Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo posto a carico del contribuente l'onere di indicare e provare quali siano gli eventuali costi deducibili non imputabili ai ricavi. Ciò in quanto le operazioni bancarie che non trovino giustificazione, sono fonte di una presunzione legale di ricavi occulti, ovviamente sempre suscettibile di prova contraria.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10780/14 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente principale –
contro
F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Tiziano Lucchese con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco d’Ayala Valva;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 123/15/13 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 29 ottobre 2013, non notificata.
e sul ricorso iscritto al n. 10879/14 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
F.G.
– intimato –
avverso la sentenza n. 124/15/13 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 29 ottobre 2013, non notificata.
e sul ricorso iscritto al n. 10769/15 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis
– ricorrente –
contro
F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Tiziano Lucchese con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco d’Ayala Valva.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1691/15/14 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 3 novembre 2014, non notificata.
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella nella camera di consiglio del 10 novembre 2021;
viste le conclusioni del sostituto procuratore generate, Dott. Locatelli Giuseppe, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176 (R.G.N. 10780/14, accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto del ricorso principale ed inammissibilità del ricorso incidentale; R.G.N. 10879/14 accoglimento del primo motivo di ricorso; R.G.N. 10769/15 accoglimento del primo motivo di ricorso).
FATTI DI CAUSA
1. La vicenda che origina i tre ricorsi all’esame nasce dalle informazioni tratte dalla cd. lista P. (lista che prende il nome dall’avvocato e notaio svizzero, P.F., tratto in arresto, il ***** all’areoporto di *****, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare per fatti di riciclaggio, con sequestro di un personal computer con archiviati centinaia di nominativi relativi a clientela assistita dal professionista o dal suo studio), tramite la quale l’Agenzia delle entrate appurò che, per effetto di rapporti di mandato e di consulenza con i propri clienti, l’avvocato P. aveva promosso, anche tramite una società svizzera ad egli riconducibile, la costituzione di trust e fondazioni nel Lichtenstein o in altri Paesi stranieri, ovvero l’interposizione di società veicolo, con l’intento di consentire la permanenza all’estero di capitali italiani scudati, promuovendo, quindi, finanziamenti e ristrutturazioni societarie per il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero.
1.1. Il nome di F.G. era stato ritrovato nella lista e, pertanto, gli vennero notificati atti impositivi in materia di imposte dirette e Iva e relative sanzioni per diverse annualità (il ricorso R.G.N. 10780/14 riguarda le annualità dal 2001 e 2005) che, nel contezioso che ha originato i ricorsi in cassazione all’esame, avevano portato i giudici di merito a ritenere che non sussistessero elementi idonei a confermare la riconducibilità al contribuente delle disponibilità all’estero di danaro, trattandosi di accertamenti surrettiziamente supportati da mere considerazioni erariali e non, invece, da elementi indiziari forti, né sarebbe stato in alcun modo dimostrato dall’ente impositore il nesso di collegamento tra i depositi esteri riferibili al F. e il suo coinvolgimento nelle società veicolo.
2. In particolare, il giudizio R.G.N. 10780/14, origina dall’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2001 (con il quale veniva accertato un reddito di capitale non dichiarato dal contribuente pari ad Euro 186.077,55, sull’assunto che F.G. fosse socio occulto della società Sopel s.r.l. anche attraverso la detenzione di quote della società Farm International SA, a sua volta socia palese della Sopel s.r.l.) e dall’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2005, quest’ultimo articolato in tre sezioni, di cui, la prima, attinente ai rilievi formulati in relazione alle indagini finanziarie svolte per il 2005 (con le quali l’Ufficio recuperava a tassazione un maggior reddito di lavoro autonomo di Euro 76.087,35, reddito calcolato sommando i prelievi e i versamenti non giustificati ed effettuati dal F. su vari conti correnti riconducibili a quest’ultimo ed al coniuge ed in relazione ai quali si era ipotizzato un collegamento con la società Sopel s.r.l.); la seconda sezione, attinente ai rilievi collegati alla rilevazione del nominativo del contribuente tra i clienti dell’avvocato P. e alle conseguenziali indagini, recuperandosi e tassazione un maggior reddito non dichiarato per Euro 403.116,88; la terza sezione, anch’essa ricollegabile alla cosiddetta lista P., traente origine da ulteriori indagini svolte dall’amministrazione finanziaria e ricollegate alla Sopel s.r.l., concluse con l’accertamento di un’ulteriore reddito di capitale per Euro 254.174,41, in quanto la Sopel avrebbe realizzato maggiori utili pari all’importo di alcune fatture, per fornitura di servizi da parte di società inglese riguardanti operazioni inesistenti.
2.1. Il ricorso di F.G. avverso tali avvisi veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona. L’Agenzia delle entrate proponeva appello che veniva parzialmente accolto limitatamente alla rideterminazione del maggior reddito professionale – dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, con sentenza n. 123/15/13 del 29 ottobre 2013. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione avverso tale sentenza, affidato ad otto motivi. F.G. ha proposto ricorso incidentale condizionato all’accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso principale.
3. Il ricorso R.G.N. 10879/14 origina dall’impugnazione dell’atto di irrogazione di sanzioni, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, ex art. 5, commi 4 e 5, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, riguardante l’annualità 2001, per aver il contribuente omesso di indicare nel quadro RW delle dichiarazioni dei redditi di tale anno l’importo delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, nonché l’ammontare delle transazioni di natura finanziaria estero su estero.
3.1. Il ricorso di F.G. veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, con sentenza n. 124/15/13 del 29 ottobre 2013, sentenza impugnata in cassazione, dall’Agenzia delle entrate, con cinque motivi di ricorso. Il contribuente, nonostante la ritualità della notifica del ricorso in cassazione, è rimasto intimato.
4. Il ricorso R.G.N. 10769/15, origina anch’esso dall’impugnazione dell’atto di irrogazione di sanzioni, D.L. n. 167 del 1990, ex art. 5, commi 4 e 5, conv. con mod. in L. n. 227 del 1990, ma relativo all’anno di imposta 2005. Il ricorso di F.G., anche in tal caso, veniva accolto dalla CTP di Verona, con conseguente appello da parte dell’Agenzia delle entrate, rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, con sentenza n. 1691/15/14 del 3 novembre 2014. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione, affidato a tre motivi. Il contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va premesso che tra i giudizi all’esame v’e’ nesso di connessione in quanto riguardanti gli accertamenti relativi agli anni di imposta 2001 e 2005 (R.G.N. 10780/14) ed i conseguenziali atti irrogativi di sanzioni (R.G. N. N. 10879/14 e 10769/15), nesso che è regolato dalle disposizioni di cui all’art. 295 c.p.c. (sospensione obbligatoria, laddove il giudizio pregiudicante sia stato definito con sentenza passata in giudicato) ovvero dall’art. 337 c.p.c., comma 2 (sospensione facoltativa) che, in base agli esiti della giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. U, 29/07/2021, n. 21763; Sez. U, 19/06/2012, n. 10027), è applicabile senza limiti nel contenzioso tributario (v., Sez. 5, 17/07/2014, n. 16329; Sez. 6-5, 05/09/2016, n. 17613; Sez. 6-5, 06/10/2017, n. 23840).
1.1. Preliminarmente, va, altresì, considerato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, è applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale (cfr., Sez. U, 13/09/2005, n. 18125).
1.2. Considerato, dunque, che la riunione garantisce la contestualità e la coerenza delle decisioni, nella specie, non si pone più questione di sospensione obbligatoria (art. 295 c.p.c.) o facoltativa (art. 337 c.p.c., comma 2), con la conseguenza che gli esiti riguardanti l’impugnazione delle sentenze della CTR del Veneto, aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento, incidono inevitabilmente sulle sentenze derivate relative alle sanzioni (una volta travolte le sentenze sugli avvisi, cadono comunque anche le sentenze derivate sulle sanzioni).
2. I motivi di ricorso principale dell’Agenzia delle entrate e del ricorso incidentale condizionato del F. (R.G.N. 10870/14), ruotano intorno al tema riguardante la disciplina delle presunzioni nell’ambito delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale e, pregiudizialmente, al tema riguardante la retroattività del raddoppio dei termini per la fattispecie di evasione prevista dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102. Conseguenzialmente, nei ricorsi recanti il numero R.G. 10879/14 e 10769/15, l’Agenzia delle entrate ha posto l’ulteriore questio iuris dell’irrogabilità delle sanzioni laddove non sia divenuto definitivo l’accertamento presupposto.
2.1. Le questioni riguardanti i limiti di operatività delle presunzioni per il monitoraggio fiscale e la retroattività del raddoppio dei termini, da tempo dibattute sia in dottrina che in giurisprudenza, hanno trovato oramai composizione nell’indirizzo monofilattico della giurisprudenza di questa Corte che, sulla scia di quanto già affermato in merito alla lista ” F.” (v. le ordinanze “gemelle” del 28/04/2015 nn. 8605 e 86066, nonché l’ordinanza n. 9670 del 13/05/2015 e le sentenze del 19/08/2015 nn. 16950 e 16951, quest’ultime tre non massimate), con la sentenza n. 17183 del 26/08/2015 (anch’essa non massimata), ha ammesso l’utilizzabilità anche delle informazioni contenute nella lista ” P.”. Ed invero, dopo le cd. ordinanze gemelle sulla lista F. la giurisprudenza sezionale ha approfondito, rivisitato e calibrato la materia in base alla peculiarità delle tre liste ( P., F. e Vaduz), formulando principi di diritto di carattere generale, estensibili a ciascuna di esse (cfr., ex multis, Sez. 5, 19/12/2019, n. 33893; Sez. 5, 05/12/2019, n. 31779).
2.2. Per quel che qui interessa (lista P.), con la sentenza n. 17183 del 2015, l’efficacia probatoria degli elementi ritrovati dall’Ufficio sul pc sequestrato all’avv.to P., è stata ricavata dalla disciplina in tema di presunzioni, evidenziandosi come, in tesi generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che di Iva, consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni propri della prova per presunzioni (“Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha tempo chiarito che “un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 c.c.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile” cfr., in motivazione, la sentenza n. 17183/2015).
2.4. Si giunge, dunque, a ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici la via attraverso cui le prove atipiche possono entrare nel processo, i cui requisiti caratteristici, se non possono essere stabiliti a priori, essendo ad essi immanenti la valutazione del caso concreto, si ritrovano nella gravità, precisione e concordanza, requisiti che se sussistenti, attribuiscono all’indizio pieno valore probatorio (il richiamo e’, tra l’altro, a Cass. 13/05/2015 n. 9760, in tema di Lista F.). In tale ambito, la scorretta valutazione degli elementi medesimi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (il richiamo è a Cass. 13/10/2005 n. 19894).
2.5. Conclusivamente, si pone un punto fermo secondo cui la valutazione dell’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate ed il ragionamento inferenziale che ne consegue, consente senz’altro di affermare che i nomi dei soggetti sottoposti ad accertamento non siano finiti “accidentalmente” nella lista P., in quanto il materiale indiziario rivenuto col sequestro del pc del P. ha valore indiziario forte per configurare l’ipotesi elusiva del trasferimento all’estero di capitali italiani scudati, salvo l’eventualità di elementi di controprova che sconfessino quegli stessi elementi.
3. Successivamente, questa Corte ha chiarito i limiti della presunzione stabilita dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, ovvero della retroattività della disciplina sulle violazioni da investimenti in Paesi a c.d. “fiscalità privilegiata”.
3.1. In proposito, va considerato che tutti e tre i ricorsi all’esame traggono origine da avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente F.G., persona fisica, con cui venivano recuperati a tassazione IRPEF, per anni d’imposta precedenti al 2009 (2001 e 2005), redditi detenuti all’estero e non indicati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, applicandosi la presunzione prevista dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, e dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44 e ss. e, per le sanzioni, le disposizioni di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 5, commi 4 e 5, conv. in L. 04 agosto 1990, n. 227.
3.2. Le disposizioni di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, sono state per lungo tempo dibattute tra chi ne ha sostenuto la natura sostanziale e chi, invece, quella procedimentale, dal momento che la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, prevede espressamente che, salvo quanto disposto in materia di riserva di legge per l’adozione di norme interpretative in materia tributaria ammesse in casi eccezionali, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Pertanto, soltanto le norme aventi natura processuale sono in taluni casi suscettibili di applicazione retroattiva.
3.3. La giurisprudenza di questa Corte pronunciandosi in tema di lista F. ha chiarito – con orientamento qui condiviso – che “la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione – con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui al medesimo art. 12, commi 2-bis e 2-ter, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2" (così, Sez. 5, 14/11/2019, n. 29632; id. Sez. 5, 29/11/2019, n. 31243).
3.4. In conclusione, in base agli esiti della giurisprudenza di questa Corte, va ribadito il principio secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale D.L. n. 78 del 2009, ex art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Sez. 5, 14/11/2019, nn. 29632-29633; Sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Sez. 6, 12/02/2018, n. 3276; Sez. 5, 22/12/2017, n. 30803, da ultimo, cfr. Sez. 6, 27/05/2021, n. 14834).
4. La giurisprudenza sezionale ha affrontato anche il tema del raddoppio dei termini ordinari di accertamento in riferimento alle liste P., F. e Vaduz. Già con la sentenza n. 247 del 20 luglio 2011 della Corte Costituzionale – chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26 – è stata affermato, limitatamente alla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3 (secondo cui “I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”) evocato quale parametro di legittimità costituzionale, che “i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali”. Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su quelli “brevi” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, commi 1 e 2, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Sotto questo aspetto non può parlarsi di “riapertura o proroga di termini scaduti” né di “reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti”, perché “i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento (…)” (v., in motivazione, p.5.1.2.).
4.1. Ora, le previsioni di cui al medesimo art. 12, commi 2-bis e 2-ter, raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla presunzione di evasione di cui all’art. 12 cit., comma 2, e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero; tali norme, in quanto disposizioni di carattere procedimentale, si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato e ciò indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2 (così, Sez. 5, 14/11/2019 n. 29632; id.. Sez. 6-5, 28/11/2018 n. 30742).
5. Quanto al rapporto di interdipendenza tra l’avviso di accertamento (atto pregiudicante) e l’atto di irrogazione delle sanzioni (atto pregiudicato), è principio assolutamente pacifico che va cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata, in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale, dovendosi, in tale ipotesi, sospendere il processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c., atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive (da Sez. 5, 07/08/2015, n. 16615 a Sez. 6-5, 13/01/2021, n. 331).
6. Procedendo all’esame dei ricorsi riuniti sulla base dei suesposti principi, risulta fondato – nei limiti di cui appresso – il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate iscritto al numero di ruolo generale 10780/2014.
6.1. Con il primo motivo di ricorso – così rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – la ricorrente Amministrazione denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il disposto del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2 bis, trovi applicazione per gli accertamenti riguardanti anni di imposta precedenti al 2009, a condizione che al momento di entrata in vigore di tale disposizione i termini di cui al D.P.R., art. 43 , non siano già spirati. Deduce che la CTR avrebbe dovuto considerare che il termine raddoppiato previsto dal D.L. cit., comma 2 bis, è un termine tutto distinto da quello ordinario previsto dal D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, disponendosi con esso espressamente il raddoppio dei termini con scadenza al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi (nella specie del 2001 che andava presentata nel 2002, con scadenza al 31/12/2010).
6.1.1. Con il secondo mezzo (“Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione ed applicazione) art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”) denuncia l’error in procedendo, assumendo che, relativamente all’anno d’imposta 2001, doveva essere esclusa la decadenza del potere di accertamento in rettifica in quanto, per tale annualità, il contribuente era stato denunziato per reati penali con conseguente raddoppio del termine di decadenza.
6.2. Non sussiste la nullità denunciata col secondo motivo di ricorso – mezzo che, in quanto riguardante un vizio di nullità della sentenza, va esaminato prioritariamente al primo – avendo la CTR formulato adeguata motivazione sull’eccezione di decadenza formulata dal contribuente, ed opposta dall’Agenzia delle entrate, senza incorrere in alcuna delle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass., 09/07/2020, n. 14633, in motivazione).
6.2.1. Il primo motivo di ricorso principale è fondato in applicazione dei principi di diritto riportati sopra, sub p. 4 e p. 4.1. – ai quali si rinvia – secondo cui le previsioni di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 12, commi 2-bis e 2-ter, in quanto disposizioni di carattere procedimentale, si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato e ciò indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui al D.L. cit., art. 12, comma 2 (Sez. 5, 14/11/2019 n. 29632; id. Sez. 6-5, 28/11/2018 n. 30742).
6.3. Col terzo motivo di ricorso – così rubricato: “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, degli artt. 2697-2729 c.c., in combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – l’Amministrazione erariale denuncia la violazione delle norme indicate in rubrica nella parte in cui la CTR ha ritenuto dimostrata, per presunzione, la destinazione delle somme prelevate dal contribuente dal suo conto corrente bancario, inferiori ad Euro 2.500,00, alle esigenze di vita del contribuente e della sua famiglia. Tale mezzo è fondato.
6.3.1. L’affermazione dei giudici regionali, secondo cui i prelievi di somme sino alla concorrenza di Euro 2.500,00 andavano considerati destinati alle esigenze di vita del contribuente, oltre ad essere illogica, in quanto non dà conto degli elementi indiziari sui quali si sarebbe basata la relativa presunzione, risulta anche in contrasto con il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, vigente ratione temporis, che non prevedeva alcuna eccezione all’obbligo di giustificazione della destinazione data dal contribuente alle somme prelevate dal conto corrente. Ed invero, solo con le modifiche introdotte all’art. 32 D.P.R. cit. dall’art. 7 quater del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. in L. 1 dicembre 2016, n. 225, è divenuta operante la presunzione che i prelevamenti siano riconducibili ai ricavi limitatamente “agli importi superiori ad Euro 1000 giornalieri e comunque ad Euro 5000 mensili”.
6.4. Col quarto motivo – così rubricato: “violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, art. 2697 c.c., in relazione all’art. 460 c.p.c., n. 4” – deduce l’errore della commissione regionale per aver ritenuto che l’indicazione del destinatario del prelevamento è da sola sufficiente a scampare la presunzione di ricavo posta dall’art. 32 D.P.R. cit. senza valutare se, il nominativo del beneficiario, fosse accompagnato da ulteriori elementi atti a consentirne, con adeguata certezza, l’identificazione.
6.4.1. Il mezzo è fondato. La CTR nello stabilire che l’indicazione del beneficiario è sufficiente di per sé a vincere la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ha stravolto le regole di riparto dell’onere probatorio vigenti in tema di accertamento dei redditi basato su verifiche bancarie e dei conseguenti principi di diritto affermati da questa Corte secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare quali siano gli eventuali costi deducibili non imputabili ai ricavi. Ciò in quanto le operazioni bancarie che non trovino giustificazione, sono fonte di una presunzione legale di ricavi occulti, ovviamente sempre suscettibile di prova contraria (cfr., ex multis, Sez. 5, 28/02/2017, n. 5135; Sez. 5, 23/09/2021, n. 25812).
6.5. Col quinto motivo di ricorso – così rubricato: “violazione e falsa applicazione art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la CTR nel negare l’attendibilità dell’ipotesi di evasione fiscale posta a base dell’accertamento, deducendo una serie di circostanze (v. pagg. 58 a 69 del ricorso) tra le quali, il “fatto notorio” delle vicende penali che avevano visto coinvolto il P.; il non aver il contribuente contestato di essere il legale rappresentante delle società Farm SA e Sopel s.r.l., tramite le quali si realizzavano le operazioni di elusione; il non aver il contribuente mai negato di conoscere il P., circostanze tutte dalle quali la CTR avrebbe dovuto ritenere l’attendibilità dei files rinvenuti nel pc dell’avv.to P. relativi al F. con conseguente conferma degli avvisi accertamento impugnati.
6.5.1. Col sesto motivo di ricorso, si denuncia la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione ed applicazione) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, per aver la CTR affermato, del tutto apoditticamente, l’inesistenza dell’idoneità probatoria dei files contenuti nel pvc dell’avv.to P..
6.5.2. Col settimo, si denuncia nuovamente l’error in procedendo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, limitatamente alla “II sezione dell’avviso per il 2005”, per motivazione parvente sulla carenza dei presupposti impositivi fondanti l’avviso di accertamento in questione.
6.5.3. Con l’ottavo mezzo – così rubricato: “omesso esame su fatto decisivo per il giudizio del quale le parti hanno discusso/ motivazione omessa su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” – la ricorrente amministrazione deduce, con riguardo alla terza sezione dell’avviso di accertamento, che la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma “la mancanza di collegamento tra il F. e la società Dolben che dal luglio 2005 ha acquisito la partecipazione nella Sopel”, ha dato per assunto un fatto discusso e controverso tra le parti riguardante il se F.G. avesse continuato a partecipare, o no, alla Sopel s.r.l. dopo il luglio 2005.
6.6. Tali motivi, dal quinto all’ottavo, sono tutti inammissibili.
6.6.1. Il quinto motivo, pur denunciando la violazione delle regole riguardanti la prova presuntiva, sfugge completamente dal parametro di censura evocato non rinvenendosi, nella pur lunga esposizione del motivo, alcuna deduzione riguardante il vizio di sussunzione, ma soltanto varie e scollegate censure di merito completamente decentrate rispetto al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, E’ principio pacifico di questa Corte che il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è invece possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 6813 del 20/03/2009, n. 6813). E’, altresì, principio pacifico che “In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di mento, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso” (così, Sez. 6-1, 17/01/2019, n. 1234; id., Sez. 6-3, 13/02/2020, n. 354).
6.6.2. La nullità della sentenza per motivazione parvente denunciata con il sesto e settimo motivo di ricorso, è del tutto fuori centro considerate le ampie motivazioni che la CTR ha reso in relazione a tutte e tre le sezioni dell’avviso di accertamento riguardante l’anno d’imposta 2005, il che esclude l’ipotesi di anomalia motivazionale prospettata dalla ricorrente principale.
6.6.3. Ne’ è ammissibile la censura riguardante il vizio motivazionale (ottavo mezzo), di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la ricorrente non ha individuato il fatto storico, decisivo e controverso, il cui esame sarebbe stato omesso rispetto alla statuizione della CTR circa “la mancanza di collegamento tra il F. e la società Dolben”, limitandosi a dedurre una serie di questioni e argomentazioni volte, in realtà, a richiedere inammissibilmente una nuova valutazione degli elementi presuntivi posti a base della decisione di appello. Peraltro, tale mezzo incorre nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. 07 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), non avendo l’Amministrazione ricorrente dimostrato la diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello.
7. Il controricorrente, “per il solo caso in cui codesta Corte dovesse ritenere fondato il motivo sub 8 del ricorso principale”, ha proposto ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del medesimo “motivo sub 8”, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, per nullità della sentenza, per assoluta mancanza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
7.1. L’inammissibilità dell’ottavo motivo di ricorso principale, rende superfluo l’esame del ricorso incidentale condizionato.
8. Con il ricorso R.G.N. 10879/14 – ove il contribuente è rimasto intimato, pur avendo ricevuto regolare notifica del ricorso – l’Agenzia delle entrate denuncia, con il primo motivo, l’erroneità della sentenza impugnata per violazione di legge (art. 2909 c.c., art. 295 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 69-70), per aver i secondi giudici rigettato l’appello erariale sulla seguente statuizione: “Per l’annualità 2001, cui si riferiscono le sanzioni oggetto del presente processo, questo collegio ha ritenuto che l’accertamento fosse tardivo e che pertanto non potesse essere oggetto di recupero alcun importo. La conseguenza della decisione di questo collegio relativamente al fatto che per l’anno 2001, determina l’impossibilità di revocare le sanzioni.” Tale statuizione violerebbe le norme indicate in rubrica perché la CTR non ha accertato che la decisione resa sull’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2001 fosse passata in giudicato.
8.1. Il mezzo è fondato. Secondo i principi esposti al p. 5, cui si rinvia, tra la causa riguardante l’avviso di accertamento del maggior reddito (cd. causa pregiudicante nella specie riguardante l’avviso per detenzione non dichiarata di attività finanziarie all’estero) e l’irrogazione delle relative sanzioni (causa pregiudicata), sussiste un rapporto di pregiudizialità che obbliga alla sospensione della causa pregiudicata (avviso di irrogazione delle sanzioni) in attesa della definizione della causa pregiudicante (avviso di accertamento di maggior reddito). Conseguentemente la sentenza della CTR qui impugnata (avente ad oggetto l’avviso di irrogazione delle sanzioni per l’anno 2001) deve essere cassata con rinvio, dovendosi sospendere il processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c., atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive (v. p. 5 e giurisprudenza ivi richiamata).
8.2. L’accoglimento del primo motivo di ricorso e la questione pregiudiziale con esso decisa, rende superfluo l’esame dei restanti quattro motivi, con i quali la ricorrente denuncia come error in procedendo (secondo, quarto e quinto motivo) e come errore motivazionale (terzo motivo), la violazione del rapporto di pregiudizialità tra la causa pregiudica e quella pregiudicante.
9. Con riguardo all’atto di contestazione delle sanzioni relativo all’annualità 2005, l’Agenzia delle entrate ha proposto altro ricorso in cassazione, affidato a tre motivi (R.G.N. 10769/15). Con il primo di essi denuncia la violazione di legge (artt. 2909 c.c., art. 295 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 69-70) perché la CTR non ha accertato che la decisione resa sull’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005 fosse passata in giudicato. Col secondo ed il terzo motivo deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la CTR considerato, e non aver motivato, sul rapporto di pregiudizialità tra causa pregiudicante e pregiudicata.
9.1. Il primo di motivo di ricorso è fondato e va accolto per le stesse considerazioni esposte al p. 8.1, cui integralmente si rinvia. L’esame dei motivi secondo e terzo è reso superfluo dall’accoglimento del primo mezzo.
10. Conclusivamente, riunisce i ricorsi di cui in epigrafe, accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale R.G.N. 10780/14 dell’Agenzia delle entrate e assorbe il correlato ricorso incidentale del contribuente. Accoglie, altresì, nei termini appena esposti, i ricorsi R.G.N. 10879/14 e R.G.N. 10769/15 dell’Agenzia delle entrate, con conseguente cassazione delle sentenze impugnate, relativamente ai motivi accolti e rinvio alla CTR-Veneto, sez. distaccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi; accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale R.G.N. 10780/14 dell’Agenzia delle entrate, dichiarando assorbito il correlato ricorso incidentale del contribuente; accoglie, nei termini di cui in motivazione, i ricorsi R.G. N. 10879/14 e R.G.N. 10769/15 dell’Agenzia delle entrate; cassa le sentenze impugnate relativamente ai motivi accolti e rinvia alla CTR-Veneto, sez. distaccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022
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