LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24641/2019 proposto da:
POLIGRAFICI EDITORIALE SPA, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PICCINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO CORNIA, giusta procura;
– ricorrente –
contro
F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 73, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO DEL VECCHIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO PREVIDI, giusta procura;
ASSOCIAZIONE A.S. PER LA RICERCA SUL CANCRO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.
MAZZINI, 73, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO DEL VECCHIO, rappresentata e difesa dagli avvocati CLAUDIO PREVIDI, EMILIO SPADOLA, giusta procura;
– controricorrenti –
e contro
L.M., M.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 788/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Bologna, con sentenza dell’8 giugno 2011, rigettava domanda di risarcimento di danni e di condanna ai sensi dell’art. 12 L. 47/1948 proposta per pretesa diffamazione da F.M. e dall’Associazione A.S. per la ricerca sul cancro, il primo come attore e la seconda come intervenuta, nei confronti di Poligrafici Editoriale S.p.A. – quale editore del quotidiano *****, M.G. – direttore responsabile del quotidiano – e L.M. – direttore responsabile del quotidiano all’epoca della pubblicazione dell’articolo che sarebbe stato diffamatorio.
F.M. e l’Associazione A.S. proponevano appelli, che venivano poi riuniti in un’unica causa; resistevano Poligrafici Editoriale e M.G..
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza dell’11 marzo 2019, accoglieva i gravami e condannava quindi l’editore e i due direttori a risarcire i danni e alla pubblicazione del dispositivo della sentenza.
Poligrafici Editoriale ha proposto ricorso – illustrato anche con memoria -, da cui si sono difesi con rispettivo controricorso F.M. e l’Associazione A.S..
CONSIDERATO
che:
Il ricorso è composto di tre motivi.
1.1 Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 597 c.p..
Rilevato che è necessaria una valutazione unitaria dell’articolo e che occorre inserirlo nel contesto, non potendosi al contrario effettuarne una valutazione atomistica, si adduce che il giudice d’appello non avrebbe rispettato tale metodo corretto, specialmente laddove ha affermato l’irrilevanza ai fini diffamatori di numerosi altri articoli sullo stesso giornale in cui venivano manifestati giudizi positivi. Viene presentato “ad esempio” un riferimento ad altri due articoli specifici nonché ad un ulteriore gruppo di articoli (ricorso, pagina 8 s.), per affermare che ne “emergeva… l’effettiva esistenza” di criticità nella gestione del Centro Oncologico *****, e si prosegue con una ricostruzione dei fatti in riferimento a vari articoli; tali “circostanze… delimitano il quadro” entro cui si deve valutare l’articolo del ***** che la corte territoriale invece ha ritenuto diffamatorio.
Si argomenta poi in ordine a parole in tale articolo utilizzate anche a sue frasi, per concludere ribadendo che tale articolo andava valutato nel contesto, il che avrebbe condotto a escludere una sua valenza diffamatoria.
1.2 L’esposizione del motivo appena tracciata dimostra ictu oculi che si è di fronte a una prospettazione alternativa degli esiti fattuali, perseguendo un terzo grado di merito, il che rende il motivo inammissibile.
2.1 Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2056,1223 c.c. e L. n. 47 del 1948, art. 8.
Si osserva che sin dalla comparsa di risposta in primo grado l’attuale ricorrente aveva addotto di avere, il giorno dopo quello della pubblicazione dell’articolo asseritamente diffamatorio, e quindi il *****, pubblicato su “*****” un articolo di rettifica, “tale da incidere sul preteso danno”; e ciò fu riproposto nella comparsa d’appello. L’articolo del ***** avrebbe apportato la notizia di una netta smentita effettuata da F.M. e da tutti i rappresentanti dell’Associazione A.S. del contenuto dell’articolo del *****, e quindi sarebbe valso come rettifica ai sensi del citato art. 8.
Il diritto di risposta e di rettifica può “non lasciare spazio ad un danno ulteriormente risarcibile” (Cass. 10690/2008); la pubblicazione della rettifica è idonea a ridurre il danno non patrimoniale derivante dall’articolo diffamatorio, e non rileva che sia volontaria oppure costituisca l’adempimento di un obbligo (Cass. ord. 16040/2013).
Si riporta un passo della sentenza impugnata (estratto dalla sua pagina 5) dove si espone la posizione delle controparti sugli effetti di tale secondo articolo (“non elide i danni… ma può solo eventualmente attenuarli”) – per sostenere che le controparti non hanno escluso l’idoneità dell’articolo del ***** a “incidere – almeno – sulla quantificazione del danno”; si trascrive altresì un ulteriore passo tratto da pagina 9 della sentenza impugnata escludente che tale articolo costituisca una smentita, avendo soltanto diffuso le dichiarazioni rese in una conferenza stampa dal direttivo dell’Associazione per smentire la notizia pubblicata il giorno prima, la quale “già aveva realizzato l’eventus damni”. Quest’ultimo passo sarebbe ben poco chiaro e comunque conterrebbe “un errore di qualificazione giuridica”, in quanto non ritiene che il secondo articolo sia una smentita.
Ai sensi del citato art. 8, “la risposta o rettifica” è la pubblicazione di dichiarazioni dell’interessato; nel caso in esame ciò sarebbe avvenuto dopo la conferenza stampa, e non rileverebbe appunto che sia volontaria invece che adempimento di un obbligo. La rettifica quindi sarebbe stata idonea a incidere sul quantum risarcitorio, se non anche sull’an, del danno non patrimoniale. Il giudice d’appello però non ne avrebbe tenuto conto per quantificare il danno (si richiama ancora la sentenza impugnata, a pagina 9).
2.2 La L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 8, prevede l’obbligo di pubblicare gratuitamente “le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Evidentemente però la norma non prevede una conseguenza automatica di riduzione del risarcimento del danno derivante dalla diffamazione.
L’invocata Cass. ord. 6-3, 26 giugno 2013 n. 16040 – massimata in effetti in modo non del tutto preciso – nella sua concisa motivazione si limita a riconoscere una possibilità, e quindi non un’automatica incidenza, della pubblicazione della rettifica sul danno (“la pubblicazione delle rettifiche, se non può eliminare l’illiceità dell’articolo di stampa, ne può eliminare o ridurre gli effetti dannosi”).
In tema, peraltro, Cass. sez. 3, 15 aprile 2010 n. 9038 insegna che l’istituto della rettifica è una facoltà dell’interessato diretta ad “evitare che la pubblicazione offensiva… possa continuare a produrre effetti lesivi, ma non elimina i danni già realizzati”. Dunque, la sua pubblicazione non può escludere il carattere diffamatorio delle dichiarazioni se l’eventus damni è già avvenuto con la pubblicazione appunto delle dichiarazioni offensive.
Che poi vi sia equivalenza tra la rettifica come prevista dalla legge e la mera pubblicazione di un altro articolo contenente dichiarazioni del diffamato è solo un asserto apodittico: la norma impone infatti una modalità di pubblicazione ben specifica.
A ben guardare, allora, si è comunque di fronte ad una valutazione fattuale dell’incidenza del secondo articolo sul primo (cfr. ancora, in generale, Cass. 9038/2010, in motivazione). A ciò si aggiunga che il giudice d’appello (a pagina 9 della sentenza) ha escluso che l’articolo del ***** per il suo contenuto sia stata una effettiva smentita, e così implicitamente e logicamente ha escluso che sia per tale contenuto idonea a produrre lo stesso effetto della fattispecie di cui all’art. 8: e tale valutazione, derivante appunto dal contenuto concreto dell’articolo, è naturalmente fattuale.
Il motivo quindi non ha alcun pregio.
3.1 Il terzo motivo, presentato in subordine ai due motivi precedenti, denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per carenza del minimum motivazionale.
La motivazione sarebbe mancante riguardo alla “valutazione della rilevanza degli altri articoli” avendo soltanto dichiarato il giudice d’appello in modo assertivo la loro “non incidenza”.
Inoltre la motivazione sarebbe illogica, contraddittoria e/o incomprensibile in ordine alla questione della rettifica: a) ritenendo non equiparabile alla smentita l’articolo del ***** sulla conferenza stampa; b) escludendo per la quantificazione del danno la considerazione di quest’ultimo articolo che sarebbe di rettifica.
3.2 La motivazione della sentenza è specifica e dettagliata, e riguarda tutti e due gli articoli; il motivo in realtà appare da ricondurre al previgente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, o scende addirittura su un piano direttamente fattuale – sub a) e sub b) ripropone infatti una valutazione fattuale che già era stata introdotta come sostanza effettiva del secondo motivo. La censura quindi merita rigetto.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a ciascuno dei controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese processuali, liquidate per ciascuno di essi in un totale di Euro 5.000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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