LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14019/2017 proposto da:
P.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Carlo Fea 4, rappresentata e difesa dall’Avv. Carlo De Maio;
– ricorrente –
contro
Società Reale Mutua di Assicurazioni, elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Asolone 8, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Milena Liuzzi, e Fabiola Liuzzi;
– controricorrente –
nonché
D.M.L., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo De Felice;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1785/2016 della Corte di Appello di Napoli depositata il 04/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7/12/2021 dal relatore Dott. DARIO CAVALLARI;
Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.
MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE P.A. ha acquistato il 16 luglio 1991 un immobile, sito in *****, a rogito Notaio D.M.L..
In seguito, è venuta a sapere che, con riferimento a detto immobile, erano state trascritte, nel marzo 1991, delle domande giudiziarie di risoluzione e simulazione proposte da alcuni precedenti proprietari ed accolte dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza n. 2514 del 2002.
P.A. ha, quindi, convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, il Notaio D.M.L. affinché fosse condannata a risarcire i danni a lei causati a titolo di responsabilità professionale per non avere effettuato correttamente le necessarie verifiche presso la Conservatoria immobiliare competente, dalle quali sarebbe emersa con certezza l’esistenza delle menzionate trascrizioni.
D.M.L. si è costituita, chiedendo il rigetto della domanda e di essere autorizzata a chiamare in causa la Società Reale Mutua Assicurazione per essere eventualmente manlevata.
La Società Reale Mutua Assicurazione si è costituita.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 13399 del 2011, ha respinto la domanda attrice.
P.A. ha presentato appello che la Corte d’Appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1785 del 2016, ha rigettato.
P.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
D.M.L. e la Società Reale Mutua Assicurazione si sono difesi con controricorso.
La ricorrente e la Società Reale Mutua Assicurazione hanno depositato memorie.
1. Con un unico motivo P.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost., artt. 832,1175,1176,1218,1223,1224,1414,1453,1458,1470,1482,1489,2230,2236,2643,2644,2645,2650,2652,2653,2654,2908 e 2909 c.c. e art. 111 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2645,2652,2653,2654,2697,2702 e 2703 c.c., in quanto la Corte d’Appello di Napoli avrebbe errato nel respingere la sua domanda di risarcimento del danno perché non sarebbe stata dimostrata la restituzione, spontanea o per effetto di una procedura esecutiva, dell’immobile oggetto di causa.
Sostiene la ricorrente che, come riconosciuto dallo stesso giudice del merito, essa era divenuta proprietaria del bene, pagandone il prezzo, e che aveva perso il suo diritto in ragione dell’accoglimento di alcune domande giudiziarie proposte contro il suo dante causa da precedenti proprietari della casa, la trascrizione delle quali, antecedente alla compravendita di cui era stata parte, non era stata colpevolmente accertata dal notaio rogante.
Essa aveva, quindi, ormai perso il suo diritto reale sulla res per effetto della negligenza della controricorrente, con la conseguenza che non assumeva rilievo il fatto che l’immobile fosse stato restituito, atteso che il danno dedotto, da quantificare in misura pari al valore del cespite, era rappresentato dal venire meno del diritto dominicale acquistato.
Inoltre, dalla documentazione agli atti emergeva che il bene era stato spontaneamente reso ai legittimi proprietari.
La doglianza è fondata.
Nella specie, non è in contestazione la condotta del notaio rogante, la quale sarebbe stata in astratto causa del danno lamentato dalla ricorrente.
L’unico motivo, quindi, per il quale la domanda di P.A. è stata rigettata e’, per la corte territoriale, la circostanza che essa non avrebbe dimostrato l’effettiva perdita del bene, “avvenuta spontaneamente o a seguito di procedura esecutiva conclusa”.
Al riguardo, si osserva che l’azione di responsabilità contrattuale nei confronti del professionista che abbia violato i propri obblighi può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato.
Per accertare tale danno, integrato dalla perdita patrimoniale e dal mancato guadagno, è necessario valutare se il cliente avrebbe, con ragionevole certezza, potuto conseguire una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il notaio avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione (Cass., Sez. 3, n. 3657 del 14 febbraio 2013).
Siffatto accertamento, peraltro, va compiuto considerando il bene giuridico che il presunto danneggiato avrebbe perso in conseguenza della violazione contestata al professionista.
La decisione di appello, affermando il valore dirimente della mancata restituzione dell’immobile, non ha tenuto conto che quello che P.A. sosteneva di avere perduto non era il godimento della res, ma il diritto dominicale sulla stessa.
D’altronde, è stato affermato che l’evizione nel contratto di compravendita si verifica allorché l’acquisto del diritto sul bene ad opera dell’acquirente è impedito e reso inefficace dal diritto che il terzo vanti sullo stesso bene, senza che occorra anche, quale elemento necessario, che il compratore sia privato dell’effettivo possesso che si trovi eventualmente ad esercitare sulla cosa, tenuto conto che la causa del contratto sta nel trasferimento del diritto sul bene, mentre la consegna dello stesso è solo una sua conseguenza logica e giuridica (Cass., Sez. 2, n. 20165 del 18 ottobre 2005).
Nel caso in esame, dalla lettura del ricorso si evince che la ricorrente aveva prospettato che, se il notaio avesse correttamente adempiuto ai propri doveri, essa non avrebbe perduto la proprietà del bene e che la richiesta di risarcimento del danno è stata parametrata proprio sul venire meno del detto diritto dominicale. Peraltro, la circostanza che una condotta diligente del professionista avrebbe ragionevolmente impedito l’acquisto del cespite da parte di P.A. si ricava direttamente dalla sentenza impugnata.
Indubbiamente, come chiarito in tema di garanzia per evizione (i principi concernenti la quale assumono valore nel presente caso, venendo pur sempre in rilievo le conseguenze della perdita del diritto di proprietà su un bene acquistato in ragione della presenza di un diritto prevalente di soggetti terzi), elemento caratterizzante la garanzia de qua, sia in relazione alla vendita volontaria che a quella forzata, è dato dall’intervento rivendicativo o espropriativo da parte del terzo.
Ne deriva che non si ha evizione, con conseguente sorgere del diritto alla garanzia, per la sola affermazione dell’esistenza del diritto di proprietà da parte del terzo, indipendentemente da ogni azione di quest’ultimo, ma occorre che il terzo medesimo si attivi per recuperare il diritto nella propria sfera patrimoniale, e che il suo diritto sia accertato definitivamente.
La giurisprudenza (Cass., Sez. 3, n. 7294 del 13 maggio 2003) ha chiarito, però, che la suddetta situazione è ritenuta, comunque, legalmente esistente nelle seguenti quattro ipotesi:
a) diritto accertato giudizialmente con sentenza passata in giudicato;
b) riconoscimento del diritto del terzo da parte del compratore, dotato delle caratteristiche di cui all’art. 1485 c.c., comma 2;
c) espropriazione per esecuzione forzata;
d) espropriazione per pubblico interesse.
In particolare, è stato precisato che la prescrizione dell’azione di evizione decorre non dalla data di conclusione del contratto, ma dal momento in cui il diritto del terzo sul bene è incontestabilmente accertato. Tale incontestabilità può coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza ovvero con il perfezionamento della transazione che pone fine alla lite tra colui che agisce in garanzia ed il terzo rivendicante. Peraltro, il compratore ha facoltà di proporre nei confronti del venditore l’azione di garanzia per l’evizione minacciata dal terzo, benché, in questa eventualità, l’accoglimento della domanda sia subordinato all’accertamento del diritto del terzo (Cass., Sez. 2, n. 9642 del 16 luglio 2001).
Può affermarsi, allora, che la sentenza impugnata, nel dare rilievo alla restituzione spontanea od a seguito di procedura esecutiva conclusa non ha tenuto conto che la garanzia in questione è azionabile pure se l’evizione sia stata prospettata, a condizione che il diritto prevalente dei terzi sia stato accertato o riconosciuto nei termini indicati dall’art. 1485 c.c., comma 2.
Nella presente controversia, il diritto dei terzi è da ritenere ormai accertato (o, comunque, la Corte di Appello di Napoli non ha escluso la circostanza), alla luce del riconoscimento della stessa ricorrente e della sicura anteriorità della trascrizione delle domande giudiziarie dei menzionati terzi rispetto a quella dell’atto di acquisto di P.A..
Una volta verificato ciò, il danno deve essere determinato sulla base di quanto allegato e dimostrato da chi agisce in giudizio, ai sensi dell’art. 2697 c.c..
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che l’evizione comporta il venire meno del bene in capo al proprietario, ma il danno deve essere calcolato alla luce della diminuzione patrimoniale effettiva, per determinare la quale è rilevante, in primis, la circostanza che il compratore abbia sostenuto o meno l’esborso necessario all’acquisto, in quanto la mancata corresponsione del prezzo da parte del compratore comporta che il patrimonio dell’acquirente non si sia depauperato della somma corrispondente.
Il rilievo di questo profilo deriva dal fatto che la determinazione del danno da evizione totale è rapportabile, innanzitutto, al c.d. interesse negativo, costituito, appunto, dalla restituzione del prezzo, dal rimborso delle spese della vendita e dai frutti che l’acquirente abbia dovuto corrispondere a colui dal quale sia stato evitto, oltre gli accessori e le spese giudiziali, atteso che, essendo venuta meno la ragione giustificatrice della controprestazione, occorre ripristinare la situazione economica dell’acquirente antecedente alla vendita (Cass., Sez. 2, n. 9642 del 16 luglio 2001), salvo che non rilevi anche il lucro cessante ove si accerti che il danneggiante abbia agito con dolo o con colpa in riferimento alla particolare causa che ha determinato l’evizione, come si evince dal richiamo, da parte dell’art. 1483 c.c., del disposto dell’art. 1479 c.c., che, a sua volta, fa riferimento all’art. 1223 c.c. (Cass., Sez. 2, n. 18259 del 17 settembre 2015).
Il danneggiato, inoltre, ben può dimostrare di avere patito un danno ulteriore rispetto a quello sopra indicato, ad esempio perché il valore dell’immobile perduto era divenuto superiore al prezzo corrisposto, dovendosi considerare che, comunque, la misura del risarcimento non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene. Peraltro, ben può accadere che detto danno non sussista o sia inferiore a quello indicato, come nell’ipotesi nella quale risulti che il prezzo non è stato pagato (Cass., Sez. 1, n. 17810 del 3 luglio 2019).
Il principio appena enunciato, per quanto specificamente affermato in rapporto alla responsabilità del venditore, deve trovare applicazione anche al fine di determinare l’entità del risarcimento dovuto dal notaio, perché pure in tal caso l’inadempimento viene postulato come determinativo del medesimo danno da evizione totale.
Spetta, poi, al giudice del merito stabilire l’effettiva esistenza ed entità del danno da inadempimento, applicando i criteri esposti.
Si ritiene opportuno precisare che non assume rilievo la circostanza che, nella specie, il danno non sia stato allegato nella prospettiva dell’inutile versamento del prezzo per l’acquisto dell’immobile gravato, ma del valore di questo, essendo ovvio che il mancato versamento del prezzo da parte dell’acquirente costituisca un elemento essenziale per determinare siffatto valore.
Privo di importanza e’, infine, come pure già sostanzialmente affermato dalla corte distrettuale, il pignoramento dell’immobile ad opera dell’istituto di credito che aveva concesso ad P.A. il mutuo da lei richiesto per comprare il cespite in seguito al mancato pagamento delle relative rate.
Infatti, si tratta di vicenda che non incide sul rapporto fra le parti del presente giudizio e fra la ricorrente e coloro che hanno ottenuto la proprietà della res, ma che, eventualmente, dimostrano il danno che P.A. ha subito in seguito all’inadempimento, da parte di D.M.L., ai suoi obblighi professionali.
Gli ulteriori profili oggetto del ricorso, concernenti la prova dell’avvenuto rilascio in concreto del bene sono da ritenere assorbiti.
2. Il ricorso va, quindi, accolto.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, diversa sezione, perché decida la causa nel merito, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte;
accoglie il ricorso; cassa con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, diversa sezione, affinché decida la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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