Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1157 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28427/2018 proposto da:

B.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 9 SC C – 2 PIANO INT. 2-3, presso lo studio dell’avvocato CARLO RIENZI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GINO GIULIANO;

– ricorrenti –

contro

REPUBBLICA ITALIANA, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1355/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO

Che:

1.- I ricorrenti sono medici che hanno conseguito la specializzazione in anni precedenti il 2006, ed hanno dunque beneficiato della remunerazione per il periodo di specializzazione, prevista dalla L. n. 257 del 1991. Hanno agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del loro diritto, innanzitutto, alle prestazioni previdenziali o al risarcimento del danno per esserne stati privati, poi, all’adeguamento della borsa di studio al costo della vita; infine, a vedersi riconoscere la stessa remunerazione spettante ai medici iscritti a scuole di specializzazione dopo il 2006.

2.- Il Tribunale di Roma ha rigettato tutte queste pretese, con una decisione confermata in appello. La Corte di secondo grado ha reso una motivazione per relationem ad un altro suo precedente richiamando quest’ultimo e rinviandovi integralmente, senza dunque aggiungere propri argomenti, quanto alle ragioni della decisione.

3.- I medici impugnano questa decisione di appello con otto motivi. V’e’ controricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e memoria dei ricorrenti.

CONSIDERATO

Che:

4.- Va intanto evidenziato che la decisione impugnata non contiene alcun argomento proprio, ma si limita a fare rinvio agli argomenti contenuti in altra sentenza della medesima Corte, la n. 2830/2016.

Il rinvio è consentito da una giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo 17640/ 2016) in base all’argomento che, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per precedente conforme deve intendersi anche il precedente di merito, oltre che quello di legittimità e che la motivazione per relazione risponde ad una esigenza di economia dei tempi di giustizia.

5.- I motivi sono otto, ma possono raggrupparsi secondo le questioni che essi pongono.

In tal modo, il primo motivo di ricorso è riferito alla legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e Finanze e del Ministero della Ricerca scientifica e dell’Università.

Secondo e terzo motivo attengono al diritto di vedersi riconosciuta la copertura previdenziale per gli anni di specializzazione, o il risarcimento del danno da mancato riconoscimento; il quarto motivo invece mira a censurare la decisione impugnata nella parte in cui ha negato ai ricorrenti il diritto alla stessa remunerazione prevista per gli specializzandi iscritti dopo l’anno accademico 2006, censura questa legata a quella contenuta nell’ottavo motivo, che lamenta il rigetto illegittimo della questione di legittimità costituzionale, sulla disparità di trattamento tra specializzandi iscritti prima e specializzandi iscritti dopo; il quinto motivo di ricorso invece censura la sentenza di appello nella parte in cui ha escluso l’adeguamento al costo della vita della remunerazione comunque percepita dai ricorrenti ed ha sintonia con il settimo motivo che lamenta anche qui mancato riconoscimento della rideterminazione triennale della remunerazione. Invece, il sesto motivo si duole del rigetto della domanda di arricchimento ingiustificato.

6.- Va dunque considerato il primo motivo di ricorso, che, denunciando violazione della L. n. 428 del 1990, L. n. 257 del 1991 e L. n. 368 del 1999, censura la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso la legittimazione passiva dei Ministeri evocati in giudizio, affermando esclusivamente quella della Presidenza del Consiglio.

Il ragionamento è che le leggi sopra citate pongono l’onere finanziario, costituito dal pagamento delle remunerazioni, a carico del Ministero dell’Economia, che dunque ha interesse a partecipare al giudizio.

Il motivo è infondato.

A prescindere dal rilievo che l’argomento è solo a favore del Ministero dell’Economia e Finanze, va ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di responsabilità dello Stato da mancata attuazione di direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE in materia di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), l’evocazione in giudizio – oltre che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, legittimata a stare in giudizio anche di singoli Ministeri non comporta alcuna conseguenza in termini di legittimazione sostanziale, trattandosi di articolazioni del Governo della Repubblica (Cass. 6029/2015; Cass. 765/2016).

Più precisamente, come è stato già statuito da questa Corte: “quanto al difetto di legittimazione passiva dei Ministeri, legittimata passiva è la Presidenza del Consiglio dei Ministri, seppure l’evocazione congiunta anche di singoli Ministeri non comporta alcuna conseguenza in termini di legittimazione sostanziale, trattandosi di articolazioni del governo della Repubblica (Cass., 25/03/2015, n. 6029, Cass., 19/01/2016, n. 765); si ribadisce che, com’e’ stato osservato (Cass., 15/11/2016, n. 23202, pagg. 9-10), la difesa erariale di fronte a un’evocazione dello Stato non già nell’articolazione governativa della Presidenza del consiglio, bensì dei Ministeri, potrebbe porre non una questione di legittimazione passiva bensì ai sensi della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4, rivendicando come articolazione legittimata unicamente la Presidenza e, sulla base di tale deduzione, chiedere la rimessione in termini, essendo al contempo evidente che nessuna conseguenza può invece esservi se siano chiamate in lite sia la Presidenza sia i Ministeri (cfr., nello stesso conclusivo senso, da ultimo, Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649, che ribadisce come in difetto di richiesta ex art. 4 cit., l’irritualità afferente alla legittimazione viene come tale superata)” (Cass. 20108/2019).

7.- Secondo e terzo motivo attengono al diritto al risarcimento del danno per avere lo Stato escluso la copertura previdenziale relativa alla remunerazione per gli anni di specializzazione.

Con questi motivi, si denuncia violazione delle Direttive 82/76 e 16/93 CEE, poi delle successive leggi di attuazione delle prime direttive in materia: la n. 368/1999 in particolare.

Questione connessa, questa, anche a quella posta sia dal quarto, dal quinto e dal settimo motivo, che lamentano, a vario titolo, erroneità della pronuncia impugnata, per violazione della medesime norme, per avere escluso che il trattamento previsto dalla L. n. 368 del 1999, differito sin da subito, e poi applicato, dal D.M. del 2007, solo agli iscritti a partire dall’anno 2006, abbia recato un pregiudizio agli iscritti agli anni precedenti, creando una discriminazione tra quelli immatricolati prima e quelli dopo il 2006.

In sostanza, solo con la Legge del 1999 il legislatore ha previsto un regime di prestazione contrattualizzata con gli specializzandi, introducendo in loro favore un trattamento economico migliore: legge che però, per mancanza di fondi, è stata sospesa, fino a quando nel 2007, con apposito decreto, se ne è prevista l’applicazione agli specializzandi iscritti a partire dall’anno accademico 2006-2007.

Questi motivi hanno il loro corollario nel terzo e nell’ottavo i quali, preso atto della discriminazione introdotta dal legislatore, mirano a far sollevare questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE e questione di legittimità costituzionale, quest’ultima, della L. n. 368 del 1999, per violazione in particolare dell’art. 3 Cost.. Più precisamente, il terzo motivo, conseguentemente agli altri, denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando il fatto che la Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di porre in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE la questione del diritto degli specializzandi ante 2006 alla copertura previdenziale del periodo di specializzazione. Ed era obbligo del giudice di merito farlo, anche in ragione del fatto che la sentenza cui si è fatto richiamo per relazione (n. 2830/2016 della Corte di Appello) non era stata chiamata a pronunciarsi su tale richiesta.

Tutti questi motivi hanno presupposti comuni, come si è visto, e possono dunque trattarsi insieme: essi sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perché la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo in particolare con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355 del 2018, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf. Cass., 29/05/2018, n. 13445); va quindi ribadito che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua, e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999; quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 -che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente A 5 denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali; tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost., e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670); ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007; il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con il D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007; per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico; la direttiva n. 93/16, che costituisce un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha dunque registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione; la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e, si ripete, i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991; l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sé sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi annuali connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria); in particolare, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (cfr., anche, di recente, Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 19/02/2019, n. 4809); ne consegue che risulta infondata sia la domanda di riconoscimento della spettanza introdotta nel 1999, sia quello a una tutela previdenziale connessa a un inesistente rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, sia quello della rideterminazione triennale, relativamente alla quale solo nell’ultimo dei riassunti ricorsi, peraltro, risulta specificatamente impugnata la “ratio decidendi” di estraneità alla “causa petendi” originaria, censura, comunque, anche quest’ultima, manifestamente infondata posto che ciò che ha affermato il collegio di merito non è che si sarebbe trattato di pretesa nuova, bensì che non sarebbe intervenuta nel termine delle preclusioni ex art. 183 c.p.c., la possibile precisazione della domanda; dunque, risulta complessivamente corretta la decisione gravata; conclusivamente, il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi; l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è dunque cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991; stante quanto sopra risultano manifestamente infondate le questioni di costituzionalità, atteso che non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, alcuna irragionevolezza quanto alla esclusione della copertura previdenziale non connessa al preteso ma insussistente presupposto del rapporto di lavoro, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nella discrezionalità legislativa di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809, cit.); infatti, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, il legislatore può differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi (Corte. Cost. sentenza n. 94 del 2009; sentenza n. 48432 del 1997; ordinanze nn. 25 del 2012, 224 del 2011, 61 del 2010, 170 del 2009, 212 del 2008, 77 del 2008) (Cass., 23/02/2018, n. 4449); questa Corte ha infine già sottolineato che l’indirizzo cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente risulta contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., n. 8242 e n. 8243 del 22/04/2015), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata, e richiama gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991; nella memoria del Codacons e dei congiunti ricorrenti si sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in ordine all’esclusione della copertura previdenziale, indicata come riconosciuta, del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 41, dall’anno accademico 2006-2007; tale istanza deve disattendersi perché il fatto che la normativa comunitaria non abbia stabilito una definizione di adeguata remunerazione ferma la non irrisorietà della quantificazione nazionale – è stato ribadito anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16, sicché deve ritenersi “acte clair” la conclusione per cui non poteva ritenersi imposto, agli Stati, uno specifico regime previdenziale quale componente della struttura economica complessivamente afferente al rapporto” (Cass. 20108/2019, già citata).

8.- Da quanto sopra detto, emerge altresì l’infondatezza del sesto motivo di ricorso, che denuncia violazione dell’art. 2041 c.c., contestando alla corte di merito di aver escluso un arricchimento ingiustificato dello Stato che, prima, ha corrisposto una somma non adeguata, e che poi l’ha riconosciuta ai soli iscritti dopo il 2006.

Invero, a prescindere dalla ammissibilità della domanda di arricchimento, che, come noto, residuale, ossia presuppone che non vi sia in astratto alcuna altra domanda proponibile, non già che quelle disponibili vengano in concreto rigettate; a prescindere da ciò, da quanto si è sopra argomentato, deriva chiaramente che non v’e’ stato alcun arricchimento senza causa, poiché l’attività svolta dal medico specializzando non è un’attività lavorativa che deve trovare corrispettivo in una adeguata retribuzione, difettando la quale lo Stato, che ne beneficia, si arricchisce ingiustificatamente.

9. Il Collegio rileva, in fine, che la richiesta di pubblica udienza è immotivata e non si sa che rilievo potrebbe avere sulla capacità decisionale di questa Corte l’essere stata adita la Corte EDU. Priva di qualsiasi valenza è la preliminare dichiarazione di ricevibilità del ricorso comunicata dalla cancelleria della Cedu. Tanto più che, come si è già detto, le questioni poste dal ricorso sono risultate già esamibate dalla citata ord. n. 20108 del 2019.

10. Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese possono compensarsi attese le progressive precisazioni della giurisprudenza di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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