LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5200/2013 R.G. proposto da:
P.E., con gli avv. Pierluigi Cesa e Susanna Spafford, con studio e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Vigliena n. 10, n. 6;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Venezia, n. 58/22/12, pronunciata in data 25 maggio 2012 e depositata in data 29 giugno 2012, non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 07 dicembre 2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Basile Tommaso, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri;
nessuno comparso per le parti, non essendo stata avanzata richiesta di discussione.
FATTI DI CAUSA
1. La sig.ra P.E. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005 emesso dall’Agenzia delle Entrate in esito ad un’indagine sui movimenti bancari ed ai chiarimenti richiesti e forniti dalla contribuente tramite questionario e produzione documentale, riferiti alla cessata attività di intermediazione commerciale di attrezzature. La Commissione Tributaria Provinciale con sentenza n. 29/02/11 accoglieva il ricorso, annullava l’atto impugnato, sull’assunto della illegittimità delle indagini bancarie non precedute da esibizione dell’autorizzazione necessaria, e condannava l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio.
2. L’Amministrazione finanziaria interponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Venezia difendendo il proprio operato e dolendosi della erroneità della motivazione della sentenza di primo grado, nonché della omessa pronuncia circa l’apertura della partita iva. La CTR pronunciava sentenza n. 58/22/12 del 25.05.2012, depositata in data 29.06.2012, con cui accoglieva l’impugnazione, ritenendo che l’autorizzazione alle indagini fosse presente e che non fosse necessaria la sua preventiva esibizione, ai fini della legittimità dell’azione amministrativa; nel merito riteneva, invece, inattendibili le giustificazioni della contribuente perché provenienti da dichiarazioni di congiunti e perché la movimentazione bancaria rilevata era indicativa di un’attività ancora in corso.
6. Ricorre il contribuente affidandosi a sette motivi di ricorso.
7. L’Avvocatura Generale propone controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR accolto l’appello e riformato la sentenza di primo grado per il sol fatto di aver ritenuto che l’allegazione dell’autorizzazione amministrativa alle indagini bancarie non fosse necessaria, senza pronunciare, invece, sulla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato riscontrata dal primo giudice.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la CTR di Venezia argomentato sulla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto all’obbligo dell’A.F di allegare all’avviso di accertamento l’autorizzazione alle indagini finanziarie.
4. Con il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso si lamenta violazione di legge, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, o, in subordine, n. 5, circa l’apertura forzosa della partita IVA, il valore attribuito dalla CTR alle dichiarazioni dei familiari, la valutazione dei prelievi bancari ed al mancato riconoscimento di una idonea percentuale di costi.
5. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonché dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver utilizzato le risultanze bancarie per giustificare l’accertamento e non come strumento di quantificazione dell’stesso.
6. Collegio ritiene di decidere il ricorso sulla base del primo motivo di ricorso, di per sé autosufficiente, con l’assorbimento di tutti gli altri motivi prospettati dal ricorrente, essendo superflua la decisione sui restanti capi del ricorso, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, poiché la pronuncia assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni (cfr. Cass. sez. I, 27.12.2013 n. 28663; sez. II 9.10.2012 n. 17219, sez.V 16.05.2012 n. 7663).
6.1 Il motivo è fondato.
La CTP nell’accogliere il ricorso della contribuente ha ritenuto che l’avviso di accertamento alla luce della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, del D.P.R. n.600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, fosse “del tutto privo di una motivazione”, riportando esso solo “il numero di protocollo dell’autorizzazione, che non risulta allegata all’atto e non è stata resa nota a questa Commissione neppure in sede di giudizio” ed anche sulla scorta di tale violazione ne ha disposto l’annullamento. L’Amministrazione Finanziaria, tuttavia, nell’impugnare la sentenza di primo grado si è limitata a dedurne l’erroneità solo sotto il profilo dell’obbligo di allegazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie, e non anche sotto il più generale e radicale difetto integrale di motivazione, in quanto privo della indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche dell’ufficio, oltre che della allegazione dell’autorizzazione suddetta. Secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. Civ, 21366/2017, n. 12280/2016 e n. 13880/2020), affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, anticipandosi in tal senso quanto poi disposto dal legislatore.
Inoltre, a norma dell’art. 329 c.p.c., comma 2, applicabile al processo tributario in virtù del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, “l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”.
Secondo pacifica interpretazione, tale effetto (c.d. acquiescenza impropria o acquiescenza tacita qualificata) si produce quando le “parti della sentenza non impugnate” costituiscono parti autonome e non dipendenti da quella che è oggetto dell’impugnazione, fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, contro i quali la parte aveva interesse a proporre impugnazione (Cass. VI – 5, n. 85/2015; e Cass. IV, n. 4363/2009).
Tanto è accaduto nel caso all’esame del Collegio, in cui l’annullamento dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione conserva efficacia precettiva, anche se gli altri vengono meno.
Dal che consegue l’inammissibilità dell’appello.
Il ricorso va dunque accolto, la sentenza cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 codice di rito civile, comma 3, ultimo periodo. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, con compensazione delle spese di appello per la (Ndr. Testo originale non comprensibile) delle parti.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbe tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello. Compensa le spese del grado di appello e condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro quattromilacento/00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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