LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2460/2021 R.G. proposto da:
CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena Pustorino, con domicilio eletto in Roma, via A. Bertoloni, n. 31, presso lo studio dell’Avv. Fabio Pulsoni;
– ricorrente –
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, in persona del procuratore R.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Luconi, con domicilio eletto in Roma, via A. Bosio, n. 2;
– controricorrente –
e S.E.P.I. – STUDI ECONOMICI E PROGETTI INTEGRATI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Sergio Aragona e Massimo Manfredonia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via del Corso, n. 4;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 381/20, depositata il 1 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che con sentenza dell’11 agosto 2005 il Tribunale di Torino dichiarò la propria incompetenza per territorio in ordine all’opposizione proposta dal Consorzio per le Autostrade Siciliane avverso il decreto ingiuntivo n. 30377/04, emesso il 20 gennaio 2004, con cui, su ricorso dell’INC General Contractor S.p.a., in qualità di capogruppo del Raggruppamento Temporaneo d’Imprese costituito con la R. geom. D. S.p.a., la C.E.C. – Civil Engineering Company S.r.l. e l’impresa V.A., era stato intimato all’opponente il pagamento della somma di Euro 947.812, 75, oltre interessi, a titolo di corrispettivo dei lavori di costruzione della tratta autostradale *****, lotto *****, affidati alle ricorrenti con contratto di appalto del 4 luglio 1998;
che il giudizio fu riassunto dall’INC dinanzi al Tribunale di Messina, dichiarato competente, il quale, dopo aver autorizzato la chiamata in causa della Banca Antonveneta S.p.a., su istanza del Consorzio, con sentenza del 25 gennaio 2017 accolse la domanda, condannando il Consorzio al pagamento della somma richiesta con il ricorso per decreto ingiuntivo e la Banca alla rivalsa in favore del Consorzio;
che l’impugnazione proposta dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in qualità di avente causa della Banca Antonveneta, è stata accolta dalla Corte d’appello di Messina, che con sentenza del 1 ottobre 2020 ha dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di rivalsa, dichiarando altresì inammissibile l’appello incidentale proposto dal Consorzio;
che avverso la predetta sentenza il Consorzio ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, al quale hanno resistito con controricorsi la Banca MPS e la SEPI – Studi Economici e Progetti Integrati S.p.a. (già INC);
che la Banca MPS ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione il Consorzio denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 50 c.p.c. e dell’art. 167c.p.c., comma 3, dell’art. 125disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo ritenuto ammissibile la proposizione di domande nuove con l’atto di riassunzione, ha reputato tardiva la chiamata in causa della Banca, in tal modo negando la predetta facoltà alla parte convenuta, senza peraltro considerare che la dichiarazione d’incompetenza era stata pronunciata in limine litis, con la conseguenza che non potevano ritenersi maturate le preclusioni endoprocessuali, operanti esclusivamente in sede di riassunzione;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., sostenendo che la dichiarazione d’inammissibilità della chiamata in causa si pone in contrasto con i principi di economia dei mezzi processuali e di ragionevole durata del processo, in quanto determina un’inutile proliferazione di giudizi, con conseguente spreco di attività processuali;
che non meritano accoglimento le eccezioni d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevate dalla difesa della Banca in relazione all’asserito difetto di autosufficienza e specificità del ricorso ed alla conformità della sentenza impugnata ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità;
che, ai fini dell’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, è infatti necessario che l’atto contenga tutti gli elementi necessari a porre il Giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto e di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (cfr. Cass., Sez. I, 31/07/2017, n. 19018; Cass., Sez. VI, 3/02/2015, n. 1926);
che il rispetto del principio di specificità esige invece per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (cfr. Cass., Sez., lav., 18/08/2020, n. 17224; Cass., Sez. III, 19/08/2009, n. 18421);
che i predetti canoni risultano adeguatamente soddisfatti dal ricorso in esame, nel quale l’illustrazione dei motivi è accompagnata dalla trascrizione delle argomentazioni svolte dalla Corte d’appello a fondamento della ritenuta inammissibilità della chiamata in causa, il cui confronto con le ragioni addotte a sostegno dell’impugnazione, anche alla luce della ricostruzione della vicenda processuale contenuta nella narrativa del ricorso, consente d’individuare senza incertezze la questione sottoposta all’esame di questa Corte e di comprendere immediatamente il contenuto delle doglianze sollevate;
che anche le ragioni dell’impugnazione appaiono chiaramente esplicitate, sostanziandosi nel richiamo al medesimo orientamento giurisprudenziale citato a sostegno della decisione impugnata, del quale il ricorrente fa valere l’inesatta applicazione, in relazione all’asserita erroneità delle conseguenze che la Corte d’appello ha ritenuto di dover trarre dai principi enunciati dal Giudice di legittimità, ed al contrasto delle conclusioni cui è pervenuta con i principi del giusto processo;
che l’ammissibilità dell’impugnazione non può essere esclusa neppure in relazione all’asserita conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza di legittimità, non risultando sufficiente, a tal fine, che il giudice di merito abbia risolto le questioni giuridiche affrontate mediante l’applicazione di principi di diritto enunciati da questa Corte, ma occorrendo che anche le conseguenze che ne ha tratto appaiano logicamente e giuridicamente congruenti con i predetti principi, nonché coerenti con il quadro normativo e giurisprudenziale in cui gli stessi si inseriscono;
che irrilevante, ai fini dell’ammissibilità delle censure, risulta infine la circostanza che il primo motivo, pur riflettendo la violazione di norme processuali, sia stato proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 anziché n. 4 ed il secondo abbia ad oggetto direttamente la violazione dell’art. 111 Cost., non rivestendo la rubrica portata vincolante ai fini della qualificazione del vizio denunciato, chiaramente desumibile dalle argomentazioni svolte (cfr. Cass., Sez. V, 23/05/2018, n. 12690; 3/08/2012, n. 14026), il cui riferimento agl’istituti disciplinati dalle altre norme indicate consente agevolmente di individuare in queste ultime l’oggetto della violazione attraverso cui si è consumata la dedotta lesione dei principi del giusto processo;
che i motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati;
che, a fondamento della decisione, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di riassunzione del giudizio ai sensi dell’art. 50 c.p.c., a seguito di una pronuncia di incompetenza, è ammissibile la proposizione di una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, dal momento che la particolare funzione dell’istituto della riassunzione, consistente nella conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza, non è di ostacolo a che il relativo atto cumuli in sé la domanda introduttiva di un nuovo giudizio, a condizione che sia rispettato il contraddittorio, tanto più che, ove la nuova domanda fosse ritenuta inammissibile, la necessità di introdurre, per questa ultima, un nuovo giudizio, da riunire al precedente, si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (cfr. Cass., Sez. III, 8/01/2016, n. 132; 10/07/2014, n. 15753; Cass., Sez. II, 5/01/2011, n. 223);
che la predetta facoltà è stata riconosciuta non solo all’attore, ma anche al convenuto, in ossequio al principio della parità dei diritti delle parti, con la conseguente affermazione dell’ammissibilità di una domanda riconvenzionale proposta per la prima volta in sede di riassunzione (cfr. Cass., Sez. III, 18/01/ 2006, n. 821), e con la precisazione che, limitatamente al diverso petitum ed alla diversa causa petendi della domanda nuova, l’atto di riassunzione viene a configurarsi a tutti gli effetti come atto introduttivo di un nuovo giudizio, rispetto al quale non possono ritenersi operanti gli effetti endoprocessuali che discendono dalla translatio (cfr. Cass., Sez. lav., 22/07/2016, n. 15223; Cass., Sez. III, 17/05/2005, n. 10335);
che i predetti principi devono ritenersi applicabili anche alla chiamata in causa del terzo, la quale, pur comportando l’estensione del contraddittorio ad un soggetto diverso dalle parti originarie, nei confronti del quale viene proposta una domanda nuova, ancorché connessa a quella principale, e provocando dunque un ampliamento non solo oggettivo, ma anche soggettivo del giudizio, non si traduce in una violazione delle garanzie difensive del chiamato, in quanto quest’ultimo, facendo ingresso per la prima volta nel giudizio soltanto a seguito della riassunzione, non resta assoggettato alle preclusioni e alle decadenze eventualmente determinatesi tra le parti originarie nella precedente fase del giudizio;
che la chiamata del terzo deve ritenersi ammissibile anche nel caso in cui, come nella specie, la riassunzione abbia avuto ad oggetto un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dal momento che, come ripetutamente affermato da questa Corte, la sentenza con cui il giudice dell’opposizione abbia dichiarato l’incompetenza territoriale di quello che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale ed inderogabile di quest’ultimo a decidere sull’opposizione, ma contiene, ancorché implicita, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo, con la conseguenza che la tempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice dichiarato competente non può essere riferita alla causa di opposizione al decreto, che ormai non esiste più, ma costituisce un nuovo atto di impulso di un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la medesima domanda proposta con il ricorso in sede monitoria (cfr. Cass., Sez. I, Cass., 5/05/2016, n. 9022; 26/01/2016, n. 1372; Cass., Sez. II, 9/11/2004, n. 21297), nel quale le parti possono dunque esercitare tutte le facoltà difensive loro riconosciute;
che nel caso in esame, d’altronde, la trattazione vera e propria del giudizio ha avuto inizio, anche tra le parti originarie, soltanto a seguito della riassunzione dinanzi al Tribunale di Messina, essendo stata l’incompetenza dichiarata dal Tribunale di Torino ancor prima della fissazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, con la conseguenza che il terzo chiamato è stato messo in condizione di poter liberamente dispiegare le proprie difese;
che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento delle censure proposte dal ricorrente, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022