Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.112 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22884/2017 proposto da:

Fastweb S.p.a., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour n. 17, presso lo Studio avv.ti Ristuccia e Tufarelli, rappresentata e difesa dagli avvocati Tufarelli Luca, Siciliano Domenico, Ristuccia Renzo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Vodafone Italia S.p.a., già Vodafone Omnitel B.V., già Vodafone Omnitel N.V., già Vodafone Omnitel S.p.a., già Omnitel Pronto Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Due Macelli n. 66, presso lo studio dell’avvocato Boso Caretta Alessandro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Libertini Mario, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 887/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 01/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 887/2017, depositata in data 1/3/2017, – in controversia promossa, con citazione del dicembre 2010, da Fastweb spa, società operante nel settore dei servizi di telefonia, nei confronti di Vodafone Omnitel N.V., società che fornisce in Italia servizi di comunicazione mobile attraverso le proprie reti, all’esito del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) n. 11731 del 3/8/2007 (divenuto definitivo nell’aprile 2011, a conclusione delle impugnazioni dinanzi al giudice amministrativo, con il quale era stato accertato l’abuso di posizione dominante nei confronti della Telecom e della Wind, mentre per la Vodafone vi era stata accettazione degli impegni assunti, L. n. 287 del 1990, ex art. 14 ter), al fine di sentire accertare l’illecito per abuso di posizione dominante, detenuta nel mercato all’ingrosso (wholesale) delle terminazioni delle chiamate originate da rete telefonica fissa e destinate a utenti di telefona mobile Vodafone, in violazione degli artt. 101 e 102 TFUE, e l’illecito extracontrattuale ed anticoncorrenziale, in violazione degli artt. 2598 e 2043 c.c., posto in essere dalla Vodafone, attraverso l’imposizione a Fastweb di condizioni contrattuali inique e discriminatorie per l’acquisto del servizio di terminazione fisso-mobile, nonché l’applicazione da parte di Vodafone alle proprie divisioni commerciali ed ai propri clienti finali di prezzi per i servizi di terminazione delle chiamate originate da rete fissa e dirette verso utenze di reti mobili assai inferiori rispetto quelli applicati all’ingrosso a Fastweb per i medesimi servizi, con conseguenti pronunce inibitorie, risarcitorie ed accessorie, – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva, in accoglimento di eccezione della convenuta, dichiarato prescritta la pretesa risarcitoria, con riferimento ai fatti commessi prima del 29/12/2005 (termine decorrente, nell’impostazione del Tribunale, dall’apertura dell’indagine amministrativa, nel febbraio 2005, a carico della Vodafone, ed al più tardi in prossimità dell’intervento di Fastweb in tale procedimento), e respinto nel merito la domanda, con riferimento al periodo successivo, in difetto di comportamenti illeciti imputabili a Vodafone.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che: a) per il periodo anteriore al 2005, era corretto il ragionamento del Tribunale che aveva individuato il dies a quo per far decorrere il termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria nel 23/2/2005, momento di avvio del procedimento dinanzi all’AGCM e momento percettivo del danno per un soggetto come Fastweb, operante nel medesimo mercato del danneggiante, che aveva una relazione commerciale diretta con Vodafone, non essendo peraltro applicabile il principio posto dall’art. 10 della Direttiva 2014/14/UE (cui hanno fatto seguito la L. n. 114 del 2015, di delega al Governo per il suo recepimento, ed il D.Lgs. n. 3 del 2017, entrato in vigore il 3/2/2017, di sua attuazione), non operante retroattivamente e quindi non applicabile a domande proposte prima del 26/12/2014, né potendo invocarsi il termine decennale di prescrizione ordinaria, come prospettato in appello, avendo Fastweb proposto, in primo grado, un’azione di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., e comportando la doglianza, in ordine alla prospettazione di proposizione anche di una violazione contrattuale, una mutatio libelli, inammissibile; b) era infondata la censura di nullità della CTU per violazione del contraddittorio, per avere il consulente utilizzato documenti sui quali i consulenti di parte attrice non avevano avuto accesso, considerato che si trattava di documenti, per diverse ragioni, irrilevanti (atteso che, per il periodo anteriore al 2006, erano state omesse da Vodafone esclusivamente le informazioni relative all’offerta di servizi di telefonia mobile e riguardando l’analisi invece il servizio di telefonia fissa aziendale, mentre il contenuto di un CD-Rom, acquisito al fascicolo istruttorio *****, e in particolare i fogli elettronici denominati *****, che Fastweb non aveva potuto visionare, non erano stati utilizzati ai fini degli accertamenti peritali e, per le offerte commerciali successive al 2006, l’illecito di Vodafone non era stato neppure rilevato dall’AGCM); c) per il periodo successivo al 2005, non vi erano condotte illecite di Vodafone, sia alla luce di quanto stimato dal consulente tecnico, in relazione al fatto che i prezzi praticati non erano inferiori ai costi commerciali, sia alla luce del fatto che AGCM non aveva neppure ritenuto necessario aprire un’altra istruttoria.

Avverso la suddetta pronuncia, Fastweb spa propone ricorso per cassazione, notificato il 29-9/6-10/2017, affidato a cinque motivi, nei confronti di Vodafone Italia spa (che resiste con controricorso, notificato il 13/11/2017). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, l’errata e contraddittoria, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., qualificazione della domanda proposta come extracontrattuale, e la conseguente errata applicazione del termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., anziché del termine decennale ordinario di cui all’art. 2946 c.c.; b) con il secondo motivo, la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2932 c.c., art. 102 TFUE e dei principi in materia di decorrenza della prescrizione antitrust; c) con il terzo motivo, la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 47 e delle Delib. AGCom 338/99/Cons p.7, Delib. 47/03/Cons, Delib. 286/05/Cons, Delib. 3/06/Cons, art. 7, Delib. 667/2008/Cons artt. 6 e 10, nonché dell’art. 2697 c.c. e art. 210 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto il motivo di gravame concernente l’analisi del CTU, ripresa dal Tribunale, in punto di ricostruzione della condotta di discriminazione attuata da Vodafone sulla base del prezzo regolamentare di terminazione, anziché del costo effettivo sostenuto dalle divisioni commerciali, essendosi negata un’istanza di esibizione della contabilità interna di Vodafone; d) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 24 e 11 Cost., art. 101 c.p.c., art. 194 c.p.c., comma 2, art. 206 c.p.c., art6t. 90 e 91 disp. att. c.p.c., per avere il consulente tecnico d’ufficio basato le sue conclusioni su documenti, presenti nel fascicolo istruttorio del procedimento AGCM *****, quali i piani tariffari di Vodafone e gli sconti applicati alla propria clientela aziendale, contenuti in fogli excel denominati ***** ed in un CD-Rom, ritenuti da Vodafone riservati, con conseguente negatoria al relativo accesso da parte di Fastweb; e) con il quinto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 102TFUE, per avere la Corte d’appello, per il periodo successivo alla dichiarata prescrizione, al 2005, ritenuto corretto il comportamento di Vodafone, in assenza di istruttoria e rilievi da parte dell’AGCM, così negando l’esistenza stessa di azioni c.d. stand alone.

2. Giova, preliminarmente, rammentare (come si evince dalla sentenza impugnata e dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2438/2011, emessa a conclusione del giudizio di impugnazione del provvedimento dell’AGCM) che, nel Febbraio 2005, l’AGCM ha avviato un procedimento contro Wind, Telecom e Vodafone (operatori di rete mobile c.d. integrati, in quanto forniscono servizi di comunicazione mobile attraverso infrastrutture di rete che utilizzano sulla base di risorse radio ad essi assegnate in via esclusiva e che sono anche titolari di licenze per operare servizi di telefonia su rete fissa), per pratica discriminatoria nel mercato all’ingrosso dei servizi di terminazione delle chiamate fisso-mobile sulle rispettive reti, nel periodo 1999/2005, finalizzata ad escludere i potenziali concorrenti nel mercato finale dei servizi di fonia fisso-mobile per la clientela aziendale, contestando ai suddetti tre operatori l’offerta, alle proprie divisioni commerciali, di condizioni tecniche-economiche (offerta di maggiori dimensioni di servizi di fonia fisso-mobile, con soluzioni tecniche alternative, per trasformare il traffico fisso-mobile nel meno costoso mobile-mobile; offerta di contratti di carrer-selection, destinati alla clientela aziendale o alla grande clientela di affari, con forti sconti sulla direttrice fisso-mobile; tariffe, praticate alla clientela business, inferiori ai costi di terminazione che un operatore concorrente doveva supportare per offrire lo stesso servizio), per le chiamate fisso-mobile, più favorevoli rispetto a quelle applicate agli operatori concorrenti, rendendo, quindi, loro impossibile l’offerta di tariffe competitive.

Nel caso di specie, il fattore di produzione era rappresentato, per l’appunto, dal servizio di terminazione delle chiamate sulle reti degli operatori di fonia mobile, che gli operatori di fonia fissa hanno la necessità di acquistare per permettere ai propri clienti di chiamare le utenze di fonia mobile.

In data 28/7/2006, veniva adottata la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (c.d. CRI) con la quale venivano contestati, per quanto qui ancora interessa, tre abusi di posizione dominante individuale da parte delle suddette società nei mercati delle terminazioni sulle rispettive reti mobili.

Nei confronti di Vodafone, il procedimento non si concluse con l’accertamento dell’infrazione, ma con il provvedimento del 24 maggio 2007, con cui l’AGCM, senza accertare le infrazioni, accettò gli impegni offerti dalla stessa, ai sensi della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 14 ter, impegni ritenuti idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali, con conseguente loro obbligatorietà e stralcio della relativa posizione di Vodafone dal procedimento.

Nei confronti di TELECOM e Wind, l’AGCM, all’esito dell’istruttoria conclusa nel 2006, accertò, invece, nell’agosto 2007, l’abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 82 del Trattato CE (ora 102 Trattato UE), nei rispettivi mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione sulle proprie reti, consistente nell’applicazione alle proprie divisioni commerciali di condizioni tecniche/economiche per la terminazione delle chiamate fisso/mobili sulle proprie rispettive reti, più favorevoli rispetto a quelle praticate ai concorrenti, ed inflisse loro una sanzione amministrativa.

3. Tanto premesso, la prima censura è infondata.

La ricorrente prospetta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per errata e contraddittoria qualificazione della domanda come extracontrattuale, con conseguente erronea applicazione del termine quinquennale di prescrizione in luogo di quello ordinario decennale, deducendo che essa, nell’azione risarcitoria spiegata, aveva comunque prospettato “una violazione contrattuale”, vale a dire “l’applicazione da parte di Vodafone di condizioni contrattuali inique e gravose consistenti nell’applicazione di un prezzo all’ingrosso nel contratto di interconnessione tra le parti – avente ad oggetto la fornitura del servizio di terminazione – ben superiore al prezzo praticato al dettaglio da Vodafone ai propri clienti”, in violazione dell’obbligo di non discriminazione imposti dalle Autorità indipendenti, quali AGCom, in forza di delibere che integrano ai sensi dell’art. 1339 c.c., gli atti negoziali, ed aveva chiesto anche “la restituzione di quanto pagato in più a Vodafone (cd. overcharge)”.

Ora, in punto di ammissibilità della censura (contestata dalla controricorrente), occorre richiamare quanto da ultimo chiarito da questa Corte (Cass. 11103/2020): “La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di “error fatti”, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

Invero, l’interpretazione della domanda è compito riservato in via esclusiva al giudice di merito e come tale resta sottratta, se congruamente motivata, al sindacato di legittimità, ma ove, tuttavia, da tale interpretazione la parte faccia discendere la violazione del principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, denunziando quindi un errore in procedendo, la Corte di cassazione è investita di un potere-dovere di sindacato pieno, con possibilità di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, conseguentemente, delle istanze e delle deduzioni delle parti (Cass. 13426/2004; Cass. 8004/2005; Cass. 4206/2005).

Tuttavia, pur nell’ammissibilità della censura, la stessa è infondata.

Invero, Fastweb ha chiesto, in citazione ed in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, accertarsi e dichiararsi che le condotte di Vodafone “costituiscono abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102 del Trattato TFUE e/o condotte illecite ed anticoncorrenziali in violazione degli artt. 2598 e/o 2043 c.c.”; l’azione si poneva come tipica azione follow-on del procedimento ***** svoltosi dinanzi all’AGCM ed aveva ad oggetto l’accertamento dell’illecito posto in essere dalla convenuta, in violazione dell’art. 102 TFUE e delle regole sulla concorrenza per soggetto operante in posizione dominante su un certo mercato e dunque come illecito extracontrattuale, rientrante nell’ambito della responsabilità aquiliana.

Il fatto produttivo di danno è un illecito consistente nella violazione di norme di condotta, quali quelle antitrust, poste nell’interesse generale e corredate, per tale ragione, da sanzioni amministrative, che possono anche ledere interessi privati, cagionando danni ingiusti, risarcibili ex art. 2043 c.c..

Non veniva dedotta espressamente e chiaramente anche un’azione risarcitoria da inadempimento di Vodafone alle obbligazioni derivanti dal contratto di interconnessione concluso con Vodafone, vale a dire agli obblighi di fornire, secondo standard di servizio, la terminazione sulla propria rete ai clienti Fastweb.

D’altra parte, un potere di riqualificazione della domanda è consentito al giudice soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili e, in tema di risarcimento del danno, ove la domanda rimanga “ambigua”, non risultando in base al petitum e alla causa petendi possibile evincersi la precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale (dovendo, in tal caso, la domanda essere espressamente fondata sull’inadempimento del debitore ad una determinata e specifica obbligazione contrattuale, non essendo sufficiente la semplice prospettazione generica dell’inosservanza di precetti o di disposizioni legislative), deve ritenersi che sia stata proposta una azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (Cass. 5244/2006; Cass. 24197/2014; Cass. 20508/2017).

La mera allegazione dunque dell’esistenza di un rapporto contrattale con Vodafone non poteva implicare una qualificazione dell’azione come di responsabilità contrattuale e di restituzione di somme indebitamente pagate.

L’overcharge o sovraprezzo era stato richiesto dall’attrice a titolo di risarcimento del danno da asserita condotta anticoncorrenziale, in quanto il danno-conseguenza subito, per effetto dell’abuso posto in essere da Vodafone, forte di una asserita posizione dominante nel mercato, sarebbe consistito, nella prospettazione difensiva di Fastweb, nell’applicazione da parte di quest’ultima di una discriminazione di prezzo per i servizi all’ingrosso di terminazione tra la divisione dei propri servizi mobili ed i suoi concorrenti e comportante acquisizione da parte dell’impresa dominante di un vantaggio competitivo sulle concorrenti.

Il tutto non comportava una possibilità di qualificazione diversa della espressa ed inequivoca domanda risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, in termini anche di responsabilità contrattuale.

4. La seconda censura è del pari infondata.

In punto di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, vanno richiamati i principi di diritto di recente affermati da questa Corte in procedimenti civili concernenti azioni antitrust c.d. follow-on, nascenti a seguito del procedimento compiuto dall’AGCM.

Invero, con la sentenza n. 5381/2020, si è affermato che: a) “in tema di azioni risarcitorie derivante dalla violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea, proposte anteriormente alla data del 26 dicembre 2014, data individuata dalle disposizioni transitorie di cui all’art. 22 della dir. 2014/104/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa alle norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea, ed al D.Lgs. n. 3 del 2017, art. 19, di attuazione nell’ordinamento italiano della medesima direttiva, non si applicano le norme di natura sostanziale in essa previste né quelle nazionali che le recepiscono, che abbiano ad oggetto la prescrizione delle menzionate azioni risarcitorie, non avendo le stesse valenza retroattiva”; b) “in materia di disciplina della concorrenza nell’ordinamento italiano, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore della dir. 2014/104/UE, il diritto al risarcimento del danno da illecito antitrust risulta garantito, senza che possa ravvisarsi un’impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio al punto di vanificare il principio di effettività della tutela posto dall’art. 102 T.F.U.E., dalla previsione di un termine quinquennale di prescrizione dettato dalla normativa nazionale, che cominci a decorrere dal momento in cui sia stato dato, con pubblicità legale, avvio al procedimento amministrativo dinanzi all’Autorità Garante per l’accertamento dell’abuso di posizione dominante rispetto ad un’impresa concorrente”.

Con la sentenza n. 7677/2020, si è ribadito che “in tema di risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere dal momento in cui il titolare sia stato adeguatamente informato o si possa pretendere ragionevolmente e secondo l’ordinaria diligenza che lo sia stato, non solo dell’altrui violazione ma anche dell’esistenza di un possibile danno ingiusto” (nella specie, è stata confermata la decisione di merito che in presenza di una pretesa risarcitoria da illecito antitrust, avanzata da un’impresa concorrente che operava nel medesimo settore di quella dominante, ha ritenuto che il “dies a quo” della prescrizione potesse essere anticipato alla data di avvio dell’istruttoria dinanzi all’AGCM, rispetto a quella di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio assunto all’esito della ridetta istruttoria).

In particolare, nella motivazione della sentenza n. 5381/2020, si è osservato che: “nell’ipotesi in cui a vantare la pretesa risarcitoria da illecito antitrust, che segua un provvedimento dell’AGCM di accettazione degli impegni dell’impresa dominante, L. n. 287 del 1990, ex art. 14 ter, nel periodo anteriore al recepimento ed attuazione a livello nazionale della Direttiva 2014/114/UE, sia un’impresa concorrente, che opera nel medesimo settore di quella dominante e dalla quale può ragionevolmente presumersi, secondo la regola della diligenza, che essa osservi e vigili sulle condotte delle altre imprese, miranti ad escluderla dalla competizione, il dies a quo della prescrizione può essere anticipato, rispetto alla data di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio, alla data di avvio dell’istruttoria dinanzi all’AGCM, quale momento in cui può ragionevolmente desumersi che l’impresa abbia avuto conoscenza della condotta oggetto dell’istruttoria antitrust e dei suoi effetti anticoncorrenziali, in termini di danno ingiusto, essendo essa stata evidenziata all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità. Il tutto anche in un’ottica pro-concorrenziale, cui in definitiva mira la materia, in quanto non vanno premiati i comportamenti delle imprese che, nel mercato in cui operano, non si adoperino per impedire il protrarsi degli effetti restrittivi della concorrenza, coltivando la domanda risarcitoria immediatamente dopo la percezione dell’illecito concorrenziale”. In ogni caso, come anche rilevato di recente da questa stessa Sezione(Cass. 18176/2019), tale valutazione va condotta caso per caso, in relazione al grado di competenza e di effettiva conoscibilità proprio del soggetto danneggiato, accertando in quale momento esso abbia avuto sufficiente e adeguata informazione quanto alla sussistenza dell’illecito lamentato in tema di tutela della concorrenza.

Va quindi, anche in questa sede, ribadito, con conferma della statuizione impugnata, che, nella specie, la pubblicità (anche sul sito internet ufficiale dell’Autorità Garante) dell’avvio, nel febbraio 2005, dell’istruttoria antitrust, procedimento A/357, nella quale si contestava agli operatori TELECOM WIND e VODAFONE di avere applicato alle proprie divisioni commerciali condizioni economiche più favorevoli per la terminazione fisso-mobile cosicché i prezzi finali praticati alla clientela aziendale dagli operatori suddetti erano inferiori di quelli degli operatori terzi concorrenti, ha consentito, in relazione alla tipologia di illecito anticoncorrenziale (un abuso escludente e non un’intesa segreta), alla Fastweb (non un consumatore finale ma un operatore economico del settore, oltretutto, contraente diretta della Vodafone ed intervenuto pure nel procedimento amministrativo) di avvedersi della lesività della condotta di Vodafone (pur senza conoscere ancora la struttura dei costi interni applicati da quest’ultima), essendo tenuta, quale operatore professionale del settore, a monitorare i prezzi delle imprese concorrenti.

Il ragionamento espresso in quanto sufficientemente e coerentemente motivato è insindacabile in questa sede (Cass. 2305/2007).

5. Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili.

Con il terzo motivo, la ricorrente invoca, invero, una violazione della normativa di settore (l’art. 47 del codice delle Comunicazioni Elettroniche e le delibere AGCom che hanno regolamentato la terminazione su rete mobile), senza compiutamente spiegare come tale violazione inciderebbe sull’accertamento del dedotto abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE e senza neppure spiegare perché la chiesta esibizione della “contabilità interna di Vodafone” fosse indispensabile all’accertamento dell’abuso.

Con il quarto motivo si lamenta che il CTU abbia concluso l’indagine sulla base di documenti e dati visti solo dal consulente, essendo stati trasmessi a Fastweb (in particolare alcuni contratti relativi a clienti aziendali Vodafone) in versione “omissata”.

Ora, il motivo difetta sempre di specificità, anche perché la Corte d’appello ha spiegato che le informazioni, riservate, erano irrilevanti ai fini del decidere, attenendo all’offerta di Vodafone di servizi di telefonia mobile e quindi estranei all’oggetto di causa che riguardava il servizio di telefonia fissa aziendale, ovvero che i dati non sono stati neppure presi in considerazione dal consulente.

Le doglianze risultano comunque anche infondate.

Invero, la Corte d’appello ha precisato (e ciò rileva per entrambe le censure formulate dalla ricorrente), al fine di escludere la necessità di acquisire la contabilità interna di Vodafone, che il consulente tecnico, “con argomentazioni non oggetto di adeguata critica da parte dell’appellante”, aveva rilevato come, ai fini dell’applicazione del test “margin squeeze”, occorreva riferirsi al prezzo regolamentato della terminazione fisso-mobile, prezzo che Vodafone ha fatto pagare ai concorrenti, per stabilire se “le divisioni commerciali dell’operatore dominante sarebbero state in grado di conseguire un profitto (inteso come margine positivo dalle offerte retail praticate nel mercato a valle ove avessero in ipotesi dovuto pagare per la terminazione (la terminazione fisso-mobile) lo stesso prezzo applicato da Vodafone ai concorrenti”.

La correttezza della metodologia dell’indagine contro-fattuale sopra descritta è stata già esaminata da questa Corte in recente pronuncia (n. 7678/2020), anch’essa avente ad oggetto un giudizio follow-on al procedimento ***** dinanzi all’AGCM, il caso Telecom/Brennercom, operatori concorrenti nel settore della telefonia, giudizio conclusosi con l’accertamento di un danno conseguente all’abuso dell’operatore dominante, da riduzione del margine di guadagno dell’impresa danneggiata, ed è stata così spiegata, con argomentazioni utili anche alla presente causa: a) l’abuso contestato dall’AGCM era un abuso “escludente dell’impresa dominante attuato nel mercato a monte (per maggiorazione dei costi di terminazione, nel mercato all’ingrosso, praticato ai concorrenti rispetto alle condizioni economiche applicate all’interno, alle proprie divisioni commerciali)”, a fronte di un accertata condotta discriminatoria posta in essere, nella specie da Telecom, negli anni dal 1999 al 2007, nel mercato all’ingrosso dei servizi di terminazione delle chiamate fisso-mobile sulla propria rete e degli elementi indiziari offerti da Brennercom sugli effetti di detta condotta lesiva in termini di riduzione dei propri profitti; b) tale danno “da compressione dei margini” non è una realtà fenomenica sempre direttamente osservabile, potendo prospettarsi la necessità di ricostruire uno scenario “controfattuale”, al fine di accertare quale sarebbe stata la realtà economica di mercato laddove la condotta incriminata non vi fosse stata; c) è stata confermata quindi “la congruità del criterio di quantificazione del danno dato dalla riduzione del margine di guadagno della danneggiata, preferibile rispetto al criterio dell’overcharge o sovraprezzo” (vale a dire, nella specie, della differenza tra il prezzo pagato, in concreto, all’operatore dominante per i servizi di terminazione fisso-mobile ed il miglior prezzo che l’impresa danneggiata avrebbe invece pagato qualora le fossero state applicate le medesime condizioni che quella dominante applicava alle divisioni commerciali interne), “in presenza, come nella specie, non di un’intesa restrittiva della concorrenza, ma di una pratica discriminatoria o abuso escludente”, cosicché correttamente lo scenario controfattuale, da confrontare con lo scenario effettivamente determinato dall’infrazione, era stato individuato “in quello corrispondente alla situazione in cui l’operatore dominante avesse applicato alle proprie divisioni commerciali la stessa tariffa di terminazione applicata agli altri operatori, con conseguenti tariffe finali più elevate, il che avrebbe comportato, a cascata, la possibilità per la concorrente di praticare a sua volta tariffe maggiori”, atteso che “in un contesto di domanda non rigida ma elastica nel mercato a valle, l’operatore concorrente, a fronte dell’aumento dei propri costi per effetto delle tariffe maggiori applicatele… nel mercato all’ingrosso, a monte, era stato costretto, al fine di evitare, aumentando il prezzo di vendita, una contrazione delle vendite, a realizzare un margine di profitto inferiore a quello che avrebbe potuto conseguire in assenza della pratica discriminatoria”.

Nel presente giudizio, la Corte d’appello ha altresì rilevato che la documentazione relativa al fascicolo istruttorio *****, in riferimento alla quale Fastweb lamentava la violazione del contraddittorio, era stata esaminata dal CTU, in contraddittorio con i consulenti delle due parti, ad eccezione di alcuni documenti “ritenuti da Vodafone particolarmente riservati”, ragione questa per cui non poteva ritenersi che vi fosse stata un’effettiva lesione del diritto di difesa, in quanto “l’accesso alla documentazione è avvenuto bilanciando contemporaneamente le esigenze di riservatezza ed il diritto al contraddittorio”.

Peraltro, il D.Lgs. n. 3 del 2017, attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea, nel disciplinare, all’art. 3, l’ordine di esibizione, ha previsto, al comma 4, che “quando la richiesta o l’ordine di esibizione hanno per oggetto informazioni riservate, il giudice dispone specifiche misure di tutela tra le quali l’obbligo del segreto, la possibilità di non rendere visibili le parti riservate di un documento, la conduzione di audizioni a porte chiuse, la limitazione del numero di persone autorizzate a prendere visione delle prove, il conferimento ad esperti dell’incarico di redigere sintesi delle informazioni in forma aggregata o in altra forma non riservata. Si considerano informazioni riservate i documenti che contengono informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario relative a persone ed imprese, nonché i segreti commerciali”. Quindi, nella materia, spetta al giudice determinare le condizioni di accesso alla documentazione riservata, bilanciando opportunamente gli interessi delle parti. Il che nella specie, è stato effettuato.

6. Il quinto motivo è inammissibile in quanto non pertinente al decisum.

La Corte territoriale non ha invero escluso la sussistenza di azioni risarcitorie “stand alone”, vale a dire che prescindono da una previa pronuncia autoritativa, a differenza delle azioni “follow-on” promosse seguito di una decisione della Commissione o dell’AGCM inerente alla fattispecie oggetto del giudizio, ma ha escluso la ricorrenza di un abuso e del conseguente danno, sia perché l’AGCM non aveva mosso contestazioni per comportamenti discriminatori a Vodafone per il periodo successivo al 2005, sia perché in tal senso deponevano gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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