Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.1221 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20353/2017 proposto da:

O.R., O.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA GIOVINE ITALIA, 7, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CARNEVALI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO BERTINO;

– ricorrenti –

contro

P.B., V.P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA Virgilio n. 1, presso lo studio dell’avvocato GIADA BERNARDI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 212/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 09/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. O.R. e G. citavano in giudizio V.P.E. e P.B. per accertare la nullità di due contratti, il primo in data 23 luglio 1999, notaio M.N., numero repertorio ***** e numero raccolta *****, il secondo, in data 5 novembre 1999, numero ***** di repertorio e numero ***** raccolta, notaio F. e, per l’effetto, dichiarare l’inefficacia dei medesimi e che i beni oggetto degli stessi non erano usciti dal patrimonio degli apparenti venditori o, comunque, per trasferire con sentenza costitutiva detti immobili nel patrimonio degli attori. Inoltre, gli attori chiedevano di accertare la nullità o invalidità degli atti in parola in quanto conseguenti a negozi illeciti, affetti da simulazione assoluta o relativa, posti in essere in violazione del patto commissorio ex art. 2744 c.c. e conclusi a seguito di minaccia, con condanna del convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non, da determinarsi in separato giudizio.

In particolare, gli attori esponevano di aver contratto debiti con il convenuto V.P.E. per la somma di Lire 200.000.000 di lire, poi interamente restituiti. Il convenuto aveva fornito la provvista per chiudere ulteriori posizioni debitorie verso istituti bancari. Questi aveva poi suggerito di emettere fatture per operazioni inesistenti e si era fatto consegnare un assegno dell’importo di Lire 200.000.000 e aveva saldato tutti i debiti dell’attore verso le banche. Successivamente, nel 1999 aveva minacciato di mettere all’incasso il suddetto assegno nel caso in cui non gli fosse stata trasferita la proprietà degli immobili di O., con la promessa di restituirli al momento del pagamento delle somme dovute. Dietro l’insistenza del convenuto che minacciava di non proseguire nei finanziamenti, gli attori avevano ceduto le proprietà in ***** e avevano trasferito alla P., moglie del V., il terreno di *****. Tutti gli atti erano stati stipulati a causa delle pressioni cui erano stati sottoposti e avevano causa illecita in quanto garantivano la restituzione di debiti nascenti da rapporti usurari. La Guardia di finanza aveva sottoposto a indagini e accertamenti l’attività del V. ed era stata emessa nei suoi confronti la sentenza n. 791 del 2001 con la quale era stata applicata la pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione in relazione al delitto di usura anche nei confronti di O.R..

1.1 I convenuti si costituivano ed eccepivano la prescrizione dell’azione di annullamento del contratto e dell’azione risarcitoria. Nel merito chiedevano il rigetto delle domande e, in via subordinata e riconvenzionale, la restituzione a V.P.E. di Euro 196.253 oltre agli interessi dal pagamento al saldo e la restituzione di Euro 61.974 a P.B. e, accertata la risoluzione dell’accordo transattivo del 26 giugno 2001, la condanna a pagare a V.P.E. l’importo di Euro 49.063 e di Euro 46.881, in via ulteriormente subordinata la risoluzione dell’accordo transattivo con la restituzione del pagamento di Euro 291.798.

2. Il Tribunale di Bergamo con sentenza del 10 maggio 2013 rigettava tutte le domande.

3. O.G. e R. proponevano appello avverso tale sentenza.

4. Gli appellati si costituivano e proponevano appello incidentale, chiedendo che si ordinasse la cancellazione delle trascrizioni delle domande proposte dagli appellanti e, in via di appello condizionato, riproponevano le domande proposte in primo grado.

5. La Corte d’Appello di Brescia rigettava l’impugnazione.

In primo luogo, la Corte d’Appello rigettava il motivo di nullità processuale e di violazione del diritto di difesa, tenuto conto della corretta applicazione dell’art. 189 c.p.c., comma 1.

In secondo luogo, rigettava il motivo di appello relativo all’inammissibilità delle domande di simulazione dell’atto di transazione del 26 giugno 2001 e dei verbali di ricezione delle dichiarazioni da parte del difensore e la domanda di accertamento della nullità dell’atto di transazione per illiceità della causa, nonché della domanda di accertamento del valore degli immobili all’epoca trasferiti, in quanto formulate nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6.

La Corte d’appello evidenziava che, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, l’attore, entro la prima udienza di trattazione, doveva proporre l’eccezione e le domande conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, mentre al successivo comma 5 permetteva alle parti la precisazione e la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni già proposte, ma non la proposizione di ulteriori e diverse eccezioni e domande. Tale preclusione doveva essere rilevata d’ufficio dal giudice. Inoltre, a tutto voler concedere, le domande non potevano essere proposte nelle memorie ex art. 183 c.p.c..

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado che aveva qualificato la domanda degli attori non solo come di nullità ma anche di annullamento per violenza, evidenziando come tale domanda fosse prescritta, in accoglimento della tempestiva eccezione sollevata dai convenuti. Risultava corretta anche la decisione in ordine alle due domande di nullità ai sensi dell’art. 1345 c.c. e di simulazione assoluta di nullità per contrarietà al divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c..

Il giudice del gravame evidenziava la diversità dei presupposti delle due domande, in quanto nell’ipotesi della simulazione assoluta le parti escludono che il contratto produca gli effetti apparentemente voluti dalle parti, mentre nel caso di patto commissorio il trasferimento è collegato ad una causa di garanzia, nei termini previsti dall’art. 2744 c.c..

Dunque, era onere della parte fornire la prova degli elementi di fatto a dimostrazione del ricorrere di una delle due ipotesi in linea teorica incompatibili tra di loro.

Gli appellanti avevano invocato la sentenza di applicazione della pena del Tribunale di Bergamo del 13 novembre 2001 da cui emergeva che il V. aveva effettuato innumerevoli finanziamenti a tassi usurari nei confronti di plurime parti offese, tra cui anche O.R. e R.G., ai quali erano stati fatti finanziamenti tra il 1996 e il 2000 al tasso annuo oscillante tra il 20 e il 50%. La commissione di tali condotte anche nei confronti di altre persone corroborava la prova della commissione del reato ma non poteva da ciò evincersi l’esistenza dei profili di simulazione o di violazione dell’art. 2744 c.c..

La difesa degli attori, poi appellanti, era onerata della prospettazione della prova degli elementi a conforto dell’una o alternativamente dell’altra domanda. Tale prova non era stata fornita. Gli appellanti, infatti, si erano limitati a dedurre che attraverso l’ammissione alle prove orali sarebbe stata raggiunta una sufficiente prova di quanto dedotto, ma nell’appello non veniva chiarito quali circostanze ammesse avrebbero permesso di provare la fondatezza della domanda di simulazione assoluta oppure di accertamento di negozio posto in essere in violazione del patto commissorio. I capitoli di prova richiesti erano inammissibili per difetto di specificità, genericità ed irrilevanza. Dunque, le prove orali, nei termini in cui erano state formulate, non potevano dimostrare o contribuire a dimostrare la fondatezza delle domande. La statuizione di primo grado, quanto alla dichiarazione di prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 2947 c.c., per il decorso del termine quinquennale dai fatti, doveva confermarsi, in quanto il termine decorreva dalla data dei contratti, conclusi rispettivamente il 23 luglio 1999 e il 5 novembre 1999 e, pertanto, alla data di citazione dell’atto introduttivo del giudizio, era già spirato il quinquennio. Anche il sesto motivo di appello era infondato in quanto il Tribunale aveva escluso l’accordo simulatorio, evidenziando invece il ricorrere della fattispecie della datio in solutum in relazione al primo contratto che era stato voluto quale corrispettivo in natura per soddisfare il credito. Il Tribunale aveva raggiunto tale conclusione valorizzando la documentazione dei convenuti relativa alle somme versate in relazione a tre finanziamenti e a parziali pagamenti effettuati. Il Tribunale aveva anche evidenziato che il valore degli immobili era stato considerato anche per ridurre a Lire 95.000.000 il terzo finanziamento originariamente di Lire 475.000.000.

La circostanza che gli immobili erano rimasti nella disponibilità dei cedenti era smentita dalla documentazione prodotta dai convenuti che ne avevano fatto oggetto di trasferimenti fiduciari con contratti di locazione o di comodato. Anche il secondo contratto non risultava simulato in quanto il prezzo di vendita risultava debitamente quietanzato e, dunque, provato da confessione stragiudiziale che faceva piena prova salva la revoca per errore o violenza, ai sensi dell’art. 2732 c.c., e, in relazione a tale quietanza, non era ammissibile la prova testimoniale stante il divieto di cui all’art. 2726 c.c..

Gli appellanti non avevano contestato tale argomentazione, né avevano indicato argomenti volti a confutarne la valenza argomentativa.

Non vi erano elementi, dunque, per sostenere la simulazione assoluta del contratto, anche in presenza della sentenza di patteggiamento dalla quale emergeva che il V. aveva corrisposto all’ O. somme pretendendo interessi usurari.

In relazione al settimo motivo la Corte d’Appello escludeva che i beni compravenduti fossero stati dati in garanzia e che vi era un accordo per il ritrasferimento degli stessi, nella specie individuava un patto marciano quale valida operazione di vendita con effetti di garanzia, infatti, il bene era stato oggetto di apposita stima del valore di mercato corrispondente al prezzo dichiarato nell’atto con impegno successivo alla retrovendita. Gli appellanti volevano confutare tale conclusione, cui era pervenuto il giudice di primo grado, solo mediante l’assunzione di verbali di sommarie informazioni rese da una terza persona alla Guardia di Finanza. Secondo la Corte d’Appello, anche se la vicenda che aveva avuto ad oggetto tale terza persona presentava affinità con la ricostruzione degli appellanti, tale materiale probatorio era un mero indizio che avrebbe dovuto essere integrato da ulteriore materiale.

Non erano stati forniti elementi precisi a conforto della sproporzione fra i crediti e il valore dei beni e gli appellanti non avevano fornito una ricostruzione dei rapporti che potesse sconfessare quella prospettata dalla controparte, né, a tal fine, poteva ritenersi sufficiente la perizia a firma del geometra Mo.Be.. Anche rispetto alla seconda vendita non era stato fornito alcun elemento dal quale dedurre che il prezzo quietanzato non era stato effettivamente pagato. Anche con riferimento al secondo contratto non vi erano elementi tali da far ritenere sussistente la violazione degli artt. 1344 e 2744 c.c. e non erano stati forniti elementi a conforto della tesi che il prezzo quietanzato non fosse stato pagato.

6. O.G. e R. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

7. V.P.E. e P.B. hanno resistito con controricorso e hanno proposto a loro volta ricorso incidentale sulla base di un motivo.

8. Entrambe le parti con memoria depositata in p r.mità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’art. 1418 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 644 c.p., e dell’art. 1421 c.c..

I ricorrenti deducono di aver chiesto, con l’atto di citazione del 27 maggio 2010, l’accertamento della nullità dei due contratti di compravendita per causa illecita e per avere gli stessi la finalità di garantire la restituzione di debiti pecuniari nascenti da un rapporto usurario o comunque illecito attraverso il trasferimento di beni.

La stessa domanda è stata riproposta con l’atto di citazione d’appello ove si è domandato accertarsi la nullità degli atti in oggetto per causa illecita. La Corte d’Appello ha esaminato la tesi dell’illiceità della causa solo con riguardo all’ipotesi di nullità testuale di cui all’art. 2744 c.c., omettendo l’analisi della nullità per illiceità della causa o per contrarietà alla norma imperativa penale cosiddetta “nullità virtuale” in relazione al reato di usura.

Secondo la prospettazione dei ricorrenti, infatti, i due contratti di compravendita dovevano ritenersi nulli in quanto la ragione pratica dei medesimi era da ricercarsi nella consumazione del reato di usura.

La Corte d’Appello di Brescia non si è pronunciata su tale motivo di appello. Il giudice del gravame, infatti, ha solo escluso che la fattispecie fosse simulata o potesse ricondursi al divieto del patto commissorio, in quanto la compravendita era successiva alla scadenza dell’obbligazione avente ad oggetto la restituzione della somma mutuata, oltre al pagamento degli interessi usurari, confermando la qualificazione del giudice di primo grado di datio in solutum.

Inoltre, secondo la Corte d’Appello, al fine di accertare la nullità dei contratti, la sentenza di patteggiamento dalla quale risultava provato che il V. avesse corrisposto all’attore delle somme pretendendo interessi usurari, non era un elemento risolutivo non essendo stati forniti elementi precisi a conforto della sproporzione fra i crediti vantati e il valore dei beni ceduti con i due contratti.

Quanto all’altra compravendita conclusa tra O.R. e P.B., secondo la Corte d’Appello il prezzo pattuito era stato effettivamente incassato dal venditore, non essendo emersa la prova del mancato pagamento o della restituzione del prezzo, né che questo fosse sproporzionato rispetto dei crediti vantati dal V..

Premesso che la nullità del contratto sussiste anche nel caso della illiceità della causa quando la finalità non è lo scambio del bene contro il prezzo bensì il pagamento di un debito usurario, secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello, commettendo una prima violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., avrebbe omesso di verificare se la datio in solutum fosse o meno illecita, costituendo il pagamento di un debito usurario. Peraltro, nel ragionamento della Corte d’Appello vi sarebbe un ulteriore errore, in quanto avrebbe richiesto la prova della sproporzione tra il valore degli immobili venduti e la somma mutuata. Sul punto la sentenza meriterebbe di essere censurata giacché è noto che la fattispecie del reato di usura è integrata allorché taluno si fa dare o promettere un vantaggio usurario e non è richiesto che la vittima abbia corrisposto interessi usurari ma è sufficiente che siano stati promessi. Non è quindi necessario un calcolo del dare e dell’avere per verificare se effettivamente siano state corrisposte somme eccessive tali da sfociare nell’illecito vantaggio per verificare l’illiceità della causa del contratto. Dunque, avendo la Corte d’Appello accertato che le due compravendite si inserivano all’interno di rapporti di usura, la datio in solutum risulterebbe avere una causa illecita, avendo la funzione di estinguere in tutto o in parte un debito usurario, indipendentemente dal fatto che il debitore avesse o meno già corrisposto gli interessi usurari.

Nella specie, i ricorrenti evidenziano che è incontestato che vi sia stata la sentenza di patteggiamento con la quale il signor V.P.E. è stato condannato per i reati di usura, che le indagini penali hanno accertato il superamento del tasso usurario, che le perizie prodotte hanno attestato che il valore degli immobili trasferiti era pari a Lire 1.150.000.000 a fronte dell’asserito prezzo di 450.000.000 di Lire.

Sicché la datio in solutum accertata dalla Corte d’Appello sarebbe nulla ex art. 1418 c.c., per violazione dell’art. 644 c.p..

Per gli stessi motivi anche la seconda compravendita sarebbe nulla, considerato anche che il valore dell’immobile era pari a lire 250.000.000 e che il prezzo pattuito è stato di Lire 120.000.000. Sarebbe dunque irrilevante accertare se il prezzo pattuito sia stato o meno pagato, giacché il trasferimento dell’immobile ad un prezzo irrisorio per estinguere un mutuo integra di per sé l’ipotesi dell’usura.

In ogni caso, la Corte d’Appello avrebbe errato nel limitarsi a valutare la nullità del contratto solo con riferimento al divieto del patto commissorio, dovendo comunque procedere a rilevare d’ufficio la nullità per una diversa causa rispetto a quella invocata dall’attore. La domanda di nullità, infatti, è unica rispetto ai diversi possibili vizi di radicale invalidità che affliggono il negozio.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., nonché dell’art. 1972 c.c., comma 1 e art. 1421 c.c..

Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, gli attori avevano eccepito che l’atto di transazione e il relativo verbale di ricezione del 18 settembre 2011 fossero nulli per illiceità della causa. Anche nel giudizio d’appello la domanda di nullità dell’atto di transazione per illiceità della causa era stata riproposta.

La Corte d’Appello, a conferma della sentenza di primo grado, riteneva che l’eccezione di nullità della transazione fosse tardiva in quanto si sarebbe dovuta proporre entro la prima udienza e non già alla prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, per il sistema di preclusioni delineato dall’art. 183 c.p.c..

Il ricorrente richiama la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte con la quale si è affermato che la prima udienza non funge da sbarramento e che, con la memoria, possono anche essere modificate le domande. Vi sarebbe, dunque, violazione dell’art. 183 c.p.c.. La sentenza della Corte d’Appello contrasterebbe anche con l’art. 1421 c.c., relativo alla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in quanto le Sezioni Unite hanno stabilito che vi è la possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la causa di nullità anche non dedotta dalle parti in un momento successivo al verificarsi delle preclusioni. La Corte d’Appello avrebbe errato, dunque, nell’affermare che la domanda di accertamento della nullità dell’atto di transazione non poteva essere analizzata in quanto tardiva. Infine, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto valide le due compravendite, omettendo di fare applicazione dell’art. 1972 c.c., secondo cui è nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione alla necessità di accertare il valore reale degli immobili trasferiti.

Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, gli attori avevano domandato di accertare il reale valore degli immobili all’epoca dei trasferimenti, anche tramite consulenza tecnica d’ufficio. La domanda veniva reiterata anche nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, e ribadita anche con l’atto di citazione d’appello, oltre che nella precisazione delle conclusioni.

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che il contratto di compravendita non fosse nullo perché non sproporzionato rispetto al valore della somma mutuata senza disporre una consulenza tecnica d’ufficio atta a stabilire il reale valore degli immobili.

4. V.P.E. e P.B. hanno proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo così rubricato: violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 2668 c.c., comma 2, artt. 2652 e 2653 c.c..

La censura attiene al rigetto del motivo di appello incidentale con il quale era stata chiesta la cancellazione della trascrizione delle domande proposte dai ricorrenti.

La censura si fonda sul fatto che la cancellazione della trascrizione della domanda deve essere ordinata dal giudice anche di ufficio con la pronuncia di rigetto della domanda medesima.

5.1 Il primo motivo del ricorso principale per violazione dell’art. 112 c.p.c., è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale e dell’unico motivo del ricorso incidentale.

Rileva la Corte che, dall’esame degli atti di causa, peraltro sinteticamente riportati anche nel ricorso, emerge che i ricorrenti hanno agito, in primo grado e in appello, anche per accertare la nullità dei due contratti di compravendita per illiceità della causa o per violazione dell’art. 644 c.p., quale norma imperativa ex art. 1418 c.c..

La Corte d’Appello di Brescia ha esaminato i motivi di appello solo con riferimento alla domanda di simulazione assoluta e di violazione del patto commissorio, senza spendere alcuna motivazione sulla nullità del contratto per violazione di norme imperative o per illiceità della causa, nonostante il motivo di appello formulato dai ricorrenti ricomprendesse anche tali ipotesi.

Nella specie, peraltro, ricorre il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in quanto nella sentenza impugnata non può ravvisarsi alcuna espressa statuizione in ordine ai motivi di impugnazione che comporti necessariamente un implicito rigetto del motivo omesso. La Corte d’Appello di Brescia, infatti, ha ritenuto che la sentenza di applicazione della pena del Tribunale di Bergamo del 13 novembre 2001 non fosse un elemento sufficiente per provare la simulazione o la violazione dell’art. 2744 c.c., nonostante dalla stessa emergesse che il V. aveva effettuato innumerevoli finanziamenti a tassi usurari nei confronti di plurime parti offese, tra cui anche O.R. e R.G., ai quali erano stati fatti finanziamenti tra il 1996 e il 2000 al tasso annuo oscillante tra il 20 e il 50%.

L’esame dell’appello, pertanto, si è limitato solo alla domanda di simulazione e di divieto del patto commissorio e da tale decisione non si può dedurre un implicito rigetto della differente questione circa la nullità dei contratti di compravendita perché eseguiti come pagamento di un rapporto usuraio.

In proposito occorre richiamare l’evoluzione giurisprudenziale sulla c.d. “nullità virtuale” per violazione di norme penali che riconduce nell’alveo della violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., le ipotesi c.d. dei “reati in contratto” qualora la norma penale violata miri alla tutela di esigenze di interesse collettivo. Con riferimento al delitto di estorsione, di recente questa Corte ha affermato che “Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di estorsione è affetto da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in conseguenza del suo contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, in particolare l’inviolabilità del patrimonio e della libertà personale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti” (Sez. 2, Sent. n. 17959 del 2020).

In tale occasione si è evidenziato che l’interesse pubblico sotteso alla salvaguardia delle vittime dei reati di estorsione emerge con tutta evidenza nella legislazione speciale volta ad offrire loro un sostegno di tipo economico. Il delitto di estorsione, infatti, è considerato di estremo allarme sociale per la sua endemica diffusione sul territorio e per la sua nefasta incidenza sul tessuto economico della collettività. Al centro delle iniziative legislative vi è l’istituzione del fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura. Il primo provvedimento in questo senso è rappresentato del D.L. 31 dicembre 1991, n. 419 (Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito dalla L. 18 febbraio 1992, n. 172, L. n. 419 del 1991, che ha istituito per la prima volta il fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive. Sono seguite numerose altre leggi a tutela delle vittime di tali delitti (a solo titolo esemplificativo D.L. 27 settembre 1993, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 novembre 1993, n. 46; L. 23 febbraio 1999, n. 44 del 1999, L. 28 dicembre 2001, n. 448,. D.P.R. n. 19 febbraio 2014, n. 60, D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, L. n. 3 del 2012).

Le ragioni che ispirano tale legislazione sono variegate: oltre all’intento solidaristico vi è anche quello di dare sostegno alle attività economiche delle vittime, che altrimenti potrebbero cadere nelle mani della criminalità organizzata; inoltre, in tal modo l’intento del legislatore è di aumentare il numero di denunce per rendere sempre più incisiva l’azione di contrasto a tali attività criminali, e “dimostrare” che è possibile sottrarsi alle minacce e alla violenza delle organizzazioni criminali.

Ciò premesso, quello che in questa sede rileva è che l’evidente connotazione e dimensione pubblicistica della tutela delle vittime dei reati di estorsione vale anche per le vittime del reato di usura, quale indice sicuro della sussistenza di esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti. Per il reato di usura la rilevanza pubblicistica emerge ancora più netta dalla L. n. 108 del 1996, per il disvalore sociale di cui il legislatore ha permeato tale tipo di contrattazione illecita.

Deve ritenersi, pertanto, che qualora siano stati pattuiti interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di una prestazione di denaro, il contratto di compravendita con il quale il debitore trasferisca un bene immobile quale pagamento del debito usurario è nullo ex art. 1418 c.c., comma 1, tenuto conto dell’interesse generale di ordine pubblico tutelato dalla norma penale violata.

In tal caso, infatti, non può operare la specifica tutela prevista dell’art. 1815 c.c., comma 2 (come sostituito della L. n. 108 del 1996, art. 4) secondo cui: “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, con conversione del mutuo da contratto oneroso a contratto gratuito. Peraltro, ai fini della consumazione del delitto di usura, la nuova formulazione dell’art. 644 c.p., non richiede più quale elemento costitutivo l’approfittarsi dello stato di bisogno, essendo sufficiente il superamento del tasso soglia (usura c.d. automatica) oppure il trovarsi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”, (c.d. usura concreta) con il conseguente venir meno della sostanziale corrispondenza della norma penale con il rimedio civilistico della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. e ciò anche con riferimento alla c.d. lesione ultra dimidium.

La Corte d’Appello di Brescia ha qualificato i contratti in esame come datio in solutum in relazione al pagamento di debiti contratti da O.R., e li ha ritenuti validi senza considerare che qualora il bene immobile sia ceduto in pagamento di un debito usuraio o costituisca esso stesso un vantaggio usurario ai sensi dell’art. 644 c.p., commi 1 e 3, il relativo contratto di compravendita deve ritenersi nullo per contrarietà a norme imperativa ex art. 1418 c.c..

Sulla base dei principi sopra indicati spetterà alla Corte d’Appello nell’esaminare il motivo di appello omesso, verificare in concreto se i contratti oggetto del giudizio costituiscano effettivamente il pagamento di un debito avente natura usuraria o meno.

6. In conclusione la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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