LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 0452/2015 R.G. proposto da:
D.A., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Pace, presso il cui studio in Milano, Corso di Porta Romana, n. 89/B, è
elettivamente domiciliato; domicilio in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
sul ricorso iscritto al n. 19707/2015 R.G. proposto da:
D.A., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Pace, presso il cui studio in Milano, Corso di Porta Romana, n. 89/B, è
elettivamente domiciliato; domicilio in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
Avverso la sentenza n. 17/2015 della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, depositata il 13/1/2015, e avverso la sentenza n. 16/2015 della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, depositata il 13/1/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/6/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.
RILEVATO
che:
quanto a entrambi i ricorsi:
1. L’Agenzia delle Entrate notificò ad D.A., previo invio di questionario per gli anni di imposta 2007 e 2008, due distinti avvisi di accertamento, coi quali rideterminò sinteticamente il reddito relativo rispettivamente agli anni di imposta 2007 e 2008, sulla base di spese c.d. gestionali presunte, fondate sui vecchi D.M. del 1992, e in particolare della residenza principale, di due autoveicoli, uno imputato per la quota del 100% e uno per quella del 60% perché strumentale, e del pagamento dei ratei del mutuo. Impugnati con distinti ricorsi i predetti atti dal contribuente, la C.T.P. di Milano accolse quello relativo all’anno di imposta 2007 con sentenza n. 115/05/13 e quello relativo all’anno di imposta 2008 con sentenza n. 116/05/13, entrambe pubblicate il 17/5/2013. Entrambe le sentenze furono riformate dalla C.T.R. per la Lombardia, adita dall’Ufficio, rispettivamente con le sentenze n. 17/2015 e n. 16/2015.
2. Contro le predette sentenze il contribuente propone due distinti ricorsi per cassazione (rispettivamente iscritti al n. 19703/2015 quanto alla sentenza n. 17/2015 relativa all’anno di imposta 2007 e al n. 19707/2015 quanto alla sentenza n. 16/2015 relativa all’anno di imposta 2008), affidandoli, ciascuno, a tre motivi, illustrati anche con rispettive memorie, peraltro depositate il 1/6/2021 e dunque tardivamente. L’Agenzia delle Entrate resiste in entrambi i procedimenti con controricorso.
CONSIDERATO
che:
I giudizi n. 19703/2015 e n. 19707/2015 vanno riuniti, in quanto proposti dal medesimo contribuente su identiche questioni sia pure riferite ai due distinti anni di imposta 2007 e 2008.
Quanto al n. 19703/2015:
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato che il contribuente non avesse dimostrato la comproprietà dell’immobile adibito a residenza, non avendo prodotto l’atto di compravendita o la visura catastale, né avesse detto alcunché sulle autovetture, benché l’Ufficio non avesse contestato le deduzioni difensive proposte con il ricorso introduttivo afferenti alla quota al 50% della comproprietà dell’abitazione e alla strumentalità all’attività svolta di entrambi gli autoveicoli, che sarebbero dovuti essere imputati nella misura del 60%.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 167c.p.c., dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto che il contribuente non avesse spiegato come avesse fatto fronte ai ratei del mutuo per la casa e per il leasing e alle spese per la conservazione dei beni indicati dall’Agenzia in assenza di un reddito adeguato e che gli estratti di conto corrente prodotti fossero a tal fine inidonei, in quanto riportavano soltanto l’entità dello scoperto per due mensilità del 2008, ma non dimostravano la concessione degli asseriti fidi da parte delle banche, né le modalità di utilizzo degli stessi, né l’addebito in quel conto delle rate di mutuo e del leasing. In proposito, il contribuente ha contestato la decisione dei giudici di merito in quanto avevano sostanzialmente ritenuto che il contenuto della prova contraria dovesse essere dinamico, come previsto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, in quanto avrebbe dovuto dimostrare che il redditi posseduti fossero stati utilizzati per effettuare le spese presunte, mentre invece, alla luce del precedente “redditometro”, applicabile alla specie, sarebbe stata sufficiente una prova statica in quanto afferente al mero possesso di un reddito esente o già tassato.
3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la C.T.R. applicato la versione più evoluta del redditometro, benché i nuovi indici sintetici e il paniere dei beni indice fossero più idonei a rappresentare la reale situazione del contribuente, come attestato proprio dall’intervenuta modifica normativa sul punto, in quanto attinenti alla realtà dei fatti, benché soggetti ad un coefficiente presuntivo ad un bene posseduto nel periodo di imposta, sì da essere applicabili retroattivamente, secondo quanto affermato in sede di legittimità sugli studi di settore, sia in quanto più favorevoli, sia in quanto aventi natura procedimentale, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con l’art. 53 Cost. in quanto legittimante un accertamento presuntivo fondato su strumenti riconosciuti dal legislatore inadeguati a cogliere la reale capacità contributiva del soggetto sottoposto ad accertamento.
Quanto al n. 19707/2015:
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato che il contribuente non avesse dimostrato la comproprietà dell’immobile adibito a residenza, non avendo prodotto l’atto di compravendita o la visura catastale, né avesse detto alcunché sulle autovetture, benché l’Ufficio, in sede di controdeduzioni al ricorso introduttivo e in sede di appello, non avesse contestato le deduzioni difensive proposte con il ricorso introduttivo afferenti alla quota al 50% della comproprietà dell’abitazione e alla strumentalità all’attività svolta di entrambi gli autoveicoli, che sarebbero dovuti essere imputati nella misura del 60%.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 167c.p.c., dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto che il contribuente non avesse spiegato come avesse fatto fronte ai ratei del mutuo per la casa e per il leasing e alle spese per la conservazione dei beni indicati dall’Agenzia in assenza di un reddito adeguato e che il richiamo al sostentamento finanziario attuato dagli scoperti di conto corrente fosse del tutto generico e sfornito di prova, non avendo la parte prodotto alcuna documentazione bancaria (rilascio fidi, finanziamenti, estratti di conto corrente) a sostegno di quanto affermato. Ad avviso del contribuente, la sentenza impugnata non aveva riconosciuto la prova contraria da lui prodotta, ancorché non contestata dall’Ufficio, e aveva errato allorché aveva preteso che venisse fornita una prova dinamica, data dalla dimostrazione dell’utilizzo dei proventi esenti o tassati alla fonte per far fronte alle spese sostenute, come richiesta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, benché la norma antecedente imponesse la sola prova statica del mero possesso di un reddito esente o già tassato.
3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la C.T.R. applicato la versione più evoluta del redditometro, benché i nuovi indici sintetici e il paniere dei beni indice fossero più idonei a rappresentare la reale situazione del contribuente, come attestato proprio dall’intervenuta modifica normativa sul punto, in quanto attinenti alla realtà dei fatti, benché soggetti ad un coefficiente presuntivo ad un bene posseduto nel periodo di imposta, sì da essere applicabili retroattivamente, secondo quanto affermato in sede di legittimità sugli studi di settore, sia in quanto più favorevoli, sia in quanto aventi natura procedimentale, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con l’art. 53 Cost. in quanto legittimante un accertamento presuntivo fondato su strumenti riconosciuti dal legislatore inadeguati a cogliere la reale capacità contributiva del soggetto sottoposto ad accertamento.
4. Il primo e il secondo motivo, relativi ad entrambi i ricorsi, sono inammissibili.
Le due censure lamentano in sostanza l’erroneità dell’operato dei giudici di merito sotto il profilo dell’onere della prova contraria, evidenziandone per un verso la non necessità, quanto alle circostanze afferenti alla comproprietà dell’immobile e alla strumentalità all’impresa dei due autoveicoli, in ragione dell’asserita mancata contestazione sul punto da parte dell’Ufficio, e, per altro verso, la non corretta valutazione della prova documentale offerta, in ragione dell’equivoco insorto in merito al suo oggetto.
Quanto al primo punto, il contribuente sollecita l’applicazione del principio generale di non contestazione proprio del processo civile che, fondato sugli artt. 115 e 88 c.p.c. e sul principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., è pacificamente estensibile anche al processo tributario non soltanto in ragione del rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto compatibili, ma anche perché caratterizzato, al pari del primo, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, restando ininfluenti, in senso contrario, le peculiarità dello stesso, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo (Cass. Sez. 5, 01/10/2018, n. 23710; Cass., Sez. 5, 6/2/2015, n. 2196; Cass., Sez. 5, 24/1/2007, n. 1540; Cass., Sez. 5, 1/10/2018, n. 23710).
Ciò che il ricorrente trascura è però il fatto che la contestazione circa l’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, di una circostanza di fatto assunta come “pacifica” tra le parti, imponga di indicare in ricorso, in ottemperanza al dovere di autosufficienza, in quale atto essa sia stata allegata e in quale sede e modo sia stata provata o ritenuta pacifica(Cass., Sez. 6-5 12/10/2017, n. 24062), e che il principio di non contestazione operi, nel processo tributario, esclusivamente sul piano probatorio, dovendo essere correlato con la natura indisponibile dei fatti controversi e con la specialità del contenzioso, sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8489; Cass., Sez. 5, 18/5/2018, n. 12287), sicché la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione del contribuente alla pretesa impositiva, proposti in via subordinata, non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, essendo consentito all’Ente impositore, in caso di rigetto dell’intera domanda del contribuente e delle relative questioni dedotte in via principale, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (Cass., Sez. 5, 13/3/2019, n. 7127).
Ebbene, nella specie non soltanto manca nel ricorso qualsiasi indicazione circa la sede e il modo in cui le circostanze relative alla proprietà dell’immobile e all’uso delle due autovetture sono state ritenute pacifiche, resa ancora più necessaria ove si consideri che entrambe le sentenze, nel prendere atto delle considerazioni dell’Ufficio sulla incongruità della prova contraria offerta dal contribuente, conducono a risultati affatto differenti, stante il chiaro contenuto oppositivo alle deduzioni difensive del contribuente arguibile da tali considerazioni, ciò che rende l’atto non rispondente ai requisiti di specificità, ma la stessa presa di posizione della C.T.R. sulle suddette questioni (allorché imputa al contribuente la mancata dimostrazione della comproprietà e l’assenza di prese di posizione sulle autovetture), implicante indirettamente l’assenza della dedotta non contestazione, induce a ritenere che ciò che oggi viene sollecitato sia in realtà una inammissibile revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice e dunque una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
Alle stesse conclusioni, del resto, conduce la doglianza espressa col secondo motivo, posto che, imputandosi con la stessa ai giudici di avere ritenuto necessaria la prova c.d. “dinamica”, non fornita dal contribuente, si è sostanzialmente sollecitata la revisione del ragionamento decisorio, attraverso una nuova valutazione della prova che, in specie, era stata invece espressamente operata in quella sede. La doglianza non si confronta infatti con quanto sostenuto dalla C.T.R., la quale non ha affatto detto che la prova avrebbe dovuto vertere sulla dimostrazione dell’utilizzo dei redditi posseduti per effettuare le spese presunte, ma che, con riguardo al procedimento n. 19703/2015, gli estratti conto prodotti non erano idonei a dimostrare la dedotta concessione dei fidi da parte delle banche, né le modalità del loro utilizzo, né l’addebito nei relativi conti delle rate del mutuo e del leasing, e che, con riguardo al procedimento n. 19707/2015, il richiamo al “sostentamento finanziario attuato dagli scoperti di conto corrente” era rimasto, in assenza di prove, meramente affermato, con ciò ponendosi peraltro in assoluta conformità con i principi affermati da questa Corte circa il contenuto della prova contraria posta a carico del contribuente, la quale deve vertere sull’inesistenza del reddito presunto o sulla misura inferiore dello stesso (Sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., Sez. 6 – 5, 10/08/2016, n. 16912; Cass., Sez. 5, 31/10/2018, n. 27811; Cass., Sez. 6 – 5, 26/06/2017, n. 15899), oltre alla riconducibilità del maggior reddito determinato o determinabile a “redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, attraverso “idonea documentazione” attesta nte “l’entità” e “la durata” del possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cass., Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104; Cass., Sez. 6 – 5, 26/01/2016, n. 1332). Ad avviso di questa Corte, infatti, il contribuente è tenuto non tanto a provare di avere utilizzato questi ulteriori redditi per sostenere le spese contestate, quanto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (in tal senso, Cass. Sez. 6-5, 13/11/2018, n. 29067, Cass. Sez. 5, 20/1/2017, n. 1510) o che ne denotino l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova, di cui il contribuente è onerato, dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso (vedi da ultimo Cass. Sez. 6-5, 23/3/2018, n. 7389, ma anche Cass. Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104, Cass. Sez. 6-5, 16/7/2015, n. 14885), restando altrimenti irrilevante, ai fini voluti, “il loro semplice “transito” nella disponibilità” dello stesso (in questi termini, Cass. Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104 cit.).
E’ pertanto in linea con tali arresti giurisprudenziali che i giudici di merito hanno ritenuto di considerare inidonea la prova contraria offerta dal contribuente, tanto con riguardo alla stessa sussistenza di redditi ulteriori, quali quelli derivanti dal fido, quanto con riguardo alla astratta collegabilità degli stessi con le spese affrontate, restando ogni altra considerazione proposta dal contribuente tesa a ottenere in questa sede una revisione del compendio probatorio sottoposto al vaglio della C.T.R..
Deriva da quanto detto, l’inammissibilità dei motivi.
5. Il terzo motivo, proposto negli stessi termini in entrambi i ricorsi riuniti, è invece infondato.
La suggerita applicazione del D.M. 24 dicembre 2012, emesso in attuazione della normativa introdotta con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in luogo dei D.M. 1992, si pone infatti in evidente contrasto con la natura fortemente innovativa dello stesso, in quanto conseguente alla diversa impostazione dell’impianto del redditometro di nuova formulazione voluto dal legislatore del 2010, non a caso applicabile, come espressamente sancito dall’art. 22, comma 1, e chiarito dal D.M. 24 dicembre 2012, art. 5, agli “accertamenti relativi ai redditi peri quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ossia a quelli afferenti a periodi d’imposta dal 2009 e seguenti (vedi sulla irretroattività, Cass., sez. 6-5, 06/10/2014, n. 21041).
Molteplici sono, infatti, le differenze apportate dalla novella del 2010 all’accertamento mediante redditometro, tra cui il fatto che si sia passati da un sistema che vedeva associato a ciascuno dei beni e servizi, di cui il contribuente aveva la disponibilità, un valore calcolato secondo medie Istat e un coefficiente moltiplicatore ritenuto idoneo a ricostruire la capacità contributiva, ad uno fondato sulle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, col fine di “adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio” (D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1), oltre ad essersi consentito il calcolo del reddito complessivo e non di quello netto (vedi Cass., Sez. 5, 19/10/2007, n. 21932, in motivazione; conforme, in materia di Irpef, Cass., Sez. 5, 16/04/2007, n. 8984; Cass., Sez. 5, 30/3/2021, n. 8721), l’ampliamento dello spettro degli elementi indicativi di reddito, la loro differenziazione in base al nucleo familiare e all’area territoriale di appartenenza e l’estensione dei presupposti per ricorrere alla determinazione sintetica del reddito, passati dalla previgente eccedenza di un quarto a quella di un quinto del reddito dichiarato.
Ciò comporta che, a fronte delle espresse disposizioni di diritto transitorio contenute nel D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, e nel D.M. 24 dicembre 2012, art. 5, come sopra riportate, diventano recessivi tanto il principio del favor rei, in quanto applicabile soltanto con riguardo alle norme sanzionatorie e non a quelle afferenti al potere di accertamento e di formazione della prova, quanto il principio del tempus regit actum, altrimenti applicabile alle norme procedimentali (Cass., Sez. 5, 25/1/2021, n. 1454).
Ne’ può dirsi che il vecchio redditometro si ponga in contrasto con l’art. 53 Cost., posto che, come già affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 283 del 1987, l’accertamento induttivo, lungi dal violare il principio costituzionale della correlazione tra capacità contributiva e imposizione tributaria, ne costituisce mezzo di attuazione, in quanto basato su elementi già individuati a norma dell’art. 2 del predetto decreto n. 600 disponibilità di aeromobili, navi, cavalli, residenze secondarie ecc. – che in base ad una massima di esperienza sono indici sicuri di capacità contributiva.
Del resto, anche questa Corte, proprio con riguardo alle indicazioni contenute nel D.M. 10 settembre 1992, ha già avuto modo di affermare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nella formulazione vigente ratione temporis, e dei relativi decreti di attuazione, nella parte in cui consentono l’accertamento con metodo sintetico mediante il cd. redditometro, sostenendo la funzione meramente accertativa e probatoria dei predetti decreti e non sostanziale, siccome non contenenti norme per la determinazione del reddito, ma funzionale a disciplinare la mera valutazione in concreto, da parte dell’ufficio, dei beni del soggetto sottoposto ad accertamento, al fine di verificarne la capacità contributiva, escludendo pertanto il contrasto sia con il principio della riserva di legge sulla facoltà di imporre prestazioni patrimoniali ai sensi dell’art. 23 Cost., sia con quello relativo ai poteri probatori e difensivi in capo contribuente ai sensi degli artt. 24 e 53 Cost. (Cass. 19/04/2013, n. 9539), al quale è comunque riconosciuto l’onere di dimostrare che il maggiore reddito (presuntivamente determinato) è costituito da redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta (vedi Cass., Sez. 5, 24/4/2018, n. 10037).
Alla luce di quanto detto, deve ritenersi che le censure siano infondate.
6. In conclusione, deve dichiararsi l’inammissibilità del primo e secondo motivo e l’infondatezza del secondo, per ciascuno dei due ricorsi proposti, con conseguente rigetto degli stessi. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
riunisce e rigetta i ricorsi n. r.g. 19703/2015 e n. r.g. 19707/2015.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese dei giudizi uniti di legittimità, che liquida in Euro 5.330,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022
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