Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1158 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25897/2019 proposto da:

La Formica Società Cooperativa, elettivamente domiciliata in Roma Via Nicola Ricciotti 11, presso lo studio dell’avvocato Costanza Dino, e rappresentata e difesa all’avvocato Postiglione Massimo;

– ricorrente –

contro

R. Gestioni Spa, elettivamente domiciliato in Roma Via Tacito 41, presso lo studio dell’avvocato Di Ciommo Francesco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cianci Stefano;

– controricorrente –

e contro

HDI Global SE, elettivamente domiciliata in Roma Via Giuseppe Ferrari 35, presso lo studio dell’avvocato Vincenti Marco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Chioda Massimo;

– controricorrente –

e contro

INPS – Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in proprio e quale procuratore speciale di SCIP srl, elettivamente domiciliato in Roma Via Cesare Beccaria 29, presso lo studio dell’avvocato Fiorentino Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cipriani Giuseppe;

– controricorrente –

e contro

B.M., Fallimento ***** Srl, Unipolsai Assicurazioni Spa;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1338/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 31/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2021 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario.

FATTI DI CAUSA

A seguito di un incendio che aveva distrutto un capannone di proprietà della SCIP s.r.l. (e, prima ancora, dell’INPDAP) e occupato dalla società La Formica – società cooperativa, quest’ultima agì per il risarcimento dei danni conseguenti alla perdita dei materiali depositati nell’immobile, convenendo in giudizio B.M. – titolare dell’impresa esecutrice dei lavori sulla copertura del capannone che avevano innescato l’incendio – e la R. Gestioni s.p.a., incaricata della gestione del bene, che aveva commissionato al B. i lavori di riparazione del manto di copertura.

Si costituirono entrambi i convenuti, contestando la pretesa avversaria.

A seguito di chiamata in causa, parteciparono al giudizio l’INPDAP (in proprio e quale procuratore speciale della SCIP), il Fallimento della ***** s.r.l. (già locatrice dell’immobile, che aveva affittato la propria azienda alla coop. La Formica) e le compagnie assicuratrici HDI – Gerling Industrie Versicherungs – AG., Fondiaria Sai s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a. e UGF Assicurazioni s.p.a. (le ultime due in seguito incorporate dalla Fondiaria – Sai s.p.a, poi Unipol Assicurazioni s.p.a.).

Il Tribunale di Firenze ritenne responsabili dell’incendio il B. (i cui dipendenti avevano provocato l’innesco e non avevano adottato le iniziali misure che avrebbero potuto impedire o contenere la propagazione dell’incendio) e la stessa società attrice (per avere gestito la sua attività e gli spazi interni del capannone in violazione della normativa di sicurezza, così rendendo vano qualunque tentativo di estinguere l’incendio o, quantomeno, di contenerlo fino all’arrivo dei vigili del fuoco); condannò pertanto il B. al risarcimento dei danni per l’importo di oltre 345.000 Euro, mentre rigettò la domanda nei confronti della R. Gestioni s.p.a..

La Corte di Appello di Firenze ha dichiarato, in parte, inammissibile e, in parte, infondato il gravame proposto dalla coop. La Formica e ha confermato integralmente la sentenza impugnata; compensate le spese fra l’appellante e il B., ha condannato la società La Formica al pagamento delle spese di lite in favore di ciascuna delle altre parti.

Ha proposto ricorso per cassazione la soc. La Formica – società cooperativa, affidandosi a tre motivi; hanno resistito la R. Gestioni s.p.a., l’INPS (in proprio e quale procuratore speciale di SCIP – Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici s.r.l.) e la HDI Global SE (già HDI-Gerling Industrie Versicherungs AG).

La causa è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria del 13.1.2021.

Fissata l’udienza ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, il P.M. ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del terzo e rigetto del secondo.

La R. Gestioni ha invece formulato richiesta di discussione orale.

Successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 105 del 2021, art. 7, è stata confermata la trattazione in pubblica udienza, in presenza del P.G. e dei difensori delle parti.

Hanno depositato memoria la ricorrente e la R. Gestioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”), la ricorrente censura cinque passaggi motivazionali con cui la Corte territoriale ha ritenuto che l’appello violasse le prescrizioni dell’art. 342 c.p.c. e risultasse pertanto inammissibile.

In merito al primo passaggio (trascritto a pag. 9), la ricorrente, evidenzia che è la stessa Corte di appello a nutrire perplessità in ordine al profilo di inammissibilità e assume che la censura era “chiara: lamentava l’omissione, da parte del Giudice di primo grado, di qualsivoglia esame delle circostanze che, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2043,2051 e 1780 c.c., integrando il fatto del terzo ovvero il caso fortuito ovvero il fatto non imputabile, avrebbero dovuto escludere la responsabilità della società La Formica rispettivamente quale custode ovvero quale depositario”; aggiunge che “l’appellante non avrebbe mai potuto contestare in modo specifico le ragioni addotte dal giudice di primo grado perché il giudice di primo grado, sul punto, non aveva addotto alcuna ragione, non avendo neppure preso in considerazione le argomentazioni fattuali e giuridiche proposte”.

In ordine al secondo passaggio (trascritto a pagg. 10 e 11 e con cui la Corte ha concluso che “tale parte del gravame deve essere dichiarata inammissibile atteso che l’appellante si è sostanzialmente limitata, in termini discorsivi, a riproporre le argomentazioni difensive già avanzate in primo grado, senza neppure evidenziarle in termini di “motivi” di censura, omettendo quindi di contestare in modo specifico le ragioni addotte dal primo giudice per motivare le decisioni sopra riportate”), la ricorrente assume che “l’inammissibilità non può riguardare le singole argomentazioni svolte a sostegno dell’unitario e chiaro motivo di appello” e che “il primo motivo di appello, globalmente considerato, non si limita ai passaggi argomentativi evidenziati dal Collegio, ma si sviluppano in complessive 30 pagine” in cui “si individuano chiaramente le specifiche censure mosse alla sentenza del Tribunale”.

Quanto al terzo passaggio (trascritto a pag. 13 e in cui la Corte di merito ha rilevato – fra l’altro – che l’appellante, “pur individuato un punto contestato della sentenza, non si confronta con l’iter motivazionale del giudice e, dunque, non contesta in modo specifico le ragioni addotte dal Tribunale per motivare la decisione”), la ricorrente assume (trascrivendo, sempre a pag. 13, uno stralcio dell’atto di appello) di avere contestato specificamente le ragioni che avevano indotto il Tribunale ad escludere che il committente R. Gestioni dovesse tenere informata l’impresa B. dell’elevato rischio correlato ai materiali custoditi nel capannone.

In riferimento al quarto passaggio motivazionale (concernente il profilo della culpa in eligendo della R. Gestioni e riprodotto a pagg. 14 e 15), la ricorrente lamenta che la Corte territoriale aveva ignorato che “il danneggiato aveva fornito la dimostrazione della inadeguatezza dell’Impresa appaltatrice (rappresentata dal fallimento dell’intervento precedente, oltre che da quello che ha cagionato l’incendio) e, di conseguenza aveva fornito l’elemento di configurabilità della corresponsabilità della R. Gestioni quale committente”, atteso che la stessa “aveva affidato l’opera ad impresa manifestamente inidonea”.

Quanto, infine, al quinto passaggio motivazionale, concernente l’analisi del settimo paragrafo dell’atto di appello (intitolato “Sulle ulteriori ragioni di fatto e di diritto svolte nel primo grado del giudizio”), la ricorrente sostiene che tale paragrafo “non contiene affatto un autonomo capo di impugnazione” di talché “e’ illegittima la relativa dichiarazione di inammissibilità per violazione dello schema legale di cui all’art. 342 c.p.c.”.

Afferma – conclusivamente – la ricorrente che “l’atto di appello della società La Formica non soltanto conteneva profili autonomi di doglianza sufficientemente identificati, non soltanto conteneva, per ciascun motivo di impugnazione, puntuali critiche all’operato del giudice a quo ma conteneva anche, per ciascun motivo (precisamente in calce ad ognuno di essi), la specifica indicazione sia delle parti del provvedimento impugnate, sia delle modifiche richieste, sia l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge che la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.

1.1. Il motivo e’, sotto più profili, inammissibile.

In relazione ai primi tre passaggi motivazionali, le censure sono svolte in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacché la ratio di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., avrebbe dovuto essere censurata con puntuale trascrizione dei motivi di appello e delle parti della sentenza di primo grado sottoposte a censura; è pacifico, infatti, che “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. n. 22880/2017; cfr. anche Cass. n. 29495/2020).

Quanto al primo “passaggio”, deve anche rilevarsi – in via gradata – che l’illustrazione del motivo non si correla all’effettiva motivazione della sentenza, dato che omette (a pag. 10), nel riprodurla per assumerla a critica, l’inciso fra parentesi tonda “limitandosi ad affermare quanto testualmente trascritto, omettendo altresì di svolgere specifiche doglianze”; inciso che è esplicativo di quanto infedelmente riportato.

Quanto alla censura concernente il terzo passaggio motivazionale, va precisato che l’art. 366 c.p.c., n. 6, risulta violato riguardo alla sentenza di primo grado (la cui mancata trascrizione non consente di apprezzare se le ragioni addotte dal primo giudice siano state contestate in modo specifico) e deve altresì ritenersi che la trascrizione di un breve passo dell’atto di appello sia del tutto insufficiente a dimostrarne la consistenza in termini di specificità.

Questo ultimo rilievo vale anche in relazione al quarto “passaggio”, rispetto al quale deve aggiungersi che la censura svolta non coglie il senso della decisione della Corte di merito, basata sulla omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi espresse dal primo giudice (e, nello specifico, di quella attinente al riparto dell’onere della prova), e si limita a sostenere che l’attrice aveva dimostrato l’inadeguatezza dell’impresa appaltatrice, così investendo questa Corte di una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità.

Infine, per quanto emerge dalla stessa formulazione del motivo, la censura relativa al quinto passaggio motivazionale risulta priva di interesse, dato che l’affermazione che il settimo paragrafo dell’atto di appello non conteneva un autonomo capo di impugnazione esclude in radice l’interesse della ricorrente a contestare la statuizione di inammissibilità. In ogni caso ci si attiene dal chiarire perché la motivazione di inammissibilità sarebbe inviata, il che avrebbe richiesto l’evocazione dell’atto di appello. E’ violato l’art. 366 c.p.c., n. 6.

2. Col secondo motivo (che denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2652 c.c., L. n. 966 del 1965, artt. 2-4, D.M. 16 febbraio 1982, D.P.R. n. 577 del 1982 art. 15,L. n. 818 del 1984, art. 2,D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 1-4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), la ricorrente dichiara di censurare la sentenza nella parte “in cui, evocando le discipline antincendio ed antinfortunistica, attribuisce una parte della responsabilità per i danni subiti dalla società La Formica alla stessa attrice, quale soggetto che svolgeva all’interno del capannone andato a fuoco l’attività di deposito di beni di terzi, in forza di contratto di affitto di azienda stipulato nel 1999 con la società ***** s.r.l. (già conduttrice dell’immobile)”; contesta alla Corte di aver fatto discendere dall’esistenza del contratto di affitto l’affermazione che la coop. La Formica “avrebbe dovuto attivarsi per evitare fattori di pericolo in relazione allo stato di manutenzione degli impianti interni al capannone e in relazione allo stato di conservazione della merce contenuta”; assume che l’affittuario non può modificare la destinazione dei beni e degli impianti ricevuti dal concedente, dato che “la cosa oggetto di godimento è intangibile”, e che “era la ***** s.r.l., cioè l’affittante – e non l’affittuario – che poteva attivarsi personalmente con le eventuali modificazioni all’oggetto del contratto”; esclude che l’affittuaria fosse tenuta a osservare obblighi in relazione al certificato di prevenzione incendi (che non le era mai stato rilasciato) e conclude che “l’incendio che ha provocato i danni subiti dalla società La Formica non ha avuto origine dall’attività svolta da detta cooperativa all’interno del capannone andato a fuoco”.

2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto:

la critica alla motivazione oggetto di censura viene svolta assertoriamente e supponendo una conoscenza della vicenda in fatto e delle emergenze processuali i cui termini non vengono in alcun modo chiariti, sicché la denuncia di falsa applicazione è articolate senza individuarne l’oggetto, nel mentre quella di violazione della norme evocate non si rinviene in quanto argomentato, nel senso che non vengono indicate con riferimento al testo normativo dette violazioni sul piano esegetico;

in effetti, la ricorrente non individua specifici errores iuris in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’applicazione delle norme richiamate in rubrica, ma svolge considerazioni di merito volte ad escludere addebiti di responsabilità alla società che occupava il capannone in cui si propagò l’incendio;

ciò facendo, insiste sul fatto che l’affittuaria non potesse o, comunque, non fosse tenuta ad adeguare gli impianti o le certificazioni di prevenzione incendi, senza tuttavia confrontarsi con l’affermazione della Corte secondo cui, a fronte del sistema antincendi esistente, “l’attività de La Formica avrebbe dovuto essere organizzata diversamente” onde evitare i rischi correlati alla natura e alla quantità dei materiali presenti nel capannone.

3. Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., e censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che l’appellante La Formica non aveva impugnato, “svolgendo specifiche censure”, il capo della sentenza del Tribunale che aveva escluso la responsabilità della R. Gestioni ex art. 2051 c.c., quale custode del capannone, sicché sul punto era “intervenuto il giudicato interno”; premesso che la cosa giudicata può formarsi solo con riferimento a capi della sentenza che siano completamente autonomi, la ricorrente esclude “che si sia potuto formare il giudicato sul profilo della responsabilità ex art. 2051 c.c., in quanto la società La Formica aveva allegato e dimostrato sia la responsabilità della R. Gestioni per omessa custodia dell’immobile e dei suoi impianti, in forza del contratto di appalto di gestione intercorso con la proprietà INPDAP (…), sia la responsabilità della medesima quale committente dei lavori di riparazione del tetto, lavori da cui aveva avuto origine l’incendio”.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non si correla adeguatamente alla motivazione: premesso che l’oggetto della critica riguarda la motivazione della sentenza là dove ha evocato la pag. 23 della sentenza di primo grado, la ricorrente omette di illustrare il contenuto di detta pagina e, sorvolando su di essa, ricerca la ragione di inesistenza del giudicato interno in altra pagina della detta sentenza.

A ciò deve aggiungersi che le deduzioni della ricorrente non risultano idonee a superare il rilievo della Corte di merito circa il difetto di specificità delle censure in punto di responsabilità ex art. 2051 c.c.; invero, i passaggi dell’atto di appello trascritti a pagg. 22 e 23 del ricorso, raffrontati con lo stralcio della sentenza di primo grado pure riprodotto a pag. 22, non consentono di individuare una critica puntuale (e, appunto, specifica) dell’affermazione del primo giudice circa la mancanza di obblighi di intervento dell’Ente proprietario e, quindi, circa la mancata trasmissione degli stessi alla R. Gestioni e, altresì, dell’affermazione che la mancanza di autorizzazione dell’INPDAP privava la R. di poteri di intervento.

Per di più, dal contenuto del controricorso della R. Gestioni (a pag. 38) emerge che la motivazione del Tribunale in punto di esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c., era più ampia e articolata di quella trascritta in ricorso (si affermava – fra l’altro – che la cosa, ossia il capannone, non aveva provocato il danno, ma l’aveva subito e si aggiungeva che l’art. 2051 c.c., non trovava applicazione “poiché la responsabilità che viene in considerazione consiste non nella omissione di un obbligo di protezione dei terzi dai rischi connessi alla cosa ma nell’omissione di un obbligo di protezione della cosa stessa da attività di terzi”) ed esprimeva dunque una ratio decidendi – attinente alla stessa configurabilità della responsabilità da cosa in custodia – che non risulta in alcun modo censurata nel passaggio dell’atto di appello trascritto in ricorso.

4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

6. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida, per compensi, in Euro 5.500,00 in favore della R. Gestioni e in Euro 4.000,00 per ciascuno degli altri resistenti, il tutto oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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