LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 15964/2016) proposto da:
T.B., (C.F.: *****), R.O. (C.F.: *****) e R.E., (C.F.: *****), quali eredi di R.M., rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti Nicola Pagnotta, e Carlo Traverso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Roma, v. F. Denza, n. 15;
– ricorrenti –
contro
L.F., (C.F.: *****), in proprio e quale coerede del coniuge Ru.Ra., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avv.ti Augusto Pizzoferrato, e Marco Balossino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, v. Durazzo, n. 9;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 2157/2016 (pubblicata il 16 dicembre 2016);
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 novembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso ovvero, in via subordinata, il suo rigetto;
letta la memoria depositata dalla difesa dei ricorrenti ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RILEVATO IN FATTO
1. Con atto di citazione del luglio 2012 i sigg. L.F. e Ru.Ra. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Alessandria, i sigg. R.M. e T.B., deducendo che il fabbricato di loro proprietà ad uso abitativo, con relativo cortile interno, sito in *****, confinava con la proprietà degli anzidetti convenuti e che sulla loro proprietà insisteva un locale box, costruito nel 2009 in aderenza alla casa di abitazione dei medesimi confinanti convenuti. Pertanto, chiedevano che venisse costituita la comunione forzosa del muro, posto al confine tra le due proprietà limitrofe.
Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti, i quali, oltre ad instare per il rigetto della domanda degli attori, formulavano, al loro volta, domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del box auto realizzato dagli attori in violazione delle distanze legali dal confine e dal loro fabbricato e per invasione della loro proprietà, chiedendo, pertanto, di ordinare la demolizione di tale box o della porzione dello stesso comunque illegittima, oltre alla condanna degli attori al risarcimento di tutti i conseguenti danni derivanti dall’edificazione di tale manufatto.
All’esito dell’espletata istruzione probatoria, nel corso della quale era esperita anche c.t.u., l’adito Tribunale, con sentenza n. 50/2014 (depositata il 6 marzo 2014), provvedendo sulle complessive e contrapposte domande formulate dalle parti, accoglieva quella degli attori costituendo l’invocata comunione forzosa del muro, condannando gli stessi al pagamento della prevista indennità di medianza (ai sensi dell’art. 874 c.c.) nella misura di Euro 4.865,14, oltre interessi, nonché a corrispondere ai convenuti l’ulteriore importo di Euro 447,74, a titolo di risarcimento dei danni, ordinando sempre agli attori di rimuovere il pluviale (così come individuato dal c.t.u.) realizzato in violazione delle norme sulle distanze, regolando, quindi, le spese giudiziali, nel senso di compensarle per un quinto, ponendo a carico degli attori i residui 4/5 nonché gli esborsi occorsi per la c.t.u. a carico degli attori nella misura del 20% e a carico dei convenuti in quella restante dell’80%.
2. Decidendo sull’appello avanzato da T.B., R.O. e R.E. (la prima in proprio oltre che quale coerede del coniuge R.M. e gli altri due quali eredi di quest’ultimo, loro genitore) e nella costituzione degli appellati, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 2157/2016 (pubblicata il 16 dicembre 2016), in parziale riforma dell’impugnata sentenza, già operata la compensazione nella misura di 1/3, dichiarava tenuti e condannava gli appellati a rifondere agli appellanti la somma di Euro 2.400,00, oltre al rimborso forfettario e alle successive spese occorrende, per il primo grado, e quella di Euro 2.600,00, oltre accessori di legge, per il secondo grado di giudizio, confermando nel resto la sentenza oggetto di gravame.
A fondamento dell’adottata decisione, la Corte piemontese – premessa la formazione del giudicato con riferimento alla statuizione costitutiva della comunione forzosa del muro di confine, siccome non oggetto di alcun motivo di appello – osservava che lo stesso muro di confine costituiva parte strutturale del box di cui gli appellanti avevano chiesto la rimozione in primo grado, ragion per cui dall’accoglimento della domanda principale era derivato il rigetto implicito di quella avversa appena indicata di demolizione del box.
In particolare, poi, il giudice di appello – sul presupposto che l’oggetto del giudizio di secondo grado si sarebbe dovuto ritenere circoscritto all’esame della domanda dell’illegittimità della costruzione effettuata dagli originari attori sul confine tra le rispettive proprietà, oltre che alla censura sulla regolamentazione delle spese all’esito del giudizio di prime cure – rilevava l’infondatezza del predetto motivo di gravame principale, considerando che le ulteriori richieste inerenti al posizionamento della falda del tetto del box di proprietà L. – Ru. ed anche quelle riguardanti il dedotto mancato rispetto delle distanze della rampa di accesso al medesimo box erano inammissibili perché tardive, essendo state per la prima volta formulate in appello.
La Corte di secondo grado rigettava anche la doglianza volta a censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui era stato ritenuto legittimo il posizionamento della scossalina, quale opera che il comunista aveva il dovere di eseguire al fine di evitare di danneggiare il vicino.
Inoltre, la Corte di appello, prendendo in esame i motivi relativi alla regolazione delle spese come operata nell’impugnata sentenza, li accoglieva nei termini prima riportati, rilevando che, a seguito della parziale soccombenza reciproca e della relativa misura, si sarebbe dovuto ritenere congruo compensare le spese di primo grado in ragione di 1/3 (anziché di 1/5), accollando agli appellanti-originari convenuti i restanti 2/3, disciplinando quelle di appello secondo il medesimo criterio di riparto.
3. Avverso la citata sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione, riferito a quattro motivi, gli appellanti, resistito con controricorso dagli appellati. La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Tortona, per non aver la Corte di appello rilevato che il box posto in aderenza al muro rispetto al quale era stata costituita la comunione forzosa avrebbe dovuto considerarsi illegittimo, nel rispetto delle suddette norme, con riguardo alla parte per la quale era risultato sopraelevato rispetto al muro stesso ed aveva ecceduto la sua sagoma, onde per la parte in cui non aderiva corrispondentemente in altezza e in lunghezza al muro medesimo avrebbe dovuto esserne ordinata la demolizione.
2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 832 e 874 c.c., oltre che dell’art. 112 c.p.c., per non aver la Corte di appello rilevato, nell’impugnata sentenza, che la scossalina non era stata posizionata sul muro di cui era stata costituita la comunione forzosa bensì sul muro di loro esclusiva proprietà a mezzo di infissione mediante chiodi, viti e tasselli, con una conseguente indebita invasione della loro proprietà, dovendo essere posizionata ad almeno un metro dal confine, come previsto dall’art. 889 c.c..
3. Con la terza doglianza i ricorrenti hanno prospettato – ancora una volta con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 908 c.c., e dell’art. 345 c.p.c., per aver la Corte di appello valutato come nuova – e, quindi, inammissibile in secondo grado – la domanda, da ritenersi invece già avanzata con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado, con la quale avevano richiesto la declaratoria di illegittimità della realizzazione del box in questione, insistente sulla proprietà L. – Ru., nella parte in cui era risultato coperto da un tetto dal quale le acque piovane andavano a scolare sulla proprietà di essi ricorrenti anziché dei citati proprietari confinanti.
4. Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – hanno denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 c.c., dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Tortona e dell’art. 345 c.p.c., contestando l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva considerato inammissibile, perché proposta per la prima volta in appello, la domanda con cui era stata dedotta l’illegittimità della copertura della rampa di accesso al box (di cui costituiva parte integrante) siccome realizzata a distanza di 3,6 metri anziché di quella minima di cinque metri prevista dalle richiamate norme tecniche di attuazione.
5. Rileva il collegio che, in via preliminare, è opportuno circoscrivere le difese e le domande riconvenzionali proposte dagli odierni ricorrenti all’atto della loro costituzione in giudizio in primo grado e chiarire quali erano state riformulate con i motivi di appello, e ciò al fine di chiarire il complessivo “petitum” dagli stessi dedotto effettivamente in giudizio e poter pronunciare sulle prospettate violazioni dell’art. 345 c.p.c., avuto riguardo alla individuazione della portata di tale “petitum” anche in relazione alla ritenuta inammissibilità, con l’impugnata sentenza, delle domande considerate nuove.
Da quanto riportato nello svolgimento del processo emergente dalla sentenza di secondo grado, dall’individuazione dei motivi risultanti dalla stessa sentenza e dal contenuto delle complessive difese approntate dagli odierni ricorrenti fin dalla loro costituzione in giudizio in primo grado (al cui esame si può legittimamente procedere anche nella presente sede, vertendosi nell’ipotesi di denuncia di violazioni processuali), è possibile desumere che:
– innanzitutto con la domanda principale dei L. – Ru. era stata chiesta la costituzione della comunione forzosa del muro a confine per tutta la sua estensione e solo per parte dell’altezza;
– i convenuti, attuali ricorrenti, avevano proposto domanda riconvenzionale diretta a far accertare che il box edificato dagli attori sul confine era illegittimo in quanto andava ad insistere per una parte sulla loro proprietà ed anche per essere stato realizzato in spregio alle norme codicistiche e comunali sulle distanze tra fabbricati o dal confine, precisando che il box stesso era stato costruito a distanza di circa 8 cm dal loro fabbricato, che la sua copertura spiovente aveva determinato lo scolo delle acque sul loro fondo e che il canale di gronda e di scolo era stato posizionato sul muro di loro proprietà;
– con l’atto di appello gli stessi convenuti soccombenti – oggi ricorrenti – hanno reiterato, nei relativi motivi, la loro respinta domanda riconvenzionale chiedendo la declaratoria di illegittimità del box realizzato dai vicini in aderenza al muro di cui era stata chiesta ed ottenuta (senza più alcuna contestazione in sede di gravame) la comunione forzosa, invocandone la demolizione totale o, comunque, della porzione dello stesso ritenuta illegittima; inoltre, con lo stesso atto di appello era stata contestata la ritenuta legittimità dell’apposizione della scossalina sulla copertura del box, che invece avrebbe dovuto essere considerata illegittima siccome posizionata (mediante infissione) sul muro di esclusiva proprietà di essi appellanti, così come era stata confutata la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva rilevato l’illegittimità della servitù di scolo prodotta dalla caratterizzazione dello spiovente orientato verso la proprietà di essi appellanti. Inoltre, con lo stesso atto di appello, era stata contestata la sentenza di primo grado nella parte in cui non era stata ravvisata l’illegittimità della rampa di accesso al box insistente sulla proprietà confinante, siccome costruita in violazione delle distanze legali.
Orbene, sulla base di tale ricostruzione globale della vicenda processuale e delle reciproche domande formulate dalle parti, si può passare alla valutazione dei singoli motivi del ricorso proposto da T.B., R.O. e R.E..
6. Ritiene il collegio che il primo motivo (idoneamente specifico) è fondato e deve, perciò, essere accolto.
Come già evidenziato, la Corte di appello, con la sentenza qui impugnata, ha ritenuto incompatibile la domanda di declaratoria di illegittimità della costruzione del box originariamente dedotta con la domanda riconvenzionale – con la intervenuta costituzione, in via giudiziale, della comunione forzosa del muro posto a confine avvenuta con la sentenza di primo grado.
Senonché, sarebbe stato necessario tener conto che con la domanda riconvenzionale (le cui relative ragioni risultano essere state reiterate in appello) gli attuali ricorrenti avevano comunque chiesto che tale illegittimità fosse accertata quantomeno rispetto alla porzione del box non rientrante (ove constatato) nella sagoma in altezza e in larghezza del muro a confine, evidenziandosi come gli attori avevano invocato la comunione forzosa del muro per tutta la sua estensione e solo per parte dell’altezza.
Pertanto, il box realizzato dai L. – Ru. contro il muro a confine non poteva comunque essere sopraelevato rispetto all’altezza del muro stesso né eccedere la sua sagoma, come, invece, rimasto accertato in concreto, violandosi l’art. 12, lett. e), delle norme tecniche di attuazione del PRG comunale. Da quest’ultima disposizione emerge che dovevano considerarsi ammesse costruzioni in aderenza limitatamente alla sagoma delle parenti esistenti a confine, specificandosi che solo nel caso in cui la sagoma del fabbricato avesse ecceduto in larghezza la sagoma del fabbricato a confine, sarebbe stato necessario l’atto di assenso della proprietà confinante. Sulla base di questa previsione si evince, dunque, che nessuna deroga era stabilita con riferimento alla sagoma a confine eccedente l’altezza del fabbricato.
Da ciò consegue che il box realizzato dagli originari attori non avrebbe potuto essere sopraelevato rispetto al muro di confine di cui era stata chiesta la comunione forzosa né eccedere la sagoma del muro stesso, ragion per cui si profila necessario rivalutare la domanda di accertamento dell’illegittimità della costruzione del box con riferimento alla sua parte strutturale comportante un superamento della linea in altezza del muro a confine di cui è stata accolta la domanda di comunione forzosa proposta ai sensi dell’art. 874 c.c., posto che le norme regolamentari edilizie locali non consentivano di derogare rispetto alla sagoma a confine eccedente, per l’appunto, l’altezza del fabbricato.
7. Anche il secondo motivo è fondato dal momento che la scossalina – quale opera occorrente per non danneggiare i vicini – avrebbe dovuto essere infissa sullo stesso muro comune e non su quello di proprietà esclusiva dei ricorrenti determinandone un uso illegittimo e, in quanto tale, comportante anche una sua invasione, ragion per cui la sentenza di appello risulta basata su un’erronea applicazione dell’ultimo periodo dell’art. 874 c.c..
Infatti, per come rimasto pacificamente accertato a seguito della c.t.u., un’estremità della scossalina era stata applicata – ovvero infissa stabilmente – al muro insistente sopra lo zoccolo dell’abitazione dei sigg. R. – T. di proprietà esclusiva degli stessi, arretrato rispetto alla linea di confine tra i fondi, e non, quindi, sul muro di cui era stata chiesta e dichiarata la comunione forzosa, ragion per cui l’apposizione della scossalina così effettuata aveva comportato – in violazione del menzionato art. 874 c.c., ed il relazione al principio generale stabilito dall’art. 832 c.c. – l’invasione della proprietà esclusiva dei citati R. – T., donde, per come rilevato anche in sede di c.t.u., essa non avrebbe potuto essere considerata regolare.
Non può avere rilevanza, a tal proposito, che tale posizionamento rappresentasse l’unico strumento adeguato per evitare infiltrazioni alla parete esterna della proprietà dei medesimi R. – T., poiché sarebbe stato necessario ricercare comunque una soluzione tecnica alternativa implicante la sola utilizzazione del muro comune ovvero ottenere l’assenso degli stessi R. – T. per fruire come appoggio dell’estremità della scossalina della parete del muro di loro esclusiva proprietà.
8. Pure il terzo motivo merita accoglimento sotto il profilo della denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la Corte di appello ritenuto illegittimamente che la doglianza proposta in appello dai convenuti in primo grado relativa all’illecito posizionamento della falda del box di proprietà L. – Ru. fosse inammissibile, in quanto tardiva, essendo stata proposta per la prima volta in appello.
Infatti, nel chiedere con la domanda riconvenzionale l’accertamento dell’illegittimità dell’edificazione del box degli attori ed invocarne la condanna alla relativa demolizione, gli originari convenuti – poi appellanti – avevano chiesto che, a causa della copertura spiovente di detto box che riversava l’acqua verso il muro del fabbricato di proprietà di essi convenuti, posizionando, altresì, un canale di gronda e di scolo sullo stesso muro, si ovviasse anche a questa situazione in virtù della quale si erano verificati diversi fenomeni di umidità comportanti il degrado della tinteggiatura e dell’intonaco sulla facciata del muro di esclusiva proprietà degli stessi R. – T., per i cui effetti avevano invocato anche il risarcimento dei danni.
E’, quindi, evidente che gli originari convenuti, nell’articolare complessivamente la loro domanda riconvenzionale riferita all’illegittimità del box realizzato dagli attori, avevano inteso denunciare anche la violazione dell’art. 908 c.c., avuto riguardo alle modalità di edificazione del tetto di tale manufatto, con la conseguenza che – ove accertata – si sarebbe dovuta eventualmente valutare la sussistenza delle condizioni per la costituzione convenzionale o per usucapione di una servitù di stillicidio, o, in ogni caso, la sussistenza dei presupposti per l’ottenimento del risarcimento dei danni, inequivocamente richiesto.
9. Pure la quarta ed ultima censura è da ritenere fondata sempre con riferimento alla prospettata violazione dell’art. 345 c.p.c., siccome anche il motivo formulato in appello relativo al mancato rispetto delle distanze della rampa di accesso al box in questione non avrebbe dovuto essere considerato riferito ad una domanda nuova (quindi inammissibile), siccome comunque da ricondurre alla domanda riconvenzionale ritualmente proposta in primo grado rivolta all’accertamento dell’illegittimità del box edificato dagli attori in relazione all’assunto mancato rispetto delle distanze legali in concreto applicabili in relazione alla sua struttura complessiva.
10. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni compiute, il ricorso deve essere integralmente accolto con riguardo a tutti i motivi formulati e per le ragioni distintamente evidenziate, con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il derivante rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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