negligenti nell’adozione di misure di controllo idonee ad impedire altrui condotte illecite (da ultimo: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 297 del 09/01/2020, Rv. 656455 – 01).
In sostanza, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità sicchè, in caso di contestazione, grava sul somministrante, anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito, l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l’eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un’attenta custodia dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinchè eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi (Sez. 3, Ordinanza n. 19154 del 19/07/2018, Rv. 649731 – 02; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30290 del 15/12/2017, Rv. 646832 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23699 del 22/11/2016, Rv. 642982 – 01).
1.4 In applicazione di tali principi, il Condominio, odierno ricorrente, avrebbe dovuto contestare le fatture ed il malfunzionamento del contatore, richiedendone la verifica. Solo a quel punto l’AMAP s.p.a., somministrante, avrebbe dovuto dimostrare il corretto funzionamento del contatore.
Nel caso in esame il Condominio sostiene di aver contestato le fatture (pag. 10 del ricorso), ma non indica con quale atto ed in che tempi lo avrebbe fatto. Dalla riproduzione di alcune pagine dell’atto di citazione in appello (p. 16 del ricorso) e dalla seconda memoria ex art. 183 c.p.c. (p. 23 del ricorso), si evince che l’amministratore del Condominio si sarebbe recato presso gli uffici della AMAP s.p.a. per richiedere la verifica del contatore. Ma l’ente ricorrente non ha specificato o chiarito alcunchè sulla richiesta di verifica del malfunzionamento.
Sia il giudice di primo grado che quello d’appello hanno ritenuto che il Condominio non avesse dato prova di aver contestato le fatture. Il giudice del gravame si è fatto carico anche di esaminare la questione dell’accesso dell’amministratore del Condominio presso gli uffici della AMAP s.p.a., concludendo che neppure in quel caso il Condominio non avesse dimostrato di aver richiesto la verifica dei consumi (pag. 7 della sentenza impugnata).
Pertanto, in questo contesto il Condominio avrebbe dovuto indicare non solo in che modo e in quali termini aveva contestato le fatture, ma anche chiarire dove e quando aveva richiesto la verifica dei consumi. A maggior ragione in presenza di un’espressa presa di posizione del giudice del gravame.
1.5 Anche qualora si volesse superare il rilievo del difetto di autosufficienza, la doglianza sarebbe inammissibile sotto altro profilo.
Anzitutto, l’insussistenza della contestazione delle fatture risulta accertata, in punto di fatto, dai giudici di merito. Qualora si fosse voluto censurare una simile conclusione in sede di legittimità, l’ente ricorrente avrebbe dovuto formulare una doglianza ben diversa da quella in esame, tutta incentrata sulla violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova.
In secondo luogo, la Corte d’appello ha affermato che l’AMAP s.p.a. ha dato prova del corretto funzionamento del contatore dopo la verifica eseguita dalla società in data 8 marzo 2006. Sul punto il ricorrente afferma genericamente che la verifica non sarebbe stata eseguita o, se esistente, sarebbe avvenuta senza contraddittorio. Ma il giudice del gravame ha già affrontato questo aspetto, ritenendo che il contraddittorio non fosse imposto dal regolamento di distribuzione idrica. Il punto non risulta fatto oggetto di una censura pertinente.
Non vi è stata, dunque, alcuna inversione dell’onere della prova poichè la società somministrante ha provato il corretto funzionamento del contatore, mentre il ricorrente non ha dimostrato neppure di averlo contestato e ciò, in armonia con principi di diritto sopra richiamati, non è sufficiente a superare la presunzione di veridicità dei consumi rilevati dall’apparecchio misuratore.
2.1 Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè del dovere di correttezza e buona fede di cui all’art. 1375 c.c. da parte di AMAP s.p.a. per aver unilateralmente rimosso il contatore dell’acqua. Il Condominio sostiene che la verifica del misuratore doveva essere effettuata nel contraddittorio delle parti – o comunque doveva esserne data comunicazione – e censura, di conseguenza, l’affermazione del giudice del gravame (alla quale si è fatto cenno già nel paragrafo precedente) secondo cui tale modalità non era prevista nella normativa vigente nel 2006.
2.2 Il motivo è inammissibile.
A prescindere dalle norme di legge asseritamente violate, il motivo si articola nella prospettazione di una versione dei fatti propria del ricorrente, il quale insiste sulla opacità del comportamento della AMAP s.p.a., che, a suo dire, ha agito in malafede nel rimuovere il contatore in assenza di contraddittorio, mentre avrebbe dovuto annullare la fattura anomala ed emetterne una di acconto in linea con i consumi abitualmente rilevati.
La censura, piuttosto che prospettare un’effettiva violazione di legge, mira dunque ad ottenere un nuovo esame nel merito, precluso in questa sede.
La Corte d’appello, infatti, si è già soffermata sul fatto che il contatore sia stato legittimamente rimosso, in quanto asportato solo a seguito del distacco della prima utenza conseguente al mancato pagamento delle fatture (pag. 8 della sentenza impugnata). Il comportamento della società è stato quindi ritenuto legittimo. L’accertamento, in fatto, della legittimità dell’operato dell’AMAP s.p.a. esclude in radice che nella condotta della stessa possa ravvisarsi la violazione dell’art. 1375 c.c.
La violazione dell’art. 116 c.p.c. – che pone il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale ricorre solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (ex plurimis: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020, Rv. 658840 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01).
Nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcuna prova libera che sia stata valutata come avente efficacia legale o viceversa.
3.1 Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c. La censura si rivolge contro la sentenza impugnata nella parte in cui non ha attribuito valore confessorio all’interrogatorio formale del legale rappresentante dell’AMAP s.p.a.
I giudici di merito hanno ritenuto che non potesse riconoscersi valore confessorio a tale dichiarazione, in quanto il presidente dell’AMAP s.p.a. sottoposto ad interrogatorio aveva assunto la carica nel 2009 e poteva non essere a conoscenza di fatti del 2006 relativi ad una singola utenza.
Il Condominio sostiene invece che la condotta dell’interrogato, che ha dichiarato di non essere a conoscenza dei fatti, sarebbe equiparabile a quella di chi si rifiuta di rispondere e richiama l’orientamento di questa Corte secondo cui anche le dichiarazioni dal contenuto reticente o evasivo consentono al giudice di ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Il Condominio sottolinea inoltre che il presidente della società avrebbe dovuto documentarsi sui fatti di causa, conoscendo in anticipo le domande che gli sarebbero state rivolte.
3.2 Il motivo è infondato.
La corte di merito ha erroneamente ritenuto che il legale rappresentante dell’AMAP s.p.a. non potesse rendere interrogatorio con valore confessorio anche per fatti pregressi al suo insediamento: conoscendo il tenore dell’interrogatorio, avrebbe dovuto documentarsi sulla base delle risultanze del suo ufficio; essendosi egli, invece, schermato dietro l’argomento di non essere a conoscenza diretta dei fatti (come se si fosse trattato, anzichè di un interrogatorio, di una deposizione testimoniale), la sua dichiarazione si può considerare reticente.
Tuttavia, questa Corte ha ripetutamente affermato l’art. 232 c.p.c. non ricollega, automaticamente, alla mancata risposta all’interrogatorio formale, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma riconosce al giudice soltanto la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti con il mezzo istruttorio, purchè concorrano altri elementi di prova (fra le tante: Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9436 del 18/04/2018, Rv. 648227 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17719 del 06/08/2014, Rv. 632150 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3258 del 14/02/2007, Rv. 595544 – 01).
La Corte d’appello, dunque, dinanzi alla dichiarazione incompleta del legale rappresentante della società, non aveva alcun vincolo nel dover ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio.
La sentenza impugnata, dunque, non è viziata neppure sotto tale aspetto, poichè la corte di merito ha tenuto conto dell’esito dell’interrogatorio formale, ma non lo ha ritenuto decisivo sulla base di una complessiva valutazione del materiale probatorio acquisito.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021
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