LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35236-2019 proposto da:
V.D. e C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E. PISTELLI, 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO GERUNDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIACOMO QUAGLIARELLA;
– ricorrenti –
contro
D.M.D., D.M.M., D.M.P., V.G.;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 9996/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 10/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA GORGONI.
RILEVATO
che:
V.D. e C.G. ricorrono per la revocazione della sentenza n. 9996/2019 di questa Suprema Corte, pubblicata il 10 arile 2019, articolando un solo motivo, illustrato con memoria.
Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede dagli intimati.
V.G., condannato per l’omicidio della moglie e della suocera, D.M.L. e P.M.G., rilasciava, mentre era detenuto, procura generale alla sorella V.M.A.S., servendosi della quale quest’ultima alienava tutti i beni del primo a V.D. e C.G., rispettivamente, padre e madre del rappresentato.
I congiunti delle vittime, D.M.D. e D.M.P., convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, i coniugi V.D. e C.G. nonché V.G., al fine di far dichiarare l’inefficacia ex art. 2901 c.c., della suddetta compravendita. La causa veniva iscritta a ruolo con il n. RG 16070/2009, dinanzi al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Canosa di Puglia.
Nel corso dell’udienza del 6 luglio 2009 gli attori D.M. chiedevano di estendere la domanda all’atto costitutivo del fondo patrimoniale, stipulato in data 23 gennaio 2009, avente ad oggetto gli stessi beni oggetto della domanda revocatoria.
Il Tribunale di Trani, con sentenza n. 166/2010, accoglieva la domanda solo relativamente all’atto di compravendita, atteso che quella relativa alla costituzione del fondo patrimoniale, avanzata per la prima volta all’udienza di prima comparizione, era da considerarsi inammissibile, in quanto domanda nuova tardivamente proposta.
Con atto di citazione del 20 gennaio 2011 i convenuti V.- C. proponevano appello avverso la decisione n. 166/2010 del Tribunale di Trani.
Il 3 febbraio 2011 i D.M. citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, i coniugi V.- C., chiedendo la revocatoria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale. La causa veniva iscritta a ruolo con il n. Rg. 9300059/2011.
I coniugi V.- C., costituitisi in questo secondo giudizio, eccepivano la violazione dell’art. 39 c.p.c., chiedendo che la causa venisse dichiarata improcedibile.
In data *****, i D.M. si costituivano nel giudizio di appello avverso la sentenza n. 166/2010 del Tribunale di Trani, chiedendone la conferma.
Il giudizio di primo grado, avente ad oggetto la domanda ex art. 2901 c.c., nei confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, si concludeva con la decisione n. 362/2015, con cui il Tribunale di Trani accoglieva la domanda e dichiarava inefficace, nei confronti dei D.M., il fondo patrimoniale.
I convenuti V.- C. impugnavano detta decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, insistendo perché fosse accertata la litispendenza ex art. 39 c.p.c..
La Corte d’Appello di Bari, provvedeva alla riunione di detto atto di impugnazione con quello pendente innanzi alla II sezione, avente ad oggetto la sentenza n. 166/2010 e, con la sentenza n. 327/2017, rigettava entrambi gli appelli.
V.D. e C.G. proponevano ricorso per la cassazione della suddetta pronuncia. La Corte di Cassazione, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, lo rigettava e, in particolare, ai fini che qui interessano, respingeva il primo motivo, con cui veniva denunciata la violazione dell’art. 39 c.p.c., ritenendolo inammissibile, prima che infondato, evidenziando: i) che la proposizione della medesima domanda revocatoria del fondo patrimoniale davanti a giudici appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, cioè il Tribunale di Trani, esulava dall’applicazione dell’art. 39 c.p.c., venendo in questione piuttosto l’applicazione dell’art. 273 c.p.c., commi 1 e 2, che prevede la riunione delle cause d’ufficio ovvero con decreto del presidente; ii) che la violazione delle norme processuali che attengono alla risoluzione delle questioni inerenti alla pendenza di cause identiche o legate da nesso di pregiudizialità necessaria possono essere fatte valere in sede di legittimità, solo in quanto la situazione di irregolarità processuale sussista ancora al momento della decisione di legittimità, anche relativamente alle questioni di litispendenza, diversamente non vi è interesse all’impugnazione, in quanto la decisione della Corte di Cassazione si risolverebbe in una declamati iuris, atteso che in relazione allo stato raggiunto dal processo ritenuto pregiudicante deve escludersi la possibilità di adottare il corretto modus procedendi; iii) che la Corte d’Appello, pur avendo errato nel riferire l’assenza di identità tra le cause pendenti, aveva correttamente escluso che fosse in discussione una questione di litispendenza, in quanto le due domande erano state entrambe proposte dinanzi al Tribunale di Trani e dunque implicitamente aveva ritenuto infondato il motivo di gravame proposto ex art. 39 c.p.c., posto che la norma applicabile era quella dell’art. 273 c.p.c., e che la mancata riunione dei procedimenti non determinava alcuna nullità delle sentenze emesse dal Tribunale di Trani, posto che la Corte d’Appello aveva ritenuto che il Tribunale di Trani, nel primo giudizio, con statuizione, passata in giudicato, aveva giudicato decisa in rito, con la declaratoria di inammissibilità per tardività la domanda di revoca dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale; iv) che tale aspetto della pronuncia non risultava impugnato con il motivo di ricorso.
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
che:
1. I ricorrenti deducono: “Art. 395 c.p.c., comma 1, punto n. 4, – Errore sulla sequenza temporale dei processi Conseguente falso accertamento in ordine alla violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. – Mancata dichiarazione di litispendenza e cancellazione dal ruolo del giudizio R.g. 93000059/2011”.
L’errore della sentenza impugnata consisterebbe, secondo i ricorrenti, nell’aver ritenuto che le due cause pendessero davanti allo stesso ufficio giudiziario, mentre, invece, quando era cominciata la seconda, dinanzi al Tribunale di Trani, la prima era già dinanzi alla Corte d’Appello di Bari.
I D.M., ad avviso dei ricorrenti, avevano rinunciato implicitamente in appello alla domanda revocatoria del fondo patrimoniale, quando avevano chiesto la conferma della decisione n. 166/2010 del Tribunale di Trani, ma ciò era avvenuto solo in data *****, cioè otto mesi dopo la notifica del nuovo ed autonomo atto di citazione dinanzi al Tribunale di Trani, avente ad oggetto la domanda di revocatoria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale; perciò, il Tribunale di Trani, in questa seconda causa, avrebbe dovuto dichiarare immediatamente la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che la litispendenza operi anche nel caso di cause aventi ad oggetto la medesima domanda che si trovino in gradi di giudizio diversi.
Deve, innanzitutto, ribadirsi che: i) l’errore di fatto revocatorio ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; ii) detto errore deve annidarsi in una oggettiva disposizione da parte del Giudice di legittimità della ricostruzione fattuale siccome operata dalla sentenza d’appello o rappresentata dai documenti esaminabili (allorquando la Cassazione sia eccezionalmente giudice del fatto); iii) il fatto su cui cade l’errore non deve avere costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato, perché l’errore presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
Orbene, un errore avente tali caratteristiche certamente non vi è stato nel caso di specie.
Innanzitutto, la sentenza impugnata, alle pp. 4 e 5, ha correttamente dato atto che “i D.M., dopo aver ampliato la domanda – estendendo la richiesta di revocatoria al Fondo patrimoniale – nel giudizio originariamente proposto per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di compravendita, avevano proposto autonoma domanda revocatoria dell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale, iscrivendo il giudizio avanti il Tribunale di Trani al n. 9300059/11 del registro generale”.
E quanto alle ragioni del rigetto del motivo di ricorso ha confermato la statuizione della Corte d’Appello quanto alla non ricorrenza di una situazione di litispendenza. Detta conclusione era stata così giustificata dalla Corte territoriale di Bari: i) non ricorreva il presupposto della litispendenza, rappresentato dalla sussistenza di due domande identiche proposte innanzi a giudici diversi ancora pendenti; ii) allorquando era stata decisa la seconda causa, la prima domanda proposta nell’ambito del primo giudizio all’udienza di comparizione, era stata già decisa, in rito, con la pronuncia di inammissibilità, perché formulata tardivamente: statuizione passata in giudicato, in quanto non investita da alcun motivo di gravame, con la conseguenza che il Tribunale non avrebbe mai potuto dichiarare la litispendenza.
Il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari, con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 39 c.p.c., non è stato accolto dalla sentenza impugnata che ha preliminarmente evidenziato che la proposizione della medesima domanda avanti a giudici appartenenti al medesimo Ufficio giudiziario, nella specie il Tribunale di Trani, esula dall’applicazione dell’art. 39 c.p.c., che si riferisce ad identiche cause pendenti dinanzi a giudici diversi; ha poi ritenuto che la Corte d’Appello sia incorsa in errore nel ritenere che le cause pendenti non fossero identiche, ma ha considerato, comunque, corretta la decisione di non ravvisare i presupposti della litispendenza “in quanto le due domande erano state proposte avanti al medesimo Tribunale” e quindi non vi erano i presupposti per applicare l’art. 39 c.p.c., ma quelli per ricorrere astrattamente all’art. 273 c.p.c., commi 1 e 2, cioè alla riunione dei procedimenti: riunione comunque che correttamente non era stata disposta perché il Tribunale di Trani si era pronunciato sulla inammissibilità, per tardività, della domanda di revoca dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale. E detto aspetto della pronuncia è stato ritenuto non impugnato dai ricorrenti che avevano lamentato esclusivamente ed infondatamente la violazione dell’art. 39 c.p.c..
Ora, il presupposto da cui muove il ricorso per revocazione e’, come si è detto, che la Corte di Cassazione abbia erroneamente supposto che la causa pendesse davanti allo stesso giudice, mentre, invece, essa pendeva dinanzi a giudici diversi, il Tribunale di Trani e la Corte d’Appello di Bari, sì da doversi ritenere integrati i presupposti della litispendenza, la quale, secondo questa Suprema Corte – Cass., Sez. Un., 23/04/2013, n. 27846 – ricorre anche allorché i giudizi sulla medesima controversia pendano dinanzi a giudici di grado diverso.
Detto errore deve escludersi perché la Corte di Cassazione, nella pronuncia revocanda, non ha affatto assunto a base della propria statuizione una situazione differente da quella rappresentata in atti, ma ha attribuito alla stessa effetti giuridici differenti rispetto a quelli auspicati dagli odierni ricorrenti. Dirimente risulta il fatto che abbia confermato la statuizione impugnata, attribuendo rilievo al fatto che essa avesse statuito – senza impugnazione sul punto – che al momento della decisione sulla litispendenza non fosse più ricorrente la persistenza della pendenza di due controversie dinanzi a giudici diversi, ritenendo che il primo giudizio dinanzi al Tribunale di Trani si era concluso con una decisione in rito di inammissibilità della domanda di revoca dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale: domanda riproposta nel secondo giudizio e successivamente accolta dal Tribunale di Trani.
Non giova ai ricorrenti l’invocazione della decisione n. 23/04/2013, n. 27846 di questa Corte, la quale ammette che possa dichiararsi la litispendenza anche quando i giudizi pendano dinanzi a giudici diversi, perché di grado diverso, e, quanto all’ipotesi in cui nel giudizio preventivamente instaurato sia stata pronunciata una sentenza ma non siano ancora decorsi i termini per l’impugnazione, supera il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava che finché l’impugnazione non è proposta non c’e’ un giudice investito della lite, con conseguente inconfigurabilità della contemporanea pendenza di due giudizi sull’identica causa, riconoscendo che per l’operatività dell’istituto della litispendenza e per la insorgenza, per il giudice successivamente adito, dell’obbligo di dichiararla, è sufficiente la pendenza del giudizio instaurato per primo. Tuttavia riconosce – e si tratta di una valutazione assorbente – che la situazione di litispendenza viene meno con la formazione del giudicato nel primo giudizio.
Il che è esattamente quanto si è verificato nel caso di specie, dimostrando, in tutta evidenza, che non vi è stato alcun errore da parte della Suprema Corte che giustifichi l’accoglimento della richiesta revocazione della sua decisione e che il ricorso è stato indebitamente utilizzato come strumento d’impugnazione o revisione delle sue valutazioni giuridiche. Non è un caso, infatti, che alla base di quanto dedotto vi sia lo sforzo di argomentare l’esclusione che la disposizione di rito con cui si dichiarava l’inammissibilità della domanda di revocatoria del fondo patrimoniale, inclusa nella sentenza 166/2010, fosse passata in giudicato prima della proposizione del giudizio parallelo proposto per la sola revocatoria del fondo patrimoniale (pp. 12 e 13 del ricorso): statuizione, nondimeno, che questa Corte ha ritenuto conforme a diritto e non idoneamente impugnata.
Ricapitolando: la sentenza impugnata ha giudicato erronea la decisione della Corte territoriale quanto all’affermazione che i due giudizi avessero ad oggetto controversie differenti, ma l’ha confermata, non essendo stata neppure impugnata efficacemente, nella parte in cui aveva ritenuto che non vi fossero i presupposti della litispendenza siccome della riunione, essendo la condizione della litispendenza venuta meno con la decisione n. 366/2010, passata in giudicato nella parte in cui aveva, in rito, dichiarato inammissibile la domanda di revoca del fondo patrimoniale.
2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
3. Nulla deve essere liquidato per le spese del presente giudizio di legittimità, non essendo stata svolta attività difensiva in questa sede da parte degli intimate.
4. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022