Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1321 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29227/15 R.G., proposto da:

Z.S., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Marino Marinelli e dall’avv.to Emanuele Coglitore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Coglitore.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 794/22/15 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 7 maggio 2015, non notificata;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella nella camera di consiglio del 26 ottobre 2021;

viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Dott. Mucci Roberto, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, di rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Guardia di finanza di Conegliano, in data 9 settembre 2011, notificò alla Apinox s.r.l., società a ristretta base, processo verbale di constatazione con il quale veniva accertato un maggior reddito, per l’anno 2007, di Euro 170.241,89, e per l’anno 2008, di Euro 185.698,88, a titolo di indebite deduzioni di costi relativi ad operazioni inesistenti.

2. Sul presupposto che Apinox fosse una società di capitali a stretta base azionaria e che l’utile extra-bilancio accertato in capo ad essa dovesse essere attribuito a carico dei soci ragione delle loro quote di proprietà, l’Agenzia delle entrate notificò a Z.S. due avvisi di accertamento, l’uno per l’anno 2007 e l’altro per l’anno 2008, per dividendi non dichiarati, per un valore complessivo di Euro 92.202,00, oltre interessi e sanzioni, in ragione sia della quota di proprietà dallo stesso indirettamente posseduta nella Apinox s.r.l. pari al 54% (60% della Castellana s.a.s. che a sua volta possedeva il 90% della Apinox s.r.l.), sia della quota di proprietà dallo stesso direttamente conservata nella Apinox s.r.l. del 10%.

3. Z.S. impugnò gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso che, con sentenza n. 75/3/2013, riuniti i ricorsi, li accolse, rilevando gli effetti favorevoli al contribuente derivanti dalla dichiarazione riservata di cui al D.L. 01 luglio 2009, n. 78, art. 13 bis.

4. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso tale sentenza che, con la sentenza in epigrafe, veniva accolto dalla Commissione tributaria regionale del Veneto.

5. Z.S. ha proposto ricorso in cassazione affidato a undici motivi ed ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c.

6. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. 01 luglio 2009, n. 78, art. 13 bis, conv. dalla L. 04 agosto 2009, n. 102, e del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, conv. dalla L. 23 novembre 2001, n. 409, per aver la CTR ritenuto che la conoscenza, derivante da una perquisizione, dell’esistenza di un procedimento penale non consente al contribuente di opporre gli effetti del cd. scudo fiscale, mentre, in base alla lettera della norma (D.L. n. 78 del 2009, art. 13 bis) non può attribuirsi valenza ostativa di ogni effetto del cd. scudo fiscale alla “formale conoscenza” dell’avvio di un procedimento penale anteriormente alla presentazione della dichiarazione riservata, dovendosi distinguere tra effetti favorevoli al contribuente di tipo amministrativo (art. 13 bis, comma 1, lett. a) e b)) ed effetti favorevoli di tipo penale (art. 13 bis, comma 1, lett. c), ed operando per i primi la notifica formale dell’atto fiscale.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il D.L. n. 78 del 2009, art. 13 bis, conv. in L. n. 102 del 2009, ha introdotto una forma (definita dalla dottrina “atipica”) di condono fiscale mediante l’istituzione di un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute al di fuori del territorio dello Stato in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. Tale emersione risulta dalla presentazione, ad opera di un intermediario, di una dichiarazione riservata. Sul piano degli effetti, la dichiarazione riservata determina, da un lato, l’estinzione delle sanzioni amministrative, di natura tributaria e previdenziale, in relazione agli importi dichiarati, con riferimento ai periodi di imposta per i quali non erano ancora scaduti i termini per l’accertamento, dall’altro, l’inibizione dei poteri di accertamento dei competenti Uffici in materia tributaria e previdenziale per tutti gli imponibili correlati alle somme o alle attività oggetto della sanatoria per i periodi d’imposta che avevano termine al 31 dicembre 2008. La peculiarità di tale disciplina era quella di poter opporre lo scudo fiscale a qualunque tipo di accertamento.

1.3. Il D.L. cit., art. 13 bis – applicabile ratione temporum alla fattispecie in esame – al comma 5, rinvia alla disciplina di cui al D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, che aveva introdotto, per la prima volta, tale (atipica) forma di condono, secondo cui le operazioni di emersione non potevano produrre gli effetti (e, per quanto qui rileva, l’opponibilità all’accertamento) qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata (D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 7), “una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza. Il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza”.

1.4. Sostiene il ricorrente che, non essendo stato notificato alcun atto contenente una contestazione fiscale, non ricorrono le condizioni previste dalla norma per escludere l’opponibilità delle dichiarazioni riservate, sicché la perquisizione penale effettuata a suo carico e prima della dichiarazione riservata, non può incidere sull’efficacia dello scudo fiscale a fini tributari.

1.5. Va osservato, innanzitutto, che la disposizione in parola, quanto al regime di opponibilità dello scudo, non distingue tra procedimenti penali o tributari, previdenziali e sanzionatori, ma pone il requisito della “formale conoscenza” che gli interessati abbiano avuto dell’accertamento tributario (attraverso constatazione, accessi, ispezioni e verifiche o altre attività) o del procedimento penale a loro carico, come preclusivo degli effetti delle operazioni di emersione.

1.6. L’utilizzo della locuzione “formale conoscenza”, e non quella di “formale notifica”, porta ad escludere una piena equipollenza tra i due concetti (v. Sez. 5, 08/10/2020, n. 21697).

1.7. La formale conoscenza legata alla notificazione, infatti, è il frutto di uno specifico procedimento, che ha un regime proprio a seconda del tipo di notifica che viene effettuato, e che ha il precipuo scopo di assicurare la legale conoscenza al destinatario dell’atto.

1.8. Viceversa, la “formale conoscenza” come intesa dal D.L. cit., art. 13 bis, per effetto del rinvio alla normativa previgente, richiede che la conoscenza dell’interessato sia sorta in relazione al compimento di un atto procedimentale che lo abbia coinvolto. Proprio in virtù di tale coinvolgimento, è principio condiviso in dottrina e in giurisprudenza, che i benefici dello scudo fiscale si estendono ai soli soggetti che decidano “spontaneamente” di aderire all’istituto, ovvero a quei soggetti che non vi aderiscono perché già venuti a conoscenza di indagini tributarie o penali.

1.9. Ciò comporta che la “formale conoscenza” può derivare sia dalla notifica di un atto, sia dal compimento di altre attività procedimentali che, tuttavia, siano in diretto collegamento con il destinatario (partecipazione al contraddittorio, presenza fisica al compimento di un accesso o di una ispezione, contestazione in sede penale, l’avvenuta risposta ad un questionario, perquisizioni e sequestri preventivi) e ciò anche nel caso in cui manchi la prova di una pregressa notifica di tali atti.

1.10. D’altro canto, è la stessa norma che collega la formale conoscenza anche agli accessi, verifiche, ispezioni, ossia ad iniziative che non postulano la pregressa notificazione di un atto, bensì il compimento di attività su specifici atti di un procedimento. In tal senso, dunque, l’Amministrazione finanziaria può utilizzare, ai fini dall’accertamento, fonti diverse, compreso quelli derivanti da indagini penali in corso, come consente espressamente il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, e come avvenuto nella specie.

1.11. Da tanto ne deriva che, al fine di operare l’esclusione dell’opponibilità all’Amministrazione dello scudo, non occorre alcuna notificazione di atti fiscali, essendo sufficiente che il contribuente abbia avuto, prima della presentazione della dichiarazione riservata, “formale conoscenza” della procedura, fiscale o penale, a suo carico. In tal senso, la formale conoscenza può derivare anche da iniziative che non postulano la pregressa notificazione di un atto, ma riguardano il compimento di attività proprie del procedimento (tributario o penale), rientrando tra esse l’effettuazione di una perquisizione penale, in quanto tipico atto del procedimento penale ed in quanto fonte dell’accertamento tributario alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis.

1.12. Nel caso all’esame – ove è pacifico che il decreto di perquisizione e l’informazione di garanzia sono stati notificati al Z. in data precedente (05/11/2009) alla presentazione telematica della dichiarazione riservata (effettuata in data 02/02/2010) – l’effettuazione di una perquisizione penale, quale atto tipico del procedimento penale, ha determinato in Z. la formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale nei suoi confronti, rendendo operativa l’ultima parte della norma in parola a prescindere dalle attività poste in essere per iniziativa dell’Amministrazione o della parte privata.

2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, per vizi formali dell’atto cd. impo-esattivo, siccome insuscettibile di assolvere alla funzione di precetto, per sua mancata specificazione dell’intimazione ad adempiere ed il suo generico rinvio alla sezione “avvertenze per il contribuente”.

2.1. Il mezzo è inammissibile per carenza di interesse non facendosi questione di esecutività del titolo, né di quale lesione al diritto di difesa discenderebbe in danno del ricorrente dai denunciati vizi formali. E’ qui calzante, il consolidato e condiviso principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, che, in tema d’interesse all’impugnazione, afferma che, poiché tale interesse, quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass., 15/01/2016 n. 594; Cass., 23/05/2008, n. 13373; Cass., 13/10/2016 n. 20689).

2.2. L’inammissibilità del mezzo si trae anche dalla sua eccentricità rispetto alla ratio decidendi della decisione impugnata, che nell’evidenziare l’integrale pagamento, allo scadere dei sessanta giorni, da parte del contribuente, degli importi richiesti con l’intimazione, ha implicitamente affermato la legittimità formale dell’atto impo-esattivo, per la conoscenza che il contribuente ha avuto dei suoi elementi essenziali tanto da effettuare il pagamento in conformità con lo schema tipico previsto dalla norma (sulla motivazione implicita, v., ex plurimis, Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017).

3. Giova ricordare che il D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. a), b) e lett. e), prima parte, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010, come modif. dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, conv. con modif., dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, come reso evidente anche dalla sua rubrica (“Concentrazione della riscossione nell’accertamento”), ha il precipuo fine di potenziare le attività di riscossione, attribuendo natura esecutiva agli atti impositivi emessi dall’amministrazione finanziaria in materia di imposte sui redditi, IVA ed IRAP, che, pertanto, devono contenere l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati “entro il termine di presentazione del ricorso, (…) ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15”. L’avviso di accertamento, prima solo impositivo, diventa, pertanto, titolo esecutivo decorsi sessanta giorni dalla notifica al contribuente, con conseguente esclusione della necessità dell’emissione di una successiva cartella di pagamento, dovendo l’agente della riscossione procedere ad espropriazione forzata sulla base dell’avviso di accertamento esecutivo o impo-esattivo, “con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo” (art. 29, comma 1, lett. e)).

3.1 La chiara lettera della legge consente di superare, per infondatezza, anche il terzo motivo di ricorso con il quale si denuncia violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 29, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma a-ter, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e della L. 07 agosto 1990, n. 241, art. 5, in quanto l’atto impo-esattivo recherebbe solo l’indicazione del responsabile del procedimento di accertamento ma non quella dei responsabili del procedimento di formazione dell’atto impoesattivo, del titolo esecutivo e del precetto.

3.2. Ed invero, se si considera la particolare struttura dell’atto impo-esattivo (ove, di ribadisce, l’avviso di accertamento, prima solo impositivo, diventa titolo esecutivo decorsi sessanta giorni dalla notifica al contribuente, senza necessità dell’emissione di una successiva cartella di pagamento), e se si considera che l’attribuzione della natura esecutiva agli atti impositivi emessi dall’Amministrazione finanziaria assolve alla precipua funzione di potenziare le attività di riscossione, non può che giungersi alla conclusione che, per il principio dell’unitarietà del procedimento, è certamente sufficiente l’indicazione del responsabile del procedimento dell’avviso di accertamento.

4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione di legge e segnatamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, in combinato disposto con gli artt. 125 e 480 c.p.c., per mancanza della sottoscrizione del direttore dell’ufficio, essendo la delega al capoarea meramente “in bianco” e perciò illegittima.

4.1. Il mezzo inammissibile, ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, considerato che l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte che attribuisce natura di atto organizzativo interno della delega di firma, da riferirsi all’organo e non alla persona, senza necessità dell’indicazione nominativa del delegato, bensì solo quella della sua qualifica (Sez. 5, 19/04/2019, n. 11013; v. anche Sez. 5, 02/02/2021, n. 2221).

5. Il quinto motivo denuncia la violazione di legge (D.L. n. 78 del 2010, art. 29) per difetto, nei due avvisi di accertamento, dell’esatta individuazione degli interessi dovuti dal contribuente.

5.1. Anche tale mezzo è inammissibile, rimanendo censura generica, soprattutto perché contraddetta dalla ricostruzione di merito effettuata dai giudici di appello secondo cui l’avviso di accertamento riportava “non solo la debenza degli interessi, ma (…) la relativa legislazione che ne prevede il tasso e gli importi dovuti” (v. sentenza, pag. 6).

6. Con il sesto motivo si censura la mancata rimessione – da parte dei giudici di appello – alla Corte costituzionale della questione relativa all’illegittimità dell’aggio previsto in favore dell’agente della riscossione, di cui al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, come sostituito dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 32, comma 1, lett. A). A dire del ricorrente l’aggio previsto in favore dell’agente di riscossione violerebbe l’art. 3 Cost. e l’art. 97 Cost. in quanto, non essendo l’agente di riscossione più tenuto a notificare la cartella di riscossione, determinerebbe una sorta di sanzione impropria, in quanto pagamento scollegato da una qualche prestazione svolta dall’agente.

6.1. La censura è inammissibile, in quanto meramente assertiva e tesa a sollecitare un giudizio sul merito delle scelte legislative, non consentito, mancando argomenti adeguati per sostenere il parametro di costituzionalità evocato (violazione degli artt. 3 e 97 Cost.), per sostenere la rilevanza della questione, ovvero alla concreta influenza della norma impugnata nel giudizio principale, e per evidenziare la non manifesta infondatezza, ovvero il ragionevole dubbio sull’incostituzionalità; peraltro, manca qualsiasi indicazione dei profili della questione di legittimità in relazione al caso concreto.

7. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 45, degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla non imputabilità al socio della retrocessione solo parziale di somme dalla società Woodrow McKinnay alla società Apinox s.r.l., con conseguente distribuzione degli utili in misura ben minore rispetto a quella considerata dall’Amministrazione con la ripresa in questione.

7.1. Il profilo di censura riguardante la violazione di legge, è inammissibile. In primo luogo, esso non offre argomenti convincenti, né pertinenti, per superare il pacifico indirizzo di questa Corte secondo cui: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presuntone di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché di dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria” (Sez. 6-5, 09/07/2018, n. 18042, nonché Sez. 5, 19/11/2020, n. 26317 in motivazione; Sez. 5, 10/06/2009, n. 13338 richiamata, pertinentemente, nella sentenza impugnata); inoltre, con esso si censura, inammissibilmente, l’apprezzamento del giudice del merito richiedendo a questa Corte una rivalutazione degli indizi su cui il giudice di merito ha costruito la prova presuntiva, dimenticandosi che “In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso” (v. Sez. 6-1, 17/01/2019, n. 1234; id., Sez. 6-3, 13/02/2020, n. 3541).

7.2. Ne’ è ammissibile l’ulteriore profilo di censura denunciato in relazione al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. 02 febbraio 2006, n. 40, art. 2, in quanto il ricorrente non ha individuato il fatto storico che sarebbe stato omesso, nonostante sia stato controverso e decisivo per il giudizio, ma ha enunciato, inammissibilmente, una serie di questioni e argomentazioni volte, in realtà, a richiedere inammissibilmente una nuova valutazione degli elementi presuntivi posti a base della decisione di appello.

8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, nonché, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 4, in combinato disposto con l’art. 156 c.p.c., per aver la CTR reso una decisione illegittima, con motivazione parvente, in tema di tassazione di partecipazione non qualificata. Deduce che le due percentuali del 10% e del 54%, assunte dall’Agenzia delle entrate quali quote di partecipazione in Apinox, non dovevano essere sommate in quanto oggetto di diverso trattamento tributario, essendo la quota del 10% una partecipazione non qualificata soggetta al diverso regime di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27.

8.1. Il mezzo è inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione di legge, in quanto non ha ad oggetto il supposto vizio di sussunzione, bensì una non consentita rivalutazione alternativa dei fatti già oggetto di valutazione da parte del giudice di merito (v. infra, p. 7.1).

8.2. Egualmente risultano inammissibili le ulteriori censure riguardanti la motivazione apparente della sentenza impugnata, in quanto si risolvono nella critica all’apprezzamento delle prove operato dalla CTR.

9. Con il nono motivo di ricorso, si denuncia nuovamente violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 45, e degli artt. 2727-2729 c.c., nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-bis e 27, e della L. 27 luglio 2002, n. 212, art. 10 bis, con riferimento al dividendo attribuito al ricorrente quale socio di La Castellana s.a.s. a sua volta partecipante in Apinox s.r.l. per una quota pari al 90 per cento.

9.1. Il mezzo è inammissibile per le stesse ragioni di cui al p.7, ribadendosi in ogni caso che è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che vanno imputati al socio nell’anno in cui sono conseguiti, e sempre che il socio non dimostri che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti perché accantonati e reinvestiti nella società, e che “e’ legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti.” (così, Sez. 5, 18/12/2015, n. 25468).

10. Anche il decimo motivo, col quale si denuncia la violazione del divieto di doppia imposizione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 67, nonché la motivazione apparente quanto alla pretesa erariale sull’IRES è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi che ha calcolato il maggior reddito di partecipazione del ricorrente in applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, proprio per evitare la doppia imposizione.

11. Infine, con l’undicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, nonché la nullità della sentenza e del procedimento per motivazione parvente, ed ancora la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, là dove la CTR nell’applicazione delle sanzioni ha confermato l’aumento del 25% richiesto dall’Ufficio.

11.1. Il mezzo è palesemente inammissibile, in primo luogo, perché non assolve all’onere di specificità del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, non dicendo quale sarebbe il vizio di sussunzione in cui sarebbe incorso il giudice di appello ma limitandosi a riportare la disposizione delle norme che regolano la continuazione in caso di violazione plurima di norme tributarie (v. ricorso pagina 38); inoltre, l’esposizione del motivo involge, inammissibilmente, l’apprezzamento del giudice del merito; infine, quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., manca la specificazione e la localizzazione della domanda e delle eccezioni proposte in punto di detrazione dalla sanzione irrogabile di quella già irrogata (v. penultimo cpv. di pag. 38 del ricorso).

12. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna Z.S. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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