LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giusepp – Presidente –
Dott. SUCCIO R. – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpao – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27772/2015 R.G. proposto da:
R.D., rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv. Morgana De Castro e dall’avv. Leonardo Brasca con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma in via Cola di Rienzo n. 212;
– ricorrente –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimata –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna n. 863/13/15 depositata il 20/04/2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/11/2021 dal Consigliere Roberto Succio.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio, e quindi in parziale riforma della pronuncia della CTP dichiarato legittimo in parte qua l’avviso di accertamento impugnato per IRPEF, IVA ed IRAP 2004;
– avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione il sig. R.D. con atto affidato a quattro motivi; l’Amministrazione Finanziaria ha unicamente depositato atto di costituzione in vista dell’udienza pubblica.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR, con pronuncia ultra petita, dimezzato la pretesa tributaria a fronte della mera richiesta dell’Ufficio, in sede di impugnazione, di riformare la pronuncia di primo grado, che non comprendeva quindi la riformulazione della pretesa per i tributi;
– il motivo è inammissibile;
– invero, parte ricorrente non trascrive l’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate, in violazione del canone della c.d. “autosufficienza” dei motivi di ricorso per cassazione; ciò impedisce alla Corte di verificare l’effettivo contenuto dell’atto di gravame e di decidere quindi in ordine alle domande ivi formulate;
– il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1 per avere il giudice dell’appello rideterminato la pretesa per tributi in via equitativa;
– il motivo è infondato;
– in effetti, la sentenza di appello stabilisce che “appare ragionevole secondo la valutazione del Collegio, alla luce delle considerazioni che precedono, pervenire a un dimezzamento di tale risultato e, quindi, all’accertamento di maggiori ricavi di Euro 37.787,00.”; tal pronuncia, sia pur apparentemente equitativa in quanto invoca la “ragionevolezza”, in realtà si fonda su una valutazione estimativa che trova appiglio e ragione nelle considerazioni che la precedono;
– infatti, la CTR poco prima fa riferimento a una serie di circostanze (l’esser l’attività lavorativa del contribuente “svolta solo da due persone (ossia l’imprenditore e un dipendente)”, la cessazione dell’attività nel 2003 da parte del principale committente, la concorrenza estera, l’obsolescenza dei mezzi strumentali, l’esame dei consumi energetici – pag. 3 terzultimo periodo) che non sono state valutate dall’Ufficio; la loro doverosa presa in esame, viceversa, è elemento sufficiente a rideterminare la pretesa dell’Amministrazione nella misura indicata in sentenza;
– alla luce di ciò la pronuncia, in concreto, non è stata resa secondo equità ma secondo diritto;
– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 113 c.p.c., comma 1 per avere la CTR deciso in contrasto con l’iter argomentativo di cui alla medesima sentenza;
– il motivo è inammissibile, in quanto costituisce nel concreto censura meramente motivazionale, come tale inammissibile stante il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis;
– il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e dell’art. 2729 c.c. avendo la CTR deciso senza tener conto di tutti gli elementi addotti dal contribuente;
– il motivo è inammissibile;
– si chiede alla Corte, infatti, di procedere a una rivalutazione del merito della controversia; comunque l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, in sé, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motivazione). Nel caso di specie, il ricorrente non indica fatti storici che la CTR, benché decisivi ed oggetto di discussione tra le parti nel corso del giudizio, avrebbe del tutto omesso di esaminare, ma si limita, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito;
– pertanto, il ricorso è complessivamente rigettato;
– non vi è luogo a provvedere sulle spese stante la mancata costituzione dell’intimata Agenzia delle Entrate;
– sussistono i presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022