Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.1228 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 14667 del 2021 promosso da:

Avv. L.O., rappresentato e difeso da sé medesimo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 7291/2020, pubblicata il 23 novembre 2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7 dicembre 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale Aggiunto Dott. SALVATO Luigi, che ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – L’Avv. L.O. ha proposto ricorso per ottemperanza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di *****, per ottenere l’esecuzione del giudicato derivante dalla sentenza della Corte di cassazione 3 agosto 2015, n. 16138 (emessa nell’ambito di un giudizio di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001), che aveva condannato il Ministero della giustizia a corrispondergli, quale procuratore antistatario, le spese del giudizio di merito nonché quelle del giudizio di legittimità.

2. – Il TAR del Lazio ha accolto il ricorso di ottemperanza e, per l’effetto, ha ordinato all’Amministrazione di dare esecuzione al titolo, nei termini e nei modi indicati in motivazione, nominando, per il caso di persistente inottemperanza, un commissario ad acta.

In particolare, il TAR ha disposto che il pagamento avvenga solo dietro presentazione, da parte del ricorrente, di una garanzia autonoma a prima richiesta (di pari importo) e senza eccezioni rilasciata da istituto bancario, consentendo altresì all’Amministrazione di compensare quanto ad essa, costituitasi parte civile, era stato liquidato, da una sentenza del Tribunale penale di Lecce, a titolo di provvisionale.

A tale riguardo, il giudice amministrativo ha considerato – in esito a un incombente istruttorio rivolto a verificare se il titolo giudiziale azionato in giudizio avesse origine da un ricorso viziato da falsità della procura ad litem – che il Tribunale penale di Lecce, con sentenza in data 30 gennaio 2020 (tempestivamente impugnata), aveva condannato l’Avv. L. alla pena principale di due anni di reclusione ed alla pena accessoria dell’interdizione dalla professione per la durata della pena principale, per i reati previsti dagli artt. 340 e 479 c.p., per aver turbato la regolarità del servizio pubblico della giustizia e per avere determinato la falsità ideologica di numerose pronunce giurisdizionali, avendo, in particolare, avviato parecchi procedimenti, tra cui quelli disciplinati dalla legge Pinto, all’insaputa delle presunte parti, falsificandone la sottoscrizione ai fini del rilascio della procura alle liti.

Il TAR ha altresì constatato che il Tribunale penale di Trani, con sentenza n. 1800 del 2019, aveva condannato l’Avv. L. a tre anni di reclusione e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, per i reati di cui agli artt. 340 e 481 c.p., per analoghe fattispecie di reato.

Il Tribunale amministrativo ha infine dato atto che i fatti per i quali erano sopraggiunte tali condanne non hanno attinenza con il procedimento culminato nella pronuncia della Corte di cassazione oggetto del ricorso di ottemperanza.

3. – Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 23 novembre 2020, ha respinto l’appello dell’Avv. L., condannandolo alle spese del secondo grado del giudizio in favore del Ministero.

3.1. – Il Consiglio di Stato ha considerato che, in sede di decisione di un ricorso per l’esecuzione di un giudicato, il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito e può pertanto emanare qualsiasi statuizione che ritenga giusta e proporzionata, da un lato per indurre l’amministrazione a dare esecuzione al giudicato, dall’altro per evitare che il proprio dictum comporti conseguenze asistematiche o non pienamente giustificate, sulla base di una complessiva valutazione di tutte le circostanze.

Il Consiglio di Stato ha quindi osservato che, così come nel corso del giudizio di cognizione in sede cautelare il giudice amministrativo può, ai sensi dell’art. 55, comma 2, cod. proc. amm., disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare, allo stesso modo e a maggior ragione lo stesso giudice amministrativo, nell’esercizio dei poteri inerenti alla propria giurisdizione di merito, tipici del giudizio di ottemperanza, può disporre cauzioni o garanzie, a seconda delle circostanze emerse nel corso del giudizio.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato infine che il ricorso di ottemperanza va definito senza differimenti e che le esigenze rappresentate dall’Amministrazione, legate alla pendenza di procedimenti penali a carico dell’Avv. L., possono essere soddisfatte disponendo che il pagamento venga effettuato dopo la presentazione di una idonea garanzia a prima richiesta.

4. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato l’Avv. L. ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 maggio 2021, sulla base di un unico motivo.

Ha resistito, con controricorso, il Ministero della giustizia.

5. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Deve essere, in via preliminare, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal Ministero controricorrente sul rilievo che l’atto di impugnazione per cassazione difetterebbe della esposizione sommaria dei fatti di causa, per essersi il ricorrente limitato a trascrivere acriticamente taluni passaggi della motivazione della sentenza impugnata.

Il Collegio osserva che la sentenza del Consiglio di Stato, trascritta dal ricorrente, contiene la descrizione dello svolgimento del processo e l’esposizione del fatto sostanziale e processuale, sicché attraverso quella riproduzione è ben possibile ricavare agevolmente la cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza necessità di ricorrere ad altre fonti.

2. – Con l’unico motivo, articolato in tre profili, il ricorrente denuncia “carenza di giurisdizione, eccesso di potere giurisdizionale di ottemperanza di sentenza emessa dal giudice ordinario; violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 34, 39 e art. 112, comma 2, lett. c), cod. proc. amm. e degli artt. 99,101 e 112 c.p.c.; violazione ed erronea applicazione degli artt. 24 e 111 Cost.; violazione ed erronea applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU e della L. 24 marzo 2001, n. 89”.

Ad avviso del ricorrente, il Consiglio di Stato, subordinando l’esecuzione della sentenza ottemperanda alla presentazione di una garanzia autonoma a prima richiesta, avrebbe superato i limiti esterni del potere giurisdizionale di ottemperanza di sentenza emessa dal giudice ordinario, rivisitando il contenuto del giudicato, sia pure limitandone l’esecuzione.

Sostiene il ricorrente che alla base del giudizio di ottemperanza si colloca il principio di effettività della tutela giurisdizionale. Osserva inoltre che, ove il Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza di una sentenza definitiva del giudice ordinario, effettui un sindacato integrativo – individuando, in tal modo, un diverso contenuto precettivo del giudicato, con una pronuncia sostanzialmente autoesecutiva – ciò si traduce in un eccesso di potere giurisdizionale sindacabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, inteso quale esorbitanza dai limiti esterni che segnano l’ambito della sua giurisdizione.

Ad avviso del ricorrente, quando il giudice dell’ottemperanza viene chiamato a pronunciarsi sull’avvenuta esecuzione di un provvedimento emesso, come nella specie, da un altro plesso giurisdizionale, lo stesso esercita poteri cognitori limitati alla mera esecuzione del titolo azionato, senza che sia possibile alcuna interpretazione del giudicato o, addirittura, una sua integrazione.

Il ricorrente invoca l’applicazione del principio secondo cui, in presenza di un definitivo accertamento, in sede giurisdizionale ordinaria o amministrativa, di un diritto vantato da un privato, sia nell’an che nel quantum, resta precluso ogni ulteriore esame della questione dinanzi a qualsiasi altra autorità giurisdizionale.

La decisione del Consiglio di Stato, confermativa della decisione del TAR del Lazio che ha subordinato al rilascio di una garanzia fideiussoria l’esecuzione della sentenza della Corte di cassazione azionata con il giudizio di ottemperanza, sarebbe viziata, ad avviso del ricorrente, da eccesso di potere giurisdizionale, in quanto intervenuta su materia di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria e lesiva dei diritti, costituzionalmente garantiti, ad una durata ragionevole del processo ed alla effettività della tutela giurisdizionale.

Il ricorrente si duole inoltre che sia stato consentito all’Amministrazione di compensare quanto ad essa è stato liquidato, a titolo di provvisionale, dalla sentenza penale del Tribunale di Lecce.

3. – Il ricorso per cassazione è proposto nei confronti di una sentenza del Consiglio di Stato.

Il giudice amministrativo è stato investito di un ricorso per l’ottemperanza di una sentenza, passata in giudicato, del giudice ordinario, emessa nell’ambito di un giudizio di equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, e recante la condanna del Ministero al pagamento delle spese processuali in favore del difensore antistatario della parte privata.

Il giudice amministrativo ha accolto la domanda di esecuzione con la nomina di un commissario ad acta, subordinando tuttavia il pagamento portato dal titolo alla presentazione, da parte del creditore ricorrente, di una garanzia a prima richiesta, ritenuta giustificata dalle circostanze.

L’interrogativo che solleva il motivo è se il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza del TAR che, dichiarando l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al giudicato civile, ha disposto che il pagamento avvenga solo dietro presentazione, da parte del ricorrente, di una garanzia autonoma a prima richiesta, abbia superato il crinale dei limiti esterni della giurisdizione.

Il motivo pone altresì l’interrogativo se la sentenza del giudice amministrativo d’appello sia viziata sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale là dove ha statuito che il pagamento del Ministero possa essere subordinato, a discrezione di quest’ultimo, alla verifica che il debito del ricorrente, derivante da una provvisionale liquidata dal giudice penale a favore dello stesso Ministero costituitosi parte civile, sia stato soddisfatto, autorizzando l’Amministrazione a trattenere le somme di spettanza del ricorrente a titolo di adempimento dell’obbligazione sorta in forza della sentenza penale.

4. – Conviene premettere che, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. amm., l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione del giudicato derivante da una pronuncia del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarvisi.

Tale disposizione è espressione di una tradizione risalente che oggi si presenta con una giustificazione nuova.

L’ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo per l’attuazione delle sentenze del giudice ordinario – la cui origine è legata alla necessità di non lasciare sprovvista di tutela la situazione di diritto soggettivo, esposta nella sede esecutiva ai limiti derivanti dalla divisione dei poteri e dall’impossibilità per il giudice di incidere direttamente sull’organizzazione e sull’attività amministrativa – risponde, oggi, ad una esigenza di garanzia e di effettività della tutela.

L’attuazione della pronuncia del giudice ordinario nei confronti della P.A. si realizza con il ricorso a tutti i mezzi offerti dal sistema delle garanzie nel suo complesso. Il giudizio di ottemperanza, disciplinato dal codice del processo amministrativo, e il procedimento di esecuzione forzata, regolato dal codice di procedura civile, costituiscono gli strumenti processuali attraverso i quali il legislatore assicura effettività e pienezza alle pronunce del giudice ordinario.

Il giudizio di ottemperanza per ottenere l’esecuzione di una sentenza di condanna emessa dal giudice ordinario consente al creditore di avvalersi, per la soddisfazione del suo diritto, di un sistema improntato sui poteri sostitutivi riconosciuti al giudice amministrativo e per il suo tramite al commissario ad acta. Al giudice amministrativo dell’ottemperanza è attribuito, infatti, il potere di ingerirsi nel merito dell’attività amministrativa, e quindi di porre in essere in luogo dell’amministrazione, direttamente o tramite un commissario ad acta, tutti gli adempimenti e gli atti necessari per soddisfare le pretese della parte privata consacrate nel titolo.

5. – Il giudizio di ottemperanza per le decisioni del giudice ordinario è caratterizzato dalla carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sulla materia sottostante al giudicato azionato.

L’ottemperanza si presenta con caratteristiche diverse a seconda che riguardi una sentenza del giudice ordinario al pagamento di una somma di danaro o una sentenza di annullamento del giudice amministrativo che comporta la necessità di reiterare l’esercizio del potere secondo dei vincoli conformativi dettati dalla sentenza di cognizione.

Nel primo caso il giudizio di ottemperanza assume natura e caratteristiche per lo più di semplice giudizio esecutivo; nell’altro, tende a conseguire una attività provvedimentale dell’amministrazione ed anche effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto di impugnazione.

Più in generale, ove l’ottemperanza concerna l’attuazione di una sentenza del giudice amministrativo, il giudice dell’ottemperanza ha il potere di integrare il giudicato, nel quadro degli ampi poteri, tipici della giurisdizione estesa al merito (e idonei a giustificare anche l’emanazione di provvedimenti discrezionali), che in tal caso egli può esercitare ai fini dell’adeguamento della situazione al comando rimasto inevaso. Nel giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può quindi adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione.

Il giudice dell’ottemperanza non può esercitare analoghi poteri di integrazione allorché la sentenza da eseguire sia stata adottata dal giudice ordinario. Quando è chiamato a dare esecuzione al giudicato civile, il giudice dell’ottemperanza svolge una funzione attuativa della concreta statuizione giudiziale adottata dal giudice ordinario e non può alterare il suo precetto, limitandone o ampliandone la portata effettuale in violazione dell’art. 2909 c.c..

6. – In generale, la decisione di rigetto della domanda proposta per ottenere l’ottemperanza di un giudicato non è sindacabile dalla Corte di cassazione per motivi inerenti all’interpretazione del giudicato e delle norme oggetto di quel giudizio, atteso che gli errori nei quali il giudice amministrativo sia eventualmente incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa (Cass., Sez. Un., 26 dicembre 2016, n. 26274; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2021, n. 2909).

Al fine di distinguere le fattispecie, nelle quali il sindacato della Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza è consentito, da quelle nelle quali tale sindacato è da ritenere inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza viene esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se viene posta in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni). Ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato, l’accertamento del comportamento tenuto dalla P.A. e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che essa avrebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente essere incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2013, n. 4852; Cass., Sez. Un., 30 maggio 2018, n. 13699; Cass., Sez. Un., 26 maggio 2020, n. 9773).

Afferiscono ai menzionati limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell’individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell’amministrazione e nella valutazione di non conformità (Cass., Sez. Un., 17 settembre 2021, n. 25165).

Il potere interpretativo del giudicato da eseguire, insito nella struttura stessa del giudizio di ottemperanza in quanto giudizio di esecuzione, allorché attenga ad un giudicato formatosi davanti ad un giudice diverso da quello amministrativo, non può che esercitarsi sulla base di elementi interni al giudicato da ottemperare e non su elementi esterni, la cui valutazione rientra in ogni caso nella giurisdizione propria del giudice che ha emesso la sentenza. Pertanto, ove il Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza di una sentenza definitiva del giudice ordinario, effettui un sindacato integrativo, con una pronuncia sostanzialmente autoesecutiva, ciò si traduce in un eccesso di potere giurisdizionale sindacabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, inteso quale esorbitanza dai limiti esterni che segnano l’ambito della sua giurisdizione (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28812; Cass., Sez. Un., 14 dicembre 2016, n. 25625).

In tema di ottemperanza al giudicato formatosi sull’ingiunzione di pagamento emessa dal giudice ordinario nei confronti di un Comune, si è riconosciuto che non incorre in eccesso di potere giurisdizionale il giudice amministrativo che, nel dare esecuzione a quel titolo, ne subordini il pagamento alla presentazione del documento unico di regolarità contributiva (DURC) ad opera del creditore. Si tratta infatti di certificazione che, attestando la regolarità contributiva di quest’ultimo, temporalmente fissata proprio al momento del menzionato pagamento, non incide sull’esistenza o sull’entità del credito e non integra il giudicato sul decreto ingiuntivo con elementi estranei ad esso, ma conferma, piuttosto, un obbligo di legge – congruente con la fase del giudizio di esecuzione, quale è quello di ottemperanza – previsto anche per l’adempimento dell’obbligazione da parte dell’ente pubblico, cui è imposto di sanare l’irregolarità contributiva nei confronti degli enti previdenziali ed assicurativi utilizzando le somme spettanti al creditore (Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2017, n. 4092). La Corte ha pertanto escluso che la considerazione da parte del giudice amministrativo di un elemento rimasto estraneo al giudicato abbia comportato un’attività integrativa del giudicato medesimo e, con ciò, che nel caso di specie potessero ritenersi superati i limiti esterni della giurisdizione amministrativa.

7. – Preme inoltre sottolineare che il ricorso per cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato può essere proposto soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm.).

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di ribadire (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2021, n. 36594), l’eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici); e poiché la nozione di eccesso di potere giurisdizionale non ammette letture estensive, neanche limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento, il relativo vizio non è configurabile in relazione a denunciate violazioni di legge sostanziale o processuale riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale (Cass., Sez. Un., 4 dicembre 2020, n. 27770).

8. – Poste tali premesse, nella specie non è configurabile il denunciato eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

Con la sentenza impugnata, di conferma della pronuncia di primo grado del TAR, il Consiglio di Stato non ha in alcun modo inciso sull’intangibilità del giudicato civile formatosi sulla debenza della somma da esso portata.

Difatti, il ricorso di ottemperanza è stato accolto dal giudice amministrativo, il quale ha nominato un commissario ad acta per l’esecuzione. Non è stato attribuito al giudicato un contenuto precettivo diverso da quello risultante dal titolo. Il diritto come riconosciuto dal giudicato del giudice ordinario non è stato negato. Il giudice amministrativo non ha regolato un nuovo rapporto tra le parti la cui cognizione è assegnata ad altra giurisdizione. Non ha pronunciato su una controdomanda e neppure ha esercitato una cognizione diretta a risolvere questioni o controversie devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Come esattamente sottolineato dal Procuratore Generale nelle conclusioni scritte, il giudice dell’ottemperanza non ha proceduto ad accertare il diritto oltre il decisum (ed in contrasto con lo stesso), non ha deciso una questione o una controversia devoluta ad altro giudice né ha integrato la motivazione (o il dispositivo) del giudicato.

8.1. – Per un verso, senza incorrere in alcuna manipolazione di quel decisum o in una limitazione della portata dello stesso, il giudice dell’ottemperanza ha considerato, nel prescrivere le modalità dell’esecuzione, la rilevanza di circostanze sopravvenute alla pronuncia del provvedimento giurisdizionale costituente titolo esecutivo, potenzialmente suscettibili di escludere la persistenza di una situazione debitoria in capo all’Amministrazione.

Il giudice dell’ottemperanza ha infatti dato rilievo alla pendenza di procedimenti penali a carico dell’Avv. L.O. (con sentenze di primo grado di condanna, appellate dall’imputato) per fatti di reato relativi alla falsità di numerosissime procure alle liti con riguardo a ricorsi per equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001.

Considerata la gravità dei fatti contestati in sede penale all’Avv. L.O. e la possibilità che, all’esito dei menzionati procedimenti penali, la somma risultante dal giudicato civile risulti non più dovuta, il giudice dell’ottemperanza, senza fuoriuscire dalla funzione esecutiva che l’ordinamento gli assegna, ha stabilito le modalità dell’esecuzione adottando quelle ritenute giustificate in base alle circostanze e congruenti con la fase processuale.

In questa prospettiva, il Consiglio di Stato – mosso dall’esigenza di definire il ricorso di ottemperanza, ma anche di evitare che il proprio dictum comporti conseguenze asistematiche o non pienamente giustificate – ha confermato la pronuncia del TAR che ha subordinato il pagamento alla prestazione, da parte del creditore ricorrente, di una garanzia autonoma a prima richiesta.

Di tale modalità dell’esecuzione, in definitiva, si duole il ricorrente: sia là dove denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge e di parametri costituzionali e convenzionali, sia là dove evoca l’eccesso di potere giurisdizionale di ottemperanza.

Si tratta infatti di una censura che, nei suoi singoli profili e nel complesso, riguarda le modalità dell’esecuzione e quindi un aspetto attinente al modo di esercizio del potere giurisdizionale del giudice dell’ottemperanza. Pertanto, essa investe i limiti interni della giurisdizione amministrativa.

In altri termini, il giudice amministrativo non ha risolto una controversia i cui effetti travalicano il perimetro dell’ottemperanza, ma si è limitato a prendere atto di una sopravvenienza (le condanne penali del ricorrente, fonte di un debito risarcitorio a suo carico), stabilendo, in sede di individuazione delle modalità dell’esecuzione, le opportune cautele.

Nel giudizio di ottemperanza, spetta al giudice amministrativo individuare le modalità di esecuzione del giudicato; l’ipotizzato errore commesso dal Consiglio di Stato nel ritenere estensivamente applicabile a tale giudizio la norma, dettata per il procedimento cautelare (art. 55 cod. proc. amm.), che consente al giudice di disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, integra, al più, un vizio in iudicando o in procedendo attinente al modo di esercizio del potere giurisdizionale conferito al giudice speciale, ma non ridonda in vizio inerente alla giurisdizione e non può pertanto essere censurato con il ricorso per cassazione.

E’ pur vero che l’imposizione di una garanzia personale a carico del creditore procedente, quale condizione per ottenere l’attuazione del giudicato e quale misura conservativa a favore della P.A. debitrice, potrebbe rappresentare, in via di fatto, un ostacolo al conseguimento in concreto del bene della vita consacrato nel titolo.

E tuttavia, a prescindere dall’osservazione che in tal modo il giudicato non è stato inciso, essendosi, più semplicemente, dato rilievo a fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (le condanne in sede penale, in un caso anche con provvisionale) e, in quanto tali, giammai esaminabili a priori dal giudice che quello ha pronunciato, ed essendosi così collocato in seno all’ottemperanza l’apprezzamento dell’incidenza di obbligazioni a carico dello stesso creditore derivanti da separate ragioni in corso di accertamento dinanzi al giudice ordinario; a prescindere da ciò, preme osservare che non si è neppure di fronte ad un eccesso di potere sindacabile dalle Sezioni Unite sotto il profilo del rifiuto di giurisdizione. Infatti, il rifiuto di giurisdizione sindacabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, è soltanto quello in astratto, ossia quello discendente dalla affermazione, da parte del giudice speciale, che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio e’, appunto in astratto, priva di tutela; non quello, come nella specie, riconducibile ad una, ipotizzata, erronea negazione in concreto, per asseriti vizi in iudicando o in procedendo, della tutela alla situazione soggettiva azionata (cfr. Cass., Sez. Un., 6 giugno 2017, n. 13976).

8.2. – Ne’, per altro verso, la sentenza impugnata appare viziata sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale là dove autorizza il Ministero a trattenere, a titolo di adempimento dell’obbligazione, le somme ad esso spettanti in forza della provvisionale immediatamente esecutiva liquidata dal giudice penale.

Rientra, infatti, nel potere del giudice dell’ottemperanza dare rilevanza, in funzione estintiva del debito dell’amministrazione consacrato nel titolo, a un controcredito della stessa, successivo al giudicato, derivante da una sentenza penale di condanna del ricorrente in ottemperanza.

Tale attività, di per sé, non fuoriesce dalla funzione esecutiva che l’ordinamento assegna al giudice amministrativo investito dell’ottemperanza del giudicato civile, perché egli si limita a prendere atto di un mutamento che comporta l’estinzione dell’obbligazione scolpita nel titolo.

Gli eventuali errori in cui il Consiglio di Stato sia eventualmente incorso nell’applicare l’istituto della compensazione disciplinato dal codice civile (in particolare, per avere il giudice amministrativo dato rilievo, in favore della P.A., ad una pronuncia di condanna immediatamente esecutiva ma non ancora divenuta irrevocabile), essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione amministrativa.

8.3 – Di qui l’inammissibilità del ricorso, posto che le doglianze in cui si articola sono dirette a far emergere vizi in iudicando in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato nel concreto esercizio della funzione giurisdizionale, come tali non sottoponibili al controllo delle Sezioni Unite, che è limitato alla verifica del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale.

9. – Il ricorso è – sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero – inammissibile.

10. – Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, che liquida in Euro 1.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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