LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 947-2020 proposto da:
V.M.G., B.P., rappresentati e difesi dall’avvocato Gianfranco Gollin con studio in Monselice (PD);
– ricorrenti –
contro
C.M., rappresentata e difesa dall’avvocato Franco Modena con studio in Rovigo;
– controricorrente –
avverso il provvedimento della Corte d’appello di Venezia, depositata il 14/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/06/2021 dalla Consigliera Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– i sigg.ri B.P. e V.M.G. impugnano per cassazione il provvedimento della Corte d’appello di Venezia con cui è stata disposta su istanza della sig.ra C.M. la correzione della sentenza che aveva revocato l’ordine di reintegra a favore di B.P. e V.M. omettendo di ordinare la restituzione a favore della C. delle chiavi e delle somme pignorate ed assegnate agli appellati vittoriosi in virtù della sentenza di primo grado poi riformata in appello;
– la correzione era stata disposta in forza del principio enunciato da questa Corte nella sentenza 2819/2016 che ammette l’interpretazione estensiva degli artt. 287 e 288 c.p.c.;
– la cassazione dell’ordinanza di correzione è chiesta con ricorso affidato a due motivi, cui resiste la C. con controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo con cui si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e agli artt. 1147,1150 e 1152 c.c., per avere la corte territoriale disposto con l’ordinanza impugnata la restituzione delle chiavi senza considerare il possesso in buona fede dei B.- V. con il conseguente diritto di ritenzione, e quello al rimborso delle spese fatte per riparazioni straordinarie ed all’indennità per i miglioramenti apportati;
– la censura è inammissibile perché i ricorrenti sottopongono alla Corte una questione che attiene al merito delle domande accessorie a quella di infondatezza della domanda possessoria da essi a suo tempo avanzata e respinta dal giudice di appello; tuttavia i ricorrenti non indicano se e dove l’hanno specificamente sottoposta al giudice del merito, con la conseguenza che la deduzione delle questioni in questa sede non appare idonea ad inficiare la ratio decidendi della disposta correzione;
– la corte d’appello ha fatto applicazione del principio di diritto secondo il quale è ammissibile, alla stregua dell’interpretazione estensiva degli artt. 287 e ss. c.p.c., l’utilizzazione del procedimento di correzione degli errori materiali qualora il giudice del gravame, riformando la sentenza appellata, ometta, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione di quest’ultima, atteso che una siffatta condanna è sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, sicché sono configurabili i presupposti di fatto che giustificano la correzione e la relativa declaratoria necessariamente “accede” al “decisum” complessivo della controversia, senza assumere una propria autonomia formale, collegandosi l’omissione ad una mera disattenzione (cfr. Cass. n. 17664 del 2019);
– con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’errata determinazione della somma da restituire in ragione di altro contenzioso esecutivo intercorso tra le parti;
– anche questa censura è inammissibile perché i ricorrenti fondano la contestazione su documenti diversi da quelli prodotti nel giudizio d’appello (un provvedimento del 2019, cfr. pag. 7 del ricorso, ultimo cpv) e sui quali era fondata la domanda di restituzione proposta dalla C. in relazione al recupero spese legali effettuato dai ricorrenti in sede esecutiva all’esito dei provvedimenti di assegnazione in quella sede emessi sulla base dei titoli giudiziali poi riformati in appello (cfr. ordinanza di assegnazione specificamente indicate a pag. 2 e 3 sub n. 1 e n. 2 del controricorso);
– il ricorso è dunque inammissibile e, in applicazione della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente e liquidate in Euro 2500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in Euro 2500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile-2, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022
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