LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17244/2015 R.G. proposto da:
PADANIA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa anche disgiuntamente dall’Avv. Vincenzo M.
Cesaro, e dall’Avv. Bruno Cantone, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via Calabria n. 56;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, costituita al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 7104/67/2014 depositata il 22 dicembre 2014, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 maggio 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, veniva rigettato l’appello proposto dalla società Padania S.r.l., esercente attività di macellazione e commercializzazione di carne suina, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cremona n. 80/3/13 con cui era stato dismesso il ricorso della contribuente avente ad oggetto un avviso di accertamento per Ires, Irap e Iva 2009.
2. Le riprese seguivano una verifica fiscale da cui emergeva l’irregolare tenuta dei libri contabili e il reperimento di documenti di natura extracontabile da cui i verbalizzanti deducevano l’avvenuta cessione di prodotti di carne suina senza emissione delle relative fatture.
3. Nel quadro di un accertamento analitico induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), veniva così rideterminata la percentuale di incidenza delle vendite per il 2009 senza fattura sul totale dei ricavi dichiarati per l’anno di imposta.
4. Il giudice d’appello condivideva integralmente l’esito decisorio del giudice di prime cure confermando per l’effetto l’impianto e la misura delle riprese oggetto dell’avviso impugnato.
5. Avverso la sentenza propone ricorso la contribuente, affidato ad un unico motivo che illustra con memoria, mentre l’Agenzia delle Entrate ha depositato mera comparsa di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato
che:
6. Con un unico motivo di ricorso – senza individuazione dei pertinenti paradigmi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La contribuente si duole del fatto che il giudice d’appello avrebbe unilateralmente valutato il quadro probatorio, sia con riferimento alla documentazione extracontabile reperita in sede di verifica sia quanto alle dichiarazioni rese dall’ex dipendente A.B., sia quanto alla misura del “nero” accertato.
7. Il motivo è inammissibile. Va ribadito che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.” (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).
8. Infatti, “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.” (Cass. 22 settembre 2014 n. 19959).
9. Orbene, nel suo unico motivo, informe ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, la ricorrente prospetta aspetti misti di violazione di legge e di vizio motivazionale che, nondimeno, si risolvono una complessiva richiesta di rivalutazione del materiale probatorio posto dal giudice d’appello a base della decisione sfavorevole alla società, ma senza evidenziare l’esistenza di fatti decisivi e contrari all’accertamento compiuto dal giudice del merito, ritualmente introdotti nel processo e non valutati.
10. Tali non sono evidentemente i documenti extracontabili reperiti in sede di verifica, in particolare la “contabilità riservata” reperita nella borsa della vice presidente del consiglio di amministrazione della società, aperta a seguito di autorizzazione dell’autorità giudiziaria dopo il diniego dell’interessata, come si legge a pag. 2 della sentenza impugnata.
Siffatti rilevanti elementi di prova sono stati inoltre incrociati con il contenuto delle dichiarazioni rese da ex dipendente della società con 14 anni di rapporto di lavoro pregresso. Queste ultime non sono state utilizzate acriticamente dal giudice del merito, nella consapevolezza del contrasto sindacale esistente tra l’operaio con rapporto di lavoro cessato e il precedente datore di lavoro, bensì sono state soppesate e contestualizzate da parte del giudice d’appello incrociandole ai fini dell’attendibilità e del tenore con i dati contabili emersi.
Il compendio di elementi di prova è già stato preso in carico dalla CTR e debitamente valutato nel senso di individuare incassi conseguenti alla vendita di merce senza emissione di fatture, sulla base di una motivazione immune da vizi logici anche quanto alla determinazione della misura del “nero”, cui la società semplicemente contrappone la propria “rilettura” del fatto, secondo un modus operandi inammissibile in sede di legittimità.
11. Il ricorso dev’essere in conclusione rigettato per inammissibilità della doglianza e nessuna statuizione va adottata con riferimento alle spese di lite, in assenza di svolgimento di effettive difese da parte dell’Agenzia.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022