LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4256/2019 R.G. proposto da:
ASSOCIAZIONE CENTRO TURISTICO CAMPERISTI TERNI, in persona del legale rappresentante pro tempore, B.A., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti MALANOTTE Paolo e GARZUGLIA Fabrizio, ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Panama, n. 86, presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 355/03/2018 della Commissione tributaria regionale dell’UMBRIA, depositata in data 21/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.
RILEVATO
Che:
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2014 con cui l’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. nei confronti dell’Associazione Centro Turistico Camperisti Terni, associazione non riconosciuta senza scopo di lucro, contestava a quest’ultima lo svolgimento dell’attività commerciale di rimessaggio di camper e roulotte, sottoponendo a tassazione i relativi introiti, con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dalla contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo fondata la tesi erariale.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la società contribuente con tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio. CONSIDERATO Che:
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. ma in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente lamenta che i giudici di appello, “facendo mal governo dell’attribuzione dell’onere della prova”, avevano “del tutto omesso di considerare i documenti 6, 7 e 8 allegati al fascicolo di primo grado, attestanti “la sussistenza di una vita associativa”, l’annotazione nella contabilità dell’associazione delle quote versate dagli associati necessari per le attività sociali e non di canoni di rimessaggio o parcheggio, nonchè la realizzazione di molteplici attività sociali.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, sostenendo che “dall’esame dell’avviso di accertamento e del verbale PVC (impugnati) non risulta emergere alcuna presunzione, tanto meno grave, precisa e concordante che possa astrattamente sostenere la fondatezza della contestazione all’associazione ricorrente” e che il processo verbale di constatazione conteneva “solamente impressioni dei verbalizzanti o assunti basati su dati presuntivi che, in quanto tali, sono soltanto possibili e/o probabili, indubbiamente non certi” (ricorso, pag. 8), con conseguente “infondatezza della pretesa tributaria per mancanza di prova” (pag. 9).
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sostenendo che, diversamente da quanto affermato dalla CTR, “l’associazione non esercita attività di rimessaggio e/o parcheggio” per come era desumibile dalla documentazione prodotta in primo grado.
4. Tutti i motivi addotti dalla ricorrente sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la ricorrente ha trascurato di riprodurre nel ricorso il contenuto dei documenti che assume di aver depositato nel giudizio di primo grado e che sarebbero idonei a provare l’infondatezza della tesi erariale, condivisa dai giudici di merito, in merito all’attività svolta dalla stessa. Invero, la mancata riproduzione nel ricorso del contenuto dei documenti 6, 7 e 8 allegati al fascicolo di primo grado, cui ha fatto riferimento nel primo e terzo motivo, nonchè dell’avviso di accertamento e del processo verbale di constatazione, cui ha fatto riferimento nel secondo motivo, impedisce a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito in ragione del tipo di vizio denunciato (error in iudicando e vizio di motivazione) il vaglio di fondatezza della censura.
4.1. E’ noto infatti che “Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale la parte si era limitata ad indicare i documenti non esaminati dal giudice di merito senza trascriverne specificamente il contenuto)” (Cass. n. 13625 del 2019). In termini anche Cass. n. 5478 del 2018 secondo cui “In applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso”. In senso analogo, Cass. n. 29093 del 2018, che ha specificato che “I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza”.
5. A ciò aggiungasi che nel caso di specie la ricorrente ha anche omesso l’allegazione al ricorso della copia degli atti e documenti indicati nei predetti motivi, come avrebbe potuto fare in ossequio al Protocollo d’intesa tra questa Corte ed il CNF.
6. I motivi in esame sono altresì inammissibili anche sotto altri profili, in particolare:
– il primo (dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) perchè proposto in violazione dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme rispetto alla quale la ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla dedotta censura (cfr. Cass. nn. 26774/2016, 5528/2014 e, più recentemente, Cass. n. 4741 del 2020, non massimata);
– il secondo ed il terzo perchè la ricorrente, sotto l’apparente deduzione di una falsa applicazione di legge, pretende di ottenere da questa Corte una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio (Cass., Sez. U, n. 24148 del 2013; Cass., Sez. 6 – 5, n. 91 del 07/01/2014; v. anche Cass. n. 3340 del 2019 e Cass. n. 640 del 2019, secondo cui “Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità”).
7. Pare, in ogni caso, opportuno osservare che i motivi sono anche infondati nel merito.
7.1. Invero, con riferimento alla censura mossa con il secondo motivo, va ricordato che “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. n. 1234 del 2019); vizio nella specie non deducibile ex art. 348-ter c.p.c..
7.2. Con riferimento al primo motivo deve osservarsi che la CTR ha preso in esame anche le circostanze che l’associazione ricorrente sostiene emergesse dalla documentazione prodotta in giudizio, compresa quella cui ha fatto riferimento nel primo motivo, pervenendo alla conclusione, sulla base di quanto emergente dalle risultanze della verifica effettuata dalla G.d.F. e compendiata nel relativo processo verbale di constatazione, che la vita associativa della predetta associazione era “fittizia”. A tal riguardo deve ricordarsi che il giudice del merito nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016).
8. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021