Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1298 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26277-2019 proposto da:

PIRELLI & C. SPA, PIRELLI TYRE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio dell’avvocato MATTEO FUSILLO, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati SAVERIO SCHIAVONE, SILVIA RANCATI;

– ricorrenti –

contro

B.R., B.M., M.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERTO CARONCINI 51, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA MARI, rappresentati e difesi dall’avvocato LAURA MARA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 275/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’Appello di Milano ha accolto l’appello di M.L., B.R. e B.M., eredi di Bo.Ma., e in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la Pirelli Tyre spa e la Pirelli & C. spa, in solido, al risarcimento del danno differenziale da malattia professionale e al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

2. La Corte territoriale ha dato atto che il Tribunale aveva accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalle società datoriali e ritenuto il termine prescrizionale di dieci anni decorrente dal 22.10.2001, data in cui il lavoratore aveva avanzato domanda all’INAIL per il riconoscimento della malattia professionale.

3. Difformemente dal primo giudice, la Corte di merito ha ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dal 3.8.2004, data in cui l’INAIL aveva accertato la natura professionale della malattia denunciata, e che per la particolare natura della patologia (neoplasia), la conoscenza del danno non potesse situarsi in epoca anteriore, sicché prima della suddetta data non era possibile per il lavoratore agire in via risarcitoria nei confronti del datore di lavoro; il termine di prescrizione decorrente dal 3.8.2004 era stato poi tempestivamente interrotto (lettera di costituzione in mora ricevuta dalle società il 18.3.2014); ha sottolineato come non potesse fondarsi alcuna presunzione assoluta di conoscenza della origine professionale della malattia dalla denuncia presentata all’INAIL (v. Corte Cost. n. 206 del 1988) e che la consapevolezza da parte dell’assicurato dell’origine professionale della patologia dovesse essere desunta da elementi obiettivi, in grado di far ritenere la conoscibilità della eziologia professionale della malattia manifestatasi, essendo irrilevante il soggettivo convincimento dell’assicurato (così Cass. n. 4219 del 2002).

4. La sentenza impugnata ha accertato, mediante prove documentali, testimoniali e con l’ausilio della c.t.u. medico legale, la natura professionale della patologia contratta dal lavoratore (carcinoma uroteliale della vescica) ed il nesso concausale della stessa (unitamente al tabagismo) con la nocività dell’ambiente di lavoro.

5. Avverso tale sentenza la Pirelli Tyre spa e la Pirelli & C. spa hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; gli eredi di Bo.Ma. hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

6. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., per avere la sentenza impugnata fatto decorrere il termine di prescrizione da un momento successivo a quello in cui il lavoratore ha avuto (o avrebbe comunque dovuto avere) conoscenza della possibile natura professionale della malattia; inoltre, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

8. Si sostiene che il riconoscimento da parte dell’Inail della malattia professionale non costituisce nel nostro ordinamento presupposto per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro; che deve pertanto escludersi nella specie la ricorrenza di cause giuridiche ostative all’esercizio del diritto, le sole rilevanti ai fini dell’art. 2935 c.c.; che come statuito dalle S.U. con sentenza concernente la responsabilità emotrasfusioni), il termine di risarcimento del danno di chi assume di aver contratto una malattia per fatto doloso e colposo di un terzo, inizia a decorrere dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento altrui, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche; che la presentazione della domanda amministrativa costituisce indice di una sufficiente percezione del tipo di malattia e delle possibili conseguenze dannose.

9. Nel caso di specie, il B., al momento del rilascio del primo certificato di malattia professionale dell’ottobre 2001 (che riporta: “La Monografia n. 28 IARC 1982, in atti del 46 Convegno Naz. 1983 indicano un nesso di rischio per cancro in generale e per la vescica in particolare nei lavoratori della gomma”) era in grado di riconoscere la possibile origine professionale della patologia tumorale, con la normale diligenza e in base alle conoscenze scientifiche dell’epoca, e quindi anche quando avviò il 22.10.2001 il procedimento per il riconoscimento della malattia professionale da parte dell’Inail.

10. Con il secondo motivo si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, motivazione contraddittoria e insufficiente da cui deriva la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n., per avere la Corte di merito richiamato precedenti di legittimità (Cass. n. 2285 del 2013) secondo cui la decorrenza del termine di prescrizione può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatto noto, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., come la domanda amministrativa, nonché la diagnosi medica contemporanea, dai quali la malattia sia riconoscibile per l’assicurato, e tuttavia escluso nel caso in esame che la domanda amministrativa costituisse il dies a quo del decorso della prescrizione.

11. Con il terzo motivo si censura la decisione d’appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91,92 e 132 c.p.c., per avere la Corte di merito liquidato le spese di lite secondo il criterio della totale soccombenza, mentre la domanda degli eredi del lavoratore era stata accolta solo in parte, e decisamente ridimensionata di circa il 70%;

12. I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per connessione logica, sono infondati.

13. E’ stato costantemente affermato da questa Corte che la manifestazione del danno da malattia professionale, rilevante quale “dies a quo” per la decorrenza del termine prescrizionale, sia ai fini delle prestazioni Inail D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 112, sia ai fini del danno differenziale ai sensi degli artt. 2087 e 2946 c.c., può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato. Occorre cioè che uno o più fatti concorrenti forniscano certezza dell’esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell’assicurato, in relazione anche alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile (v. Cass. n. 10441 del 2007 e successive conformi).

14. Le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 576 del 2008, pronunciando in tema di responsabilità aquiliana per malattie riconducibili al fatto doloso o colposo di un terzo, a proposito dell’esordio della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, hanno richiamato i principi elaborati dalla sezione lavoro per il conseguimento delle prestazioni assicurative per malattia professionale: nella motivazione si condivide l’orientamento (Cass. n. 2002 del 2005; Cass. n. 19575 del 2004; Cass. n. 23110 del 2004) secondo cui la “manifestazione del danno” da cui decorre il termine di prescrizione è comprensiva anche della conoscenza della causa professionale della lesione (S.U., sentenza cit., punti 10.3.e 10.4). Le Sezioni Unite nella citata sentenza hanno enunciato i principi della “conoscibilità del danno” e della “rapportabilità causale”, specificando che tali principi non aprono la strada alla rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. La conoscibilità deve essere saldamente ancorata a due parametri oggettivi, uno interno e l’altro esterno al soggetto leso ovvero, rispettivamente, la ordinaria diligenza ed il livello di conoscenze scientifiche dell’epoca. In relazione al soggetto leso, l’ordinaria diligenza si esaurisce nel portarsi presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti mentre l’elemento esterno va apprezzato in relazione alla comune conoscenza scientifica che era ragionevole richiedere, in una data epoca in merito alla patologia manifestatasi, ai soggetti cui la persona lesa si è rivolta o avrebbe dovuto rivolgersi.

15. In coerenza con tali principi questa Corte (Cass. n. 13284 del 2010) ha affermato, anche in relazione alla responsabilità contrattuale del datore di lavoro, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a malattia, causata al dipendente nell’espletamento del lavoro dal comportamento colposo del datore di lavoro, decorre dal momento in cui l’origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente da valutazioni soggettive dello stesso.

16. La sentenza impugnata si è attenuta a tali principi e, esclusa, in base alla sentenza della Corte Cost. n. 206 del 1988, l’esistenza di una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno di presentazione della denuncia, con il certificato medico, all’istituto assicuratore, con accertamento in fatto non censurabile in questa sede ha ritenuto che la presentazione della domanda amministrativa non costituisse indice univoco della consapevolezza del lavoratore sulla natura professionale della malattia, acquisita invece solo a seguito dell’accertamento da parte dell’Istituto, tenuto conto del livello di conoscenze scientifiche dell’epoca, in relazione anche al carattere multifattoriale della patologia, e del fatto che “neppure i medici che lo avevano avuto in cura avevano ricondotto la patologia al nesso professionale, tanto è vero che nessuno di essi fece le obbligatorie comunicazioni agli Enti preposti alla tutela della salute sul lavoro in tal modo dimostrandosi l’inconsapevolezza negli stessi medici della natura professionale della malattia”.

17. Neppure è configurabile il vizio di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, atteso che si è in presenza di una motivazione certamente esistente e priva di intrinseche illogicità, quindi ampiamente rispondente ai requisiti del “minimo costituzionale”, come delineati dalle S.U. di questa Corte, e che solo attraverso un riesame fattuale, inammissibile in questa sede, potrebbe essere rimessa in discussione.

18. Il terzo motivo di ricorso è parimenti infondato poiché la Corte di merito ha regolato le spese di lite secondo il criterio legale di soccombenza e la censura mossa va a sindacare il mancato esercizio del potere di compensazione delle spese, estraneo al perimetro del giudizio di legittimità.

19. In tema di condanna alle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto negli altri casi consentiti dalla legge, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (v. Cass. n. 19613 del 2017; n. 8421 del 2017; Sez. 6 n. 24502 del 2017).

20. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

21. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

22. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000,00 a titolo di compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura forfetaria del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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