LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24088/2017 proposto da:
V.M.M., V.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA CAMILLUCCIA 19, presso lo studio dell’avvocato STEFANO RIELLO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
C.A., S.A., O A.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 59, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ACTIS, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1247/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA RAGIONI DELLA DECISIONE 1. V.F. e V.M.M. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1247/2017 della Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 20 marzo 2017.
Resistono con controricorso C.A. e S.A., che hanno altresì proposto ricorso incidentale articolato in un unico motivo.
2. Il giudizio ebbe inizio con citazione del 16 gennaio 1996, allorché V.F. e V.M.M. convennero in giudizio C.A. e S.A. davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, deducendo di essere proprietari di un fabbricato, con annesso terreno, sito nel Comune di ***** e che i convenuti, nel realizzare – dal lato di uno dei confini – un fabbricato con annesso ricovero per mezzi meccanici, avevano commesso diverse violazioni in tema di distanze e di vedute. V.F. e V.M.M. domandarono perciò la condanna dei convenuti all’abbattimento della parte di fabbricato posto a distanza illegale, oltre che al risarcimento del danno.
C.A. e S.A. domandarono in riconvenzionale la condanna degli attori al risarcimento del danno per le infiltrazioni d’acqua alla loro proprietà conseguenti alla modificazione della quota del terreno dei signori V..
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 2327/2010, accolse la domanda degli attori e condannò i convenuti alla eliminazione degli abusi dettagliati in dispositivo, nonché al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 4.195,75 oltre interessi. A fondamento della decisione il Tribunale osservò – quanto alla violazione delle distanze – che il manufatto eretto dai convenuti, in parte sul confine ed in parte arretrato di mt 1.56, fosse illegittimo ai sensi della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 17. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere respinse, inoltre, la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno formulata dai convenuti, aderendo alle conclusioni del CTU, secondo cui le infiltrazioni d’acqua discendevano dalla omessa impermeabilizzazione del locale seminterrato di proprietà C. – S..
Con distinti atti di appello entrambe le parti proposero gravame avverso la sentenza di primo grado ed i relativi giudizi furono riuniti. La Corte d’appello ha accolto “per quanto di ragione” l’appello di C.A. e S.A. ed ha respinto l’appello di V.F. e V.M.M..
La Corte d’appello, in particolare, ha negato l’applicazione nel caso di specie della L. n. 1150 del 1942, art. 41-quinquies, aggiunto della L. n. 765 del 1967, art. 17, in quanto tale norma regolamenta la distanza tra costruzioni e non fra costruzioni e confine, laddove nelle premesse della citazione V.F. e V.M.M. avevano dedotto unicamente la illegittimità del posizionamento del fabbricato eretto da C.A. e S.A. rispetto al confine. In prosieguo, la sentenza impugnata, ai fini dell’art. 873 c.c., ha ravvisato la portata integratrice del regolamento edilizio locale del Comune di Castel Morrone (approvato con Delib. Consiliare 29 novembre 1968 e pubblicato il 16 gennaio 1969), il cui art. 23 contiene specifiche prescrizioni in ordine alle distanze dal confine. In particolare, tale norma stabilisce la distanza dai confini di mt. 5.00 “quando non si possa e non si voglia costruire sul confine”. La Corte di Napoli ha accertato che il fabbricato di C.A. e S.A. è stato costruito “sul confine, lungo il lato est, con la proprietà V.” e si attesta “in massima parte proprio sul confine, arretrandosi rispetto a questo, ma solo per la lunghezza di mt. 7.05, alla distanza di mt. 1.60”. Tale norma, secondo la Corte di Napoli, sancisce direttamente l’operatività della regola della prevenzione prevista dal codice civile. Sono perciò state respinte le domande di risarcimento del danno e di arretramento azionate da V.F. e V.M.M..
L’appello di C.A. e S.A. sulla domanda riconvenzionale di risarcimento del danno è stato invece rigettato, “risolvendosi il motivo in una generica critica all’operato dell’ausiliario, senza la formulazione di specifiche censure sul piano tecnico”. E’ stata poi confermata la condanna alla rimozione delle soglie di marmo delle aperture e della grata di ferro, nonché all’arretramento della pluviale e del pozzo di raccolta dell’acqua, per difetto di “contrasto efficace” della decisione di primo grado.
3. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..
I controricorrenti hanno depositato memoria.
4. L’unico motivo del ricorso principale di V.F. e V.M.M. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 871,872,873 c.c. e dell’art. 23 del regolamento edilizio del Comune di Castel Morrone. Viene contestata l’operatività del principio della prevenzione ove, come appunto nel caso di specie, il Regolamento edilizio prescrive distanze minime dal confine. I ricorrenti principali affermano che C.A. e S.A. non avrebbero potuto costruire arretrando dal confine alla distanza di mt. 1.60, come accertato in fatto.
4.1. E’ infondata l’eccezione pregiudiziale svolta nel controricorso, circa l’inammissibilità del ricorso principale con riguardo al requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto il ricorso stesso contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonché gli argomenti dei giudici dei singoli gradi.
E’ poi rituale la notifica del controricorso eseguita a mezzo pec in data 30 novembre 2017 dopo che la notifica a mezzo del servizio postale avviata il 17 novembre 2017 non era andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, avendo il controricorrente riattivato il procedimento notificatorio con immediatezza, non appena appreso dell’esito negativo del primo tentativo di notifica.
4.2. Il motivo del ricorso di V.F. e V.M.M. è manifestamente fondato, in quanto la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo non conforme all’orientamento di questa Corte.
L’art. 23 del regolamento edilizio locale del Comune di Castel Morrone prescrive la distanza dai confini di mt. 5.00 “quando non si possa e non si voglia costruire sul confine”. La Corte di Napoli ha accertato che il fabbricato di C.A. e S.A. è stato costruito “sul confine, lungo il lato est, con la proprietà V.” e si attesta “in massima parte proprio sul confine, arretrandosi rispetto a questo, ma solo per la lunghezza di mt. 7.05, alla distanza di mt. 1.60”. Secondo unanime interpretazione giurisprudenziale, allora, se i regolamenti edilizi stabiliscono espressamente la necessità non solo di un distacco minimo tra le costruzioni maggiore rispetto a quello contemplato dall’art. 873 c.c., ma altresì di una distanza minima delle costruzioni dal confine, ammettendo tuttavia la costruzione sul confine in aderenza o in appoggio, il primo costruttore ha la scelta tra l’edificare a distanza regolamentare e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo (e cioè di costruire in corrispondenza della stessa linea di confine), ma non anche la facoltà, come avvenuto nella specie, di costruire lungo una linea spezzata, ora coincidente con il confine, ora a distanza dal confine inferiore a quella stabilita dallo strumento urbanistico locale (Cass. Sez. U., 19/05/2016, n. 10318; Cass. Sez. 2, 29/05/2019, n. 14705; Cass. Sez. 2, 09/09/2019, n. 22447; Cass. Sez. 2, 14/05/2018, n. 11664; Cass. Sez. 2, n. 8465 del 09/04/2010).
5. L’unico motivo del ricorso incidentale di C.A. e S.A. lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 873,889,2043,2051 c.c., anche in relazione agli artt. 112,116 e 342 c.p.c., nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – motivazione contraddittoria, illogica e apparente su fatti decisivi per il giudizio. Si contesta la parte della sentenza impugnata che ha ritenuto la genericità del motivo di appello avverso il rigetto della domanda riconvenzionale disposto dal primo giudice. I ricorrenti incidentali indicano quali fossero i motivi di doglianza inerenti alla CTU, le cui risultanze erano state recepite dal Tribunale. Le censure, di cui a pagina 16 e 17 dell’atto di appello, facevano riferimento al rapporto di causalità tra l’innalzamento della quota della stradina e l’umidità denunciata. Viceversa, quanto alle soglie di marmo, alla grata di ferro, alla pluviale ed al pozzo di raccolta dell’acqua, il ricorso reitera le critiche al merito della decisione sui rispettivi punti.
5.1. Il motivo di ricorso incidentale è fondato nei limiti di seguito indicati.
5.2. La Corte d’appello di Napoli ha confermato le statuizioni di rimozione delle soglie di marmo delle aperture e della grata di ferro, nonché di arretramento della pluviale e del pozzo di raccolta dell’acqua, per difetto di “contrasto efficace” della decisione di primo grado. A fronte di tale declaratoria di difetto di specificità dei motivi di gravame adottata dai giudici di appello, le parti rimaste soccombenti avevano l’onere di impugnare la relativa statuizione allegando l’error in procedendo per violazione dell’art. 342 c.p.c., e quindi indicando quali fossero state le censure al riguardo spiegate nell’atto di appello, restando inammissibili, invece, le considerazioni svolte in termini di errores in iudicando sulla fondatezza delle loro domande ed eccezioni.
Viceversa, secondo quanto ancora chiarito da Cass. Sez. U., 16/11/2017, n. 27199 (operando, peraltro, in questo giudizio, ratione temporis la formulazione dell’art. 342 c.p.c., anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012) l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
In tal senso, è da evidenziare come l’atto di appello proposto da C.A. e S.A., sul punto dei danni da infiltrazioni d’acqua provocati dall’innalzamento della quota della stradina, non si limitava a chiedere, senza indicare alcuna ragione di doglianza, la riforma dell’appellata decisione, contenendo esso, piuttosto, le ragioni di critica alla pronuncia di primo grado in punto di rapporto causale. Il giudice d’appello, pertanto, avrebbe dovuto ritenere in parte qua ammissibile il gravame e rispondere nel merito alle censure mosse dagli appellanti.
6. Il ricorso principale va perciò accolto, così come va accolto, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, la quale procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale e, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022
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