Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.10 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19206/18 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1253/17 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 15 dicembre 2017, non notificata.

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita nella camera di consiglio del 10/11/2021;

viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Dott. Giuseppe Locatelli, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, di accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda che origina il ricorso all’esame nasce dalle informazioni tratte dalla cd. lista Pessina (lista che prende il nome dall’avvocato e notaio svizzero, P.F., tratto in arresto, il 1 febbraio 2009 all’areoporto di Malpensa, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare per fatti di riciclaggio, con sequestro di un personal computer con archiviati centinaia di nominativi relativi a clientela assistita dal professionista o dal suo studio), tramite la quale l’Agenzia delle entrate appurò che, per effetto di rapporti di mandato e di consulenza con i propri clienti, l’avvocato P. aveva promosso, anche tramite una società svizzera ad egli riconducibile, la costituzione di trust e fondazioni nel Lichtenstein o in altri Paesi stranieri, ovvero l’interposizione di società veicolo, con l’intento di consentire la permanenza all’estero di capitali italiani scudati, promuovendo, quindi, finanziamenti e ristrutturazioni societarie per il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero.

1.1. Il nome di F.G. era stato ritrovato nella lista e, pertanto, gli vennero notificati vari atti impositivi in materia di imposte dirette e Iva e relative sanzioni per diverse annualità.

2. In particolare, la vicenda per cui è causa trae origine dall’impugnazione, da parte di F.G., sia dell’avviso di accertamento riguardante l’annualità 2008, con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione redditi non dichiarati per Euro 28.052,00, sia dell’atto di irrogazione di sanzioni per l’annualità 2008, per un importo complessivo di Euro 667.277,00, nonché dell’atto di irrogazione di sanzioni, per Euro 583.867,00, relativo all’annualità 2007.

3. F.G. proponeva avverso tali atti distinti ricorsi che venivano accolti dalla CTP di Verona con sentenza n. 62/2014.

4. L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso tale sentenza, che veniva rigettato con la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, n. 1253/17 del 15 dicembre 2017, impugnata in cassazione dall’Amministrazione finanziaria con un solo motivo di ricorso.

5. F.G. è rimasto intimato nonostante la rituale notifica del ricorso in cassazione avvenuta a mezzo del servizio postale in data 14/06/2018.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo ed unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione di legge (artt. 2727 e 2729 c.c. e D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6 conv. con modificazioni in L. 4 agosto 1990, n. 227) per aver i giudici di appello ritenuto non provata, da parte dell’Ufficio, la detenzione di disponibilità finanziarie all’estero per le annualità successive al 2005 e, quindi, per aver escluso che tale disponibilità si fosse mantenuta per le annualità 2007 e 2008. Deduce sul punto che “ove vi sia una disponibilità valutaria, pecuniaria, finanziaria all’estero, si deve presumere (essendo l’esistenza di disponibilità fatto grave preciso e concordante nel senso appresso indicato) che essa permanga esistente, salvo che il contribuente provi che essa è cessata e la data di cessazione.”. Deduce, altresì, che “tale assunto è corroborato proprio dal testo del D.L. n. 167 del 2010, art. 6 che pone, anzi, una presunzione legale per la quale ogni somma trasferita all’estero si presume (e’ ovvio fino a che venga dimostrato dal contribuente il contrario) che generi frutti in misura pari al tasso medio ufficiale di sconto vigente nei vari anni d’imposta per i quali vi è ragione di presumere l’attività esistente all’estero” (v. ricorso pagg. 11 e 12).

2. Il mezzo è fondato.

2.1. In relazione alle attività di natura finanziaria, il D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6 convertito con modificazioni in L. 4 agosto 1990, n. 227 (articolo così rubricato: “Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”) stabilisce che “gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta”. “”

2.2. Quindi, quando il contribuente non espone sul quadro RW del modello “Redditi” un’attività finanziaria detenuta all’estero, che avrebbe dovuto dichiarare (il quadro RW del modello “Redditi” deve essere compilato “per indicare la consistenza delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero nel periodo d’imposta di riferimento”, così, circolare n. 38 del 2013 dell’Agenzia delle Entrate), scatta la presunzione di fruttuosità della stessa, salvo prova contraria da parte del contribuente.

2.3. A fronte della chiara lettera della norma, il ragionamento della CTR – che ha escluso la fruttuosità del denaro detenuto all’estero, e non dichiarato dal F. nel quadro RW, per mancata dimostrazione del mantenimento della fruttuosità per l’anno in contestazione – oltre a violare i principi in materia di prova presuntiva, sembra stravolgere la stessa ratio della disposizione in parola.

2.4. Ed invero, l’operatività della presunzione si fonda sulla naturale fecondità della disponibilità valutaria o di denaro (gli interessi sono frutti naturali del denaro), con la conseguenza che tale fruttuosità esiste (si presume esistente) fino al momento in cui si dimostri il contrario (presunzione relativa) ovvero si dimostri che quella data disponibilità finanziaria non produce frutti. Tanto, anche in applicazione del principio di vicinanza della prova, essendo oltremodo agevole per il ricorrente accedere alla documentazione attestante l’avvenuta dismissione delle disponibilità finanziarie costituite in precedenza (nella specie dismissione avvenuta nell’anno 2006 rispetto ad attività finanziarie costituite nel 2002) 2.5. E’ evidente, dunque, che la prova contraria incombe sul contribuente il quale, con la controprova, può evitare la ripresa a tassazione dei frutti pecuniari di cui al citatao D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6.

2.6. Inoltre, la decisione della CTR va in senso contrario alla ratio della disposizione, che, per consentire la “Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori” rispetto alle attività finanziaria che di natura sono tendenzialmente fluide, ha stabilito la presunzione, a favore dell’Ufficio, della fruttuosità delle disponibilità estere.

2.7. In tal senso, come pure considerato dal sostituto procuratore generale nelle sue conclusioni scritte, il trasferimento di capitali all’estero non si esaurisce in una condotta istantanea ma determina effetti permanenti costituiti dal persistere della disponibilità all’estero delle attività occultate, con la conseguenza che la presunzione prevista dalla norma in parola riguarda sia la redditività dei capitali esportati e nascosti al fisco, sia la presunzione di mantenimento della disponibilità finanziaria per gli anni successivi e prossimi all’anno di costituzione della disponibilità estera non dichiarata.

3. Conclusivamente, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR del Veneto, sezione di staccata di Verona, in diversa composizione, la quale è tenuta a provvedere anche sulle spese riguardanti il presente giudizio di cassazione.

PQM

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Veneto, sezione di staccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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