Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1234 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15887-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

IMT SRL, INTESA SANPAOLO SPA, MELVILLE SRL, quest’ultima in proprio e quale incorporante di MANZONI SRL, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA FREGENE 67 presso lo Studio ACTA, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO LUPI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMILIANO COVINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 132/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 22/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto i ricorsi riuniti della IMT s.r.l., della Manzoni s.r.l., della Melville s.r.l., dell’Intesa San Paolo s.p.a. e dell’IMI Investimenti s.p.a., contro l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro con il quale l’Amministrazione aveva riqualificato, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, in modo unitario, come cessioni di ramo d’azienda, una serie di diversi atti (due conferimenti di rami d’azienda a favore della Manzoni s.r.l. ed una scissione parziale di quest’ultima), sottoponendo l’operazione complessiva, così riqualificata, all’imposizione in misura proporzionale.

Intesa San Paolo s.p.a., in proprio e quale incorporante IMI Investimenti s.p.a.; IMT s.r.l.; e Melville s.r.l., in proprio e quale incorporante Manzoni s.r.l., si sono costituite con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e dell’art. 1325 c.c., n. 2, degli artt. 2506, 2555 e 2556 c.c..

Premette la ricorrente che il giudice a quo ha rigettato l’appello principale erariale ed ha confermato la sentenza di primo grado (sia pur con l’impropria formula dispositiva dell’accoglimento dell’appello incidentale dell’Intesa San Paolo s.p.a. e dell’IMI Investimenti s.p.a.), sulla base di una motivazione diversa da quella già resa dalla CTP, che pure aveva accolto i ricorsi delle contribuenti.

Infatti il giudice di prime cure (come risulta dallo stesso ricorso, oltre che dalla sentenza impugnata) aveva accolto i ricorsi introduttivi ritenendo che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, finanche a prescindere dalla L. n. 205 del 2017, successivo art. 1, comma 87, lett. a), (sul quale infra), dovesse interpretarsi nel senso che l’indagine sugli effetti giuridici del negozio giuridico dovesse essere compiuto unicamente sulla base degli elementi emergenti dai documenti presentati alla registrazione, essendo l’imposta di registro un’imposta d’atto, senza che quindi potesse rilevare il collegamento negoziale tra atti diversi.

Il giudice d’appello ha invero richiamato espressamente la ratio decidendi della sentenza appellata, ed ha dato atto che l’interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (anche alla luce della controversa funzione innovativa o di interpretazione autentica della L. n. 205 del 2017, successivo art. 1, comma 87, lett. a)) costituiva oggetto sia dell’appello erariale che delle controdeduzioni e dell’appello incidentale delle contribuenti, ed era stata altresì oggetto di rimessione alla Corte costituzionale di una questione incidentale di legittimità costituzionale.

Premessa quindi chiaramente l’appartenenza della relativa questione al thema decidendum ed al contraddittorio, la CTR ha tuttavia espressamente ritenuto di poter soprassedere dal suo esame in applicazione del principio della “ragione più liquida”, che ha ravvisato nella circostanza che ” anche a voler considerare unitariamente la complessiva operazione”, “le operazioni sono avvenute esclusivamente all’interno del Gruppo Intesa Sanpaolo e finalizzate alla riorganizzazione delle proprie attività di private equity”, per cui resterebbe “provato che con gli atti riqualificati non c’e’ stata alcuna cessione a terzi ma solamente una ristrutturazione interna del gruppo”.

Il ricorso erariale censura in diritto tale conclusione, assumendo l’erroneità delle affermazioni secondo cui la riqualificazione delle operazioni in questione in un’unica operazione di cessione di ramo d’azienda sarebbe impedita dalla circostanza che le diverse società appartenessero ad un unico gruppo e che, al termine della relativa sequenza negoziale, non vi fosse piena identità tra l’azienda conferita e quella trasferita.

1.1. Il motivo è infondato e va respinto, sebbene vada corretta in diritto la motivazione della sentenza impugnata.

Invero deve rilevarsi che la questione dell’interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, anche in considerazione della sua evoluzione normativa, costituiva oggetto già dei ricorsi introduttivi, come risulta dalla stessa sentenza qui impugnata, oltre che della decisione di primo grado (che aveva accolto i ricorsi introduttivi affermando la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro ed aveva escluso che potesse rilevare il collegamento negoziale tra atti diversi ai fini della riqualificazione operata dall’Ufficio), dell’appello incidentale e delle controdeduzioni delle contribuenti, che la ribadiscono e ripropongono anche nel controricorso.

Giova, peraltro, precisare che le stesse contribuenti, comunque totalmente vittoriose nel merito, a seguito del rigetto dell’appello erariale per la “ragione più liquida” e del c.d. “assorbimento improprio” della predetta questione (che non può ritenersi quindi neppure implicitamente rigettata, essendo stata anzi esplicitamente “accantonata” dalla CTR), non avrebbero dovuto e potuto proporre ricorso incidentale condizionato sul punto, essendo quindi legittimate a riproporre la medesima questione con il controricorso in questa sede.

Infatti, nel caso di applicazione del criterio della ragione più liquida ” si è in presenza non già di un giudicato implicito sull’esistenza del diritto oggetto di pretesa, ma di c.d. assorbimento improprio, che non importa onere di impugnazione da parte del soggetto vittorioso in appello. Infatti, com’e’ noto, il criterio della ragione più liquida non segue l’ordine logico-giuridico delle questioni, ma quello per così dire “economico” del risparmio di energie processuali, cioè dell’uso della ratio decidendi già pronta e di per sé sufficiente (sulla tecnica dell’assorbimento c.d. improprio in virtù dell’uso del criterio della ragione più liquida cfr., ex alias, Cass. n. 17219 del 2012; Cass. n. 7663 del 2012; Cass. n. 11356 del 2006; Cass., 30/3/2001, n. 4773; anche la dottrina è concorde sull’ammissibilità dell’applicazione della ragione più liquida e sul fatto che essa non importa formazione di giudicato implicito sulle questioni non esaminate e che non ne costituiscano indispensabile presupposto logico-giuridico).” (Cass. Sez. 6 L, Ordinanza n. 5724 del 20/03/2015, in motivazione; cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 20555 del 29/09/2020).

Infatti “Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio.” (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 19503 del 23/07/2018; cfr. Cass. Sez. U -, Sentenza n. 13195 del 25/05/2018).

Pertanto, in questa sede la Corte può esaminare la questione relativa all’interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, anche alla luce dell’evoluzione di tale norma, tanto più che essa involge questioni di mero diritto, che lasciano immutati i termini, in fatto, della controversia così come accertati e considerati dal giudice del merito (cfr. Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5724 del 20/03/2015, in motivazione).

1.2. Tanto premesso, va rammentato che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella versione originaria, stabiliva che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Nell’interpretazione giurisprudenziale di tale disposizione prevaleva l’orientamento costante secondo cui, nella lettura degli atti registrati, dovesse prevalere la sostanza della loro natura funzionale e dei loro effetti giuridici, piuttosto che il loro titolo, derivante dal relativo tipo negoziale, e la loro forma (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).

Isolate, invece, sono rimaste quelle pronunce nelle quali si è detto che l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti al contratto, non potesse travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risultava inquadrabile, salva la prova, da parte sua, sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici (cfr. Cass., ord., 15 gennaio 2020, n. 722; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2954).

Con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, è stato così modificato: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Questa Corte, nell’interpretare la nuova formulazione della norma, ha ritenuto che essa abbia ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (Cass. ord. 23 settembre 2019, n. 23549).

Successivamente, la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ha disposto che “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1".

Pertanto il legislatore, a fronte di un’interpretazione giurisprudenziale che escludeva che la novella di cui alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), avesse effetto retroattivo (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2207), ha esplicitato, con l’interpretazione autentica offerta dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, l’intenzione di attribuire efficacia retroattiva alla nuova versione del ridetto il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (cfr. Cass. ord. 23/09/2019, n. 23549).

1.1. Investita da questa Corte, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, sollevata in relazione agli artt. 3 e 53 Cost..

Con la successiva sentenza n. 39 del 16 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost..

Il giudice delle leggi ha osservato che il legislatore ” ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico” (Corte Cost. sent. n. 158 del 2020). Ed ha aggiunto che un’interpretazione dell’art. 20, che fosse basata sulla nozione di causa reale “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale” (Corte Cost. sent. n. 158 del 2020), sebbene pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea.

Fermo restando, comunque, che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possano rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (né, comunque, potrebbe in ipotesi riqualificarsi l’atto impositivo come emesso in ragione di disposizioni antielusive, ove non contenga anche la contestazione della violazione di queste ultime, pena un inammissibile allargamento del thema decidendum a presupposti di fatto e di diritto non contestati con l’atto impugnato: così Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9065 del 01/04/2021, in motivazione).

All’esito dell’intervento della Corte costituzionale, è stato quindi affermato che “In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, cui, ai sensi della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva (norme ritenute esenti da profili di illegittimità dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con sentenze n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021), deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9065 del 01/04/2021, cit.).

Ed è stato ritenuto che “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 – nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo la L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 10688 del 22/04/2021).

Nel caso di specie, come risulta dalla trascrizione dell’atto di liquidazione contenuta nello stesso ricorso, dalla sentenza di primo grado ibidem trascritta, dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, la riqualificazione dell’operazione unitaria è stata effettuata dall’Agenzia attribuendo rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della contestata cessione di ramo d’azienda, ad elementi extratestuali, rinvenuti nella pluralità degli atti in oggetto (peraltro intercorsi anche tra soggetti diversi), sul presupposto di un loro collegamento negoziale o, comunque, di una loro preordinazione ad un risultato economico unitario, che sarebbe rivelata dalla concatenazione sostanziale degli atti stessi, dalla loro successione nel tempo, dalla coincidenza della compagine sociale e del rappresentante legale di alcune delle società, dalla loro appartenenza ad un gruppo. Elementi dai quali dovrebbe quindi desumersi che i distinti atti (i conferimenti dei rami d’azienda e la successiva scissione) costituirebbero lo “schermo” della cessione “indiretta” del ramo d’azienda, da sottoporre ad imposta di registro proporzionale.

Pertanto, come già rilevato dal giudice di prime cure, non sussistevano in diritto i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (interpretato in base ai principi normativi e giurisprudenziali già richiamati) nel senso ritenuto dall’Amministrazione.

L’esclusione della legittimità dell’utilizzazione, ai fini della riqualificazione degli atti sottoposti all’imposta di registro, di elementi extratestuali assorbe ogni altra questione relativa alla correttezza degli esiti della medesima riqualificazione.

2.Le spese del giudizio di legittimità si compensano, considerata la progressiva e recente evoluzione dell’assetto normativo (anche per effetto degli interventi del giudice delle leggi) e giurisprudenziale della materia.

3.Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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