LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7725/2017 proposto da:
D.M., rappresentato e difeso dall’avv. BERNARDINO PASANISI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI n. 63, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO TERRIGNO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 440/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositato il 27/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera 10/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’11.12.2007 D.M. proponeva opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 873 del 2007, emesso dal Tribunale di Taranto, in virtù del quale gli era stato ordinato di pagare la somma di Euro 13.335,30 in favore di L.G., a titolo di saldo di alcune forniture di beni mobili.
Nella resistenza del convenuto opposto, il Tribunale, con sentenza n. 87/2014, rigettava l’opposizione, ritenendo che, sulla base dei pregressi rapporti correnti tra le parti, fosse stata raggiunta la prova dell’esistenza del contratto e del mancato pagamento delle merci oggetto della fornitura.
Interponeva appello avverso detta decisione il D. e si costituiva in seconde cure, resistendo al gravame, il L..
Con la sentenza impugnata, n. 440/2016, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, rigettava l’appello.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.M., affidandosi a sette motivi.
Resiste con controricorso L.G..
In prossimità dell’adunanza camerale ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e la nullità della sentenza impugnata, e del relativo procedimento, per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, perché la Corte di Appello avrebbe rigettato il gravame sulla base di una motivazione generica ed apparente, senza tener conto che la fornitura era stata consegnata non al D., ma ad un terzo (tale C.), privo di alcuna autorizzazione a riceverla per conto del ricorrente. Ad avviso di quest’ultimo, in particolare, non poteva essere ritenuta decisiva – e comunque non poteva essere valorizzata come unico elemento idoneo a far presumere l’esistenza del rapporto contrattuale sulla cui base il creditore L. aveva fondato la sua pretesa di pagamento nei confronti del D. – la circostanza che, negli anni precedenti, il C. fosse stato incaricato di ritirare le forniture dirette al ricorrente.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la nullità del procedimento per violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che il ricorrente aveva proposto, con i motivi di gravame, anche la questione della mancata prova dell’accordo sul prezzo dei beni oggetto della fornitura di cui è causa. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che, sul punto, il creditore non aveva fornito alcun elemento di prova.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la nullità del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe, con un passaggio quasi incidentale della motivazione, erroneamente ravvisato la prova del corrispettivo delle merci fornite, rilevando che le fatture prodotte dal creditore contenevano l’indicazione analitica dei prezzi unitari delle merci stesse.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2710,2727,2729,2697 c.c. e art. 116 c.p.c., nonché la nullità del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perché la Corte di Appello avrebbe seguito un ragionamento presuntivo erroneo per affermare che il C. era stato incaricato dal D. di ricevere la fornitura di cui è causa. Tale ragionamento presuntivo sarebbe stato – secondo il ricorrente – fondato su tre circostanze:
1) il fatto che il C. aveva rivestito l’incarico di rappresentante del D. per lungo tempo;
2) il fatto che il ricorrente non avesse contestato la fornitura prima di ricevere la richiesta di pagamento del L.;
3) il fatto che le fatture fossero state riportate nei libri contabili del L..
Ad avviso del ricorrente, il primo elemento non sarebbe, da solo, significativo della perdurante efficacia dell’incarico; il secondo, invece, avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale ad una conclusione opposta a quella in concreto assunta, poiché la mancata contestazione della fornitura di cui è causa sarebbe causata dal fatto che il D. non sapeva neppure della sua esistenza; il terzo elemento, infine, sarebbe irrilevante, poiché i documenti di formazione unilaterale, come le fatture, non possono costituire prova a favore della parte che li ha predisposti.
Le quattro censure, suscettibili di esame congiunto perché esse attingono, sotto vari profili, il ragionamento logico-deduttivo seguito dalla Corte territoriale per affermare l’esistenza del rapporto contrattuale tra il L. ed il D., sono fondate.
La Corte di Appello ha erroneamente valorizzato un elemento di per sé non decisivo, rappresentato dalla mancata contestazione della fornitura prima delle richieste di pagamento, senza considerare che la merce – per pacifica ammissione di ambo le parti – era stata consegnata non direttamente al D., ma al C.. La mancata contestazione tempestiva, quindi, poteva essere dovuta anche al fatto che il D. non fosse consapevole dell’esistenza del rapporto contrattuale sul quale si fonda la pretesa di pagamento del L..
Del pari erroneo è il richiamo, operato dalla Corte territoriale, al principio per cui l’inserimento delle fatture nella contabilità costituisce prova dell’esistenza del rapporto contrattuale sulla cui base il document fiscale è stato emesso. Detto elemento, intatti, assume valenza decisiva solo quando la fattura, emessa dal creditore, sia stata inserita nei libri contabili del debitore, poiché si presume che, in tal modo, costui riconosca l’esistenza del rapporto negoziale (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 32935 del 20/12/2018, Rv. 651954, secondo cui l’annotazione della posta debitoria nei libri i.v.a., con richiamo della fattura ad essa inerente, costituisce atto ricognitivo in ordine ad un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante ex art. 2720 c.c.; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3383 del 18/02/2005, Rv. 581419). Il fatto, invece, che la fattura sia stata riportata nei libri contabili del creditore non costituisce elemento significativo ai fini della prova dell’esistenza del rapporto contrattuale sottostante, da un lato perché si tratta di documento di formazione unilaterale, predisposto proprio dal creditore, e dall’altro in quanto il suo inserimento nei registri iva del soggetto che la ha emessa costituisce adempimento prescritto dalla legge.
Di conseguenza, né il fatto che la contestazione sia stata formulata dal D. solo dopo aver ricevuto le richieste di pagamento del L., né la circostanza che costui avesse riportato le proprie fatture nei suoi registri contabili, costituiscono elementi utili ai fini della prova dell’esistenza del rapporto negoziale sulla cui base la pretesa di pagamento era stata ab origine formulata dal L..
Neppure significativo è l’ultimo elemento valorizzato dalla Corte di Appello, rappresentato dal fatto che il C. fosse stato incaricato, in passato, di ricevere le forniture dirette al D.. Tale circostanza, infatti, non è idonea a sostenere un ragionamento deduttivo, in assenza di ulteriori riscontri che possano confermare, o far presumere, la perdurante efficacia di un incarico che lo stesso ricorrente, nelle sue difese, aveva riconosciuto esservi stato in epoca precedente a quella in cui il L. aveva eseguito la fornitura di cui è causa.
In proposito, va ribadito che, nell’ambito di un procedimento logico presuntivo, gli elementi valorizzati dal giudice di merito non devono necessariamente essere plurimi, essendo possibile che il convincimento si fondi anche su un solo indizio, purché esso sia grave e preciso, e – come tale – idoneo ad integrare il requisito della “concordanza” richiesto dalla legge (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018, Rv. 650931 e Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021, Rv. 661227). Ciò, tuttavia, non esclude il controllo di questa Corte sul criterio logico utilizzato dal giudice di merito, poiché se da un lato, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità (con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, essendo, piuttosto, sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull’id quod plerumque accidit), dall’altro lato il giudizio valutativo svolto dal giudice del merito sugli indizi è sindacabile sotto il profilo della verifica della correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito, nel senso che, anche in sede di legittimità, si deve verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ipotesi non fondate sull’id quod pierum accidit o deduzioni prive di plausibilità, invece che su vere e proprie massime di esperienza (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018, Rv. 648463; nonché Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14268 del 25/05/2021, Rv. 661551).
Anche in relazione alla prova del prezzo della fornitura, la Corte di Appello attribuisce – erroneamente – valore probatorio alle fatture emesse dal L., senza considerare che le stesse, in quanto documenti di formazione unilaterale, non sono idonee a costituire prova a favore del creditore, il quale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è tenuto a dimostrare sia l’an che il quantum della sua pretesa (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5915 del 11/03/2011, Rv. 617411; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009, Rv. 606941). Infatti “… nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per l’emissione del decreto, costituire fonte di prova in favore della parte che li ha emessi; né è sufficiente la mancata contestazione dell’opponente, occorrendo, affinché un fatto possa considerarsi pacifico, che esso sia esplicitamente ammesso o che la difesa sia stata impostata su circostanze incompatibili con il disconoscimento e, con riferimento al comportamento extraprocessuale, non il mero silenzio, ma atti e fatti obiettivi di condudenza e serietà tali da assurgere a indizi non equivoci idonei, in concorso con altri, a fondare il convincimento del giudice” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17371 del 17/11/2003, Rv. 568223).
Ne’ è possibile valorizzare, ai fini della prova del prezzo della fornitura, il fatto che il presunto debitore non abbia contestato specificamente, in prime cure, il prezzo della fornitura, poiché quest’ultima era stata contestata per intero, nella sua stessa esistenza. Il creditore, opposto, dunque, avrebbe dovuto fornire anche la prova dell’accordo sul prezzo, che non poteva esser tratta dalla natura analitica delle fatture, posta la loro già affermata inidoneità ai fini della prova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In definitiva, il giudice di merito ha ritenuto provato il rapporto negoziale sulla cui base L. aveva agito in sede monitoria sulla base di elementi non decisivi né univoci, valorizzando circostanze in realtà non idonee ai fini della prova dell’an e del quantum del rapporto sottostante alla pretesa creditoria di cui è causa.
L’accoglimento, nei termini indicati, delle prime quattro censure implica l’assorbimento del quinto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1372 e 1388 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di riferire gli effetti del contratto alla persona del C., che aveva ricevuto materialmente i beni forniti, non essendo stata fornita, nel caso di specie, la prova – della quale era onerato il creditore L. – del fatto che il predetto agisse su incarico del ricorrente.
Del pari assorbiti sono il sesto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 116,183,112,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto ritenere tardive le deduzioni relative alla rappresentanza apparente contenute nella costituzione dell’opposto nel giudizio di merito, poiché lo stesso si era costituito, in prime cure, dopo il decorso del termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione; ed il settimo motivo, con il quale invece si contesta la violazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 74,87 e 97 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe posto a base della propria decisione documenti contenuti nel fascicolo di parte depositato dall’opposto in prime cure, senza avvedersi che in realtà detto fascicolo non sarebbe stato depositato in sede di gravame. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà compiere un nuovo esame del compendio istruttorio acquisito agli atti del giudizio di merito, al fine di verificare se, in concreto, il creditore abbia offerto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la prova dell’esistenza e dell’entità del credito azionato in via monitoria. Tale scrutinio dovrà essere compiuto tenendo conto:
da un lato, dell’insufficienza delle fatture, nell’ambito della predetta fase di opposizione, ai fini della prova di an e quantum del credito, dovendosi sul punto ribadire che “La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 299 del 12/01/2016, Rv. 638451; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 28/06/2010, Rv. 613803 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9593 del 20/05/2004, Rv. 572967);
dall’altro lato, del fatto che la deduzione relativa all’esistenza di un profilo di rappresentanza apparente, in relazione al rapporto tra il D. ed il C., non costituisce eccezione ma mera difesa, e dunque può essere proposta anche dopo la scadenza del termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione.
In definitiva, vanno accolti i primi quattro motivi di ricorso, con assorbimento degli ultimi tre. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alle censure accolte e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Lecce, in differente composizione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e dichiara assorbiti il quinto, sesto e settimo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Lecce, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022
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