LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5484/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
CIN S.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del controricorso, dagli avv.ti Giancarlo Zoppini, Cristiano Caumont Caimi, Giuseppe Pizzonia, Giuseppe Russo Corvace, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Giancarlo Zoppini, in Roma, via della Scrofa, n. 57;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6608/2/14 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata il 11 dicembre 2014 udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Troncone Fulvio, che ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 13, convertito dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136.
FATTI DI CAUSA
1. All’esito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle entrate notificava alla Cin S.A., holding di diritto lussemburghese, cinque avvisi di accertamento, per le annualità di imposta dal 1995 al 1999, con i quali contestava alla società la fittizia localizzazione della residenza fiscale al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari e di beneficiare di un regime impositivo più favorevole.
2. La contribuente impugnava gli atti impositivi con distinti ricorsi, deducendo la nullità degli stessi per difetto assoluto di motivazione e l’infondatezza della pretesa erariale, e la Commissione tributaria provinciale di Milano, con distinte pronunce, li accoglieva, sul rilievo che la sede della società contribuente non fosse in Italia.
3. In esito agli appelli dell’Ufficio finanziario, che aveva ribadito che la Cin S.A., pur essendo formalmente residente in Lussemburgo, aveva stabilmente fissato la sede dell’amministrazione in Italia presso gli uffici della sede amministrativa della Candy Elettrodomestici s.r.l., in *****, ed all’appello incidentale della contribuente avverso le statuizioni delle sentenze ad essa sfavorevoli, la Commissione tributaria regionale, previa riunione dei giudizi, respingeva gli appelli principali, ritenendoli infondati, confermando l’annullamento degli atti impositivi.
4. La sentenza di appello veniva impugnata dall’Ufficio dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 2869 del 2013, accoglieva il motivo di ricorso con il quale l’Ufficio aveva censurato la sentenza di secondo grado per vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rigettando i restanti motivi. Precisato che i giudici di appello avevano fatto corretta applicazione delle disposizioni normative rilevanti in tema di residenza delle persone giuridiche, questa Corte cassava la sentenza, affermando che “l’accertamento della assenza della sede effettiva della Cin S.A. in Italia (e cioè della esclusione della esterovestizione della società) era sorretto esclusivamente dalla pura e semplice qualificazione come “sporadici” degli “atti dedotti dagli accertatori” e, dunque, da una motivazione apodittica e non esaustiva, laddove l’individuazione del luogo della “sede effettiva” di una società richiedeva un’indagine esaurientemente motivata in relazione ai vari elementi indiziari, alcuni dei quali specificamente dedotti dall’Ufficio.
5. Riassunto il giudizio dalla Cin S.A., la Commissione tributaria regionale in sede di rinvio confermava l’annullamento degli avvisi di accertamento, rilevando che la società aveva sede principale in Lussemburgo e una sede secondaria in Svizzera, dove svolgeva attività finanziarie, e che operava dall’estero e sull’estero per la gestione delle partecipazioni nelle filiali commerciali estere del gruppo Candy. In particolare, i giudici di secondo grado osservavano che i verificatori avevano fondato la presunzione di esterovestizione della società sulla base di pochi documenti rinvenuti in sede di verifica presso la Candy s.r.l., il cui contenuto evidenziava attività di ordinaria amministrazione finalizzata alla verifica della corretta verbalizzazione di quanto deliberato nei consigli di amministrazione che risultavano essersi tenuti sempre nella sede lussemburghese; anche i contratti di “mandato di amministratore” rinvenuti non provavano il luogo di assunzione delle delibere del Consiglio di amministrazione e neppure la presunta mancanza di poteri decisionali degli amministratori lussemburghesi. Affermavano, inoltre, di non aver potuto esaminare la documentazione relativa ai conti italiani ed esteri della Cin S.A., perché mai prodotta in giudizio dall’Ufficio, e che non poteva attribuirsi rilevanza alla residenza in Italia di Candy s.r.l., controllante di Cin S.A. al 99,9 per cento, e alla residenza in Italia di due dei tre membri del Consiglio di amministrazione, posto che l’art. 87 t.u.i.r., comma 3, nella versione applicabile ratione temporis, non annoverava tali circostanze tra quelle rilevanti ai fini della localizzazione della residenza fiscale delle persone giuridiche. Considerato, peraltro, che con la sentenza di annullamento con rinvio la Corte di Cassazione aveva ritenuto che i giudici di appello avessero fatto corretta applicazione delle disposizioni normative rilevanti in tema di residenza delle persone giuridiche, ritenevano di non doversi pronunciare sul punto.
6. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con quattro motivi, cui ha resistito la Cin S.A. mediante controricorso.
In data ***** la contribuente ha depositato istanza D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, ex art. 6, comma 10, chiedendo la sospensione del processo per avere aderito alla definizione agevolata della lite ed effettuato il versamento degli importi dovuti.
In data 17 giugno 2019 la contribuente ha depositato le quietanze di versamento degli importi dovuti per la definizione.
In data 18 novembre 2021 l’Agenzia delle entrate ha depositato istanza di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, per avere la contribuente provveduto al pagamento di quanto dovuto ai fini del perfezionamento della definizione. In pari data la società CIN S.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo per la dichiarazione di estinzione del processo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2729 c.c., e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73 (già art. 87), comma 5-bis, in quanto i giudici di appello hanno ritenuto che la proprietà sostanzialmente totalitaria della società lussemburghese da parte di una società italiana e la pacifica residenza in Italia dei membri del Consiglio di amministrazione non costituiscono elementi valorizzabili ai fini della prova della residenza in Italia della Cin S.A.
Pur riconoscendo che solo per effetto della richiamata novella tali circostanze fondano una presunzione legale di residenza, l’Agenzia delle entrate sostiene che, tuttavia, nulla autorizza a ritenere che, nel regime previgente, non sussistesse il potere-dovere del giudice di valutare tali circostanze, al fine di trarne eventualmente delle presunzioni semplici.
2. Con il secondo motivo, denunciando omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, la ricorrente addebita alla C.T.R. di avere omesso di prendere in considerazione le dichiarazioni rese da F.M., amministratore della Candy Elettrodomestici s.r.l., verbalizzate in occasione della verifica eseguita presso la predetta società, e di avere omesso di valorizzarle quale elemento di prova, sebbene decisive, avendo il Fumagalli affermato che le funzioni amministrative e finanziarie, relative alle diverse società del gruppo Candy in Europa, erano state esercitate dalla articolazione da lui stesso diretta e localizzata in Italia presso la sede amministrativa della Candy Elettrodomestici s.r.l.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la C.T.R. ritenuto raggiunta la prova dello svolgimento a Lussemburgo delle riunioni dei consigli di amministrazione senza tenere conto che la società non si era neanche proposta di fornire tale prova, limitandosi ad affermare la circostanza ed a contestare che incombesse sull’Ufficio l’onere di provare il contrario.
4. Con il quarto motivo la ricorrente censura la decisione gravata per violazione dell’art. 115 c.p.c., lamentando che i giudici di appello, affermando di non aver potuto visionare le “contabili bancarie” perché mai prodotte, avevano finito per estromettere dal giudizio un fatto pacifico tra le parti e di sicura rilevanza, ossia la titolarità di conti correnti presso banche italiane.
5. Non sussistono le condizioni per procedere all’esame nel merito del giudizio.
Come esposto in premessa, la contribuente ha avanzato istanza per la definizione agevolata della lite, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136 del 2018, come emerge dalla documentazione allegata (domanda di definizione e quietanze di versamento, allegate all’istanza di sospensione del processo).
Il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 12, prevede che “L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali…” e, ai sensi del successivo comma 13, “in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata, il processo è dichiarato estinto…”.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate, a seguito di comunicazione di regolarità da parte della competente Direzione provinciale, ha avanzato richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.
Deve, pertanto, ritenersi perfezionata la causa estintiva correlata all’accesso alla definizione agevolata.
Le spese del giudizio estinto, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, vanno integralmente compensate tra le parti.
In ragione della definizione agevolata della controversia non si ravvisano i presupposti per imporre il pagamento del cd. doppio contributo, siccome misura applicabile ai soli casi tipici di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del gravame e pertanto non suscettibile, per la sua natura latu sensu sanzionatoria, di interpretazione estensiva o analogica (v. Cass., sez. 5, 7/12/2018, n. 31372; Cass., sez. 6-5, 7/6/2018, n. 14782).
PQM
La Corte dichiara estinto il processo e cessata la materia del contendere.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022